venerdì 20 settembre 2013

Venezia 2013 - Prima Parte: Via Castellana Bandiera, Sacro Gra, Trap Street, Tom à La Ferme

Settembre è tempo di ripensamenti, come cantava Guccini, ma grazie al cielo ancora nessuno ha pensato di toglierci anche la rassegna milanese dei film di Venezia, appuntamento doc per la viva e vegeta borghesia cinefila, che sarà pure snob e con la puzza sotto il naso ma per fortuna c'è. Per mia sfortuna, invece, il primo film di quest'anno è stato 'Via Castellana Bandiera' (voto 4) di Emma Dante, premiato con la Coppa Volpi per l'interpretazione femminile di Elena Cotta. Il film della Dante racchiude tutto ciò che più odio del cinema italiano: intellettualismo, retorica, patetiche allegorie. Quello che poteva essere sulla carta un divertente spunto surreale viene addomesticato con una supponenza e una mancanza di ironia davvero inquietante. In mezzo, c'è anche una storia d'amore lesbo assolutamente non necessaria. Inspiegabile il premio alla Cotta, completamente assorta in un ruolo passivo e poco interessante. Molto più condivisibile il Leone D'Oro assegnato a 'Sacro Gra' (voto 8) di Gianfranco Rosi, documentario che racconta le vite che si muovono, i mondi invisibili che abitano il Grande Raccordo Anulare di Roma. Uno sguardo straordinariamente pudico e umile si mette a servizio di una umanità ai margini, raccontando individui buffi, estremi ma sempre autentici. Rosi fotografa un'Italia dimenticata, esteticamente brutta, che non pare nemmeno essere troppo interessata a integrarsi. Alcuni personaggi si rivelano indimenticabili: dall'intellettuale nobile piemontese al pescatore di anguille, dal veterano di fotoromanzi alle vecchie prostitute annoiate. Il presidente della Giuria Bernardo Bertolucci deve averne riconosciuto il significato politico, che va nella direzione opposta di quella di un cinema cerchiobottista e politicamente corretto (vedi Cotta e 'L'intrepido' di Amelio, cioè gli altri due film italiani in concorso). Una piccola sorpresa è arrivata, invece, dalla Cina con 'Trap Street' (voto 7) di Vivian Qu, che parte da uno spunto originale e arriva ad una riflessione sull'inquietudine e il senso di paranoia che attanaglia gli abitanti delle grandi città cinesi, sottoposti a un ossessionante controllo da parte degli organi di Stato. Dinamica narrativa coinvolgente, non banale, ottimi interpreti. Ma il miglior lavoro di questa prima tornata è sicuramente 'Tom à La Ferme' (voto 8) del ventiquattrenne canadese Xavier Dolan. E' la prima volta che amo un film il cui regista è più giovane del sottoscritto. Sto invecchiando. A parte questa dolente presa di consapevolezza, il giovane Xavier mostra una notevole maturità registica (nel lavoro con gli spazi, con il sonoro, negli improvvisi sbalzi di tensione) e una dimestichezza con le dinamiche psicologiche dei personaggi impressionante. Continui ribaltamente di ruolo, complessi edipici, sindromi di Stoccolma, omosessualità esplicita e latente. Si sfilaccia un po' nel finale, ciononostante rimane predominante un'idea di Cinema di assoluta intelligenza e carica emotiva.

Emiliano Dal Toso


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