sabato 4 febbraio 2012

L'Arte Di Vincere (voto 8) IL FILM DEL MESE

In America, nel mondo dello sport, con il termine Moneyball (titolo originale del film) si indica una strategia di gioco che predilige statistiche e calcoli matematici rispetto a schemi di gioco e all'esperienza sul campo. La parola è stata coniata nei primi anni del Duemila grazie all'incredibile storia di Billy Beane, general manager di una squadra di baseball, gli Oakland's Athletics, che con l'aiuto di un giovane laureato in economia, ricostruì il suo team basandosi sulle statistiche scientifiche piuttosto che sui giocatori celebri. Per coloro che non l'hanno visto, "L'arte di vincere" può correre il rischio di essere sottovalutato o frainteso. La storia di un manager sportivo che con pochi mezzi riesce a ottenere incredibili risultati non è nuova nel Cinema, anzi. E' una delle preferite incarnazioni del sogno americano. Un esempio lampante è "Jerry Maguire" di Cameron Crowe con Tom Cruise, storia dell'uomo che costruisce il suo destino e la sua fortuna in modo onesto nel mondo del football, riuscendo ad arrivare al successo dopo aver toccato il fondo. Nel film diretto da Bennet Miller la prospettiva è totalmente differente. Si può dire che già la morale insita nella storia sia scorretta: qui l'importante è vincere, non partecipare. Peccato che a incarnare l'uomo che deve realizzare il sogno americano ci sia un inesorabile perdente. Uno che a vincere non ci riesce proprio e già questo paradosso rende interessante l'opera. Il film deve moltissimo alla scelta del cast su cui primeggia Jonah Hill, intraprendente e brillante nella parte dell'attore non protagonista. Brad Pitt si dimostra a suo agio nel momento in cui deve interpretare personaggi fortemente calati nella realtà americana (da "In mezzo scorre il fiume" fino a "Burn after reading") ma la sua performance non è da Oscar. Leggermente al di sotto delle aspettative Philip Seymour Hoffman, di solito sempre impeccabile, regala qui un personaggio reso troppo sottotono. La sceneggiatura è molto solida e le scelte registiche sono apprezzabili in diverse situazioni. Nel suo insieme il risultato è più che buono. Molto interessante anche il fatto che sia un film incentrato sul baseball ma che in due ore e mezza non venga quasi mai ripresa una partita giocata. Quello che noi vediamo è esclusivamente la teoria del gioco. Solo il finale risulta troppo forzato nella ricerca voluta (ma inutile) dell'effetto strappa lacrime. Una storia diretta, efficace e originale che affonda le sue radici su un importante messaggio: a volte può esserci più dignità e gioia in una sola sconfitta che in tutte le vittorie del Mondo. E detto da una società che ha fatto dell'arrivismo socio-economico il suo punto di forza, non è una cosa da poco.

Alvise Wollner



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