martedì 24 marzo 2015

I Magnifici Sette: Gennaio - Marzo 2015

Hungry Hearts - Saverio Costanzo: la conferma di uno stile assolutamente unico oggi in Italia, che si distacca clamorosamente dalle regie televisive o da quelle impeccabili ma accademiche. Come ne La solitudine dei numei primi, si stimola la potenza dell'immagine per raccontare il deteriorarsi del corpo, attraverso un dramma famigliare che pone interrogativi e non offre risposte consolatorie, interessato a far sobbalzare lo spettatore, a tenerlo vivo e attivo durante la visione.

Italiano medio - Maccio Capatonda: Maccio rinuncia al bisogno di approvazione dello spettatore italiota e realizza un'opera inedita, sgradevole, tanto disgustosa quanto perfettamente indovinata. Il ritratto del Belpaese che viene fuori è deplorevole e drammaticamente reale, grazie alle armi del grottesco, del surreale e della deformazione dell'individuo, funzionali alla costruzione di un insieme che, d'istinto, rifiutiamo possa essere l'Italia ma ci rendiamo conto che sia davvero molto simile.

Whiplash - Damien Chazelle: un racconto di formazione furente, che riflette sull'impossibilità di non rinunciare agli aspetti più lievi e superficiali della vita, dovendoli sacrificare con l'applicazione e con la tensione costante di riuscire a realizzare i propri sogni. Storia di una psicosi a due tra maestro e allievo, tra padre e figlio, tra carnefice e vittima, sulle note di un pezzo jazz nervoso e sincopato. Eccezionali Miles Teller e J.K. Simmons, premiato con l'Oscar.

Vizio di forma - Paul Thomas Anderson: più l'intreccio si fa intricato, più appare manifesto l'intento di PTA di descrivere la lenta e malinconica fine della controcultura e, parallelamente, l'ingresso devastante e corruttore della macchina capitalista. Forse, questa volta la resa è stata meno accessibile delle altre ma ciò non toglie che nessun altro possiede il respiro epico, la grandiosa forza di raccontare le debolezze umane di questo meraviglioso cineasta.

Blackhat - Michael Mann: tra un inseguimento e una sparatoria, Michael Mann s'interroga sull'Uomo, osserva la sua solitudine, le sue angosce, i suoi addii. In un mondo virtuale che si riproduce e si copia a propria immagine e somiglianza, lui continua a riprendere una scena d'azione come se fosse una scena d'amore, e una scena d'amore come se fosse una scena d'azione. Pochi lo fanno, soltanto i più grandi, soltanto chi non conosce la differenza tra la passione per una donna e quella per un eroe.

Foxcatcher - Bennett Miller: le vittorie non sembrano mai essere assaporate davvero, mentre la sconfitta è costantemente attesa dietro l'angolo, perché il corpo non tiene, è destinato a consumarsi, ed ognuno di noi è facilmente corruttibile dal richiamo del denaro e dell'autodistruzione. Uno stile classico e asciutto al servizio di un terzetto d'attori in stato di grazia: inquietante Carell, ambiguo Ruffalo, ma Channing Tatum è il volto dell'inadeguatezza di fronte a una Nazione che insegue l'apparenza come punto d'arrivo.

Chi è senza colpa - Michael R. Roskam: altra storia americana oscura e pessimista, nella quale il passato non si cancella e la possibilità di redenzione tarda ad arrivare. Debitrice di Mystic River e di A History Of Violence, è l'occasione per ammirare la prova finale del compianto James Gandolfini ma anche per applaudire nuovamente le capacità di trasformazione di Tom Hardy, senza pagare pegno a forza e intensità. Si chiama Brooklyn ma potrebbe essere la putrida periferia di una qualsiasi città metropolitana.



Nessun commento:

Posta un commento