giovedì 3 settembre 2015

Venezia 72 - #Day2: Beasts of No Nation

L'ingrediente segreto del sesso è l'amore. Questa è la grande scoperta della protagonista di Nymphomaniac, ma per molti il sesso nel film di Lars von Trier non è altro che la cartina al tornasole per parlare di una passione molto più insana: il cinema. E per quanto il cinema di Cary Fukunaga sia formalmente impeccabile, visionario e spesso travolgente, dopo aver visto Beasts of No Nation sorge il sospetto che sia proprio l'amore a mancare nel suo sguardo da puro esteta dell'animo umano. Le tenebre hanno caratterizzato la prima stagione di True Detective: in un prodotto seriale, per rendere immortale un'idea di mondo possono essere sufficienti l'eleganza visiva, la battuta a effetto, un protagonista nichilista, fortemente marcato, e una spalla meravigliosamente umana. E, soprattutto, una narrazione avvincente e trascinante (merito, in questo caso, dello showrunner Nic Pizzolatto). Ma il Cinema è un'altra cosa, non per forza migliore o peggiore: semplicemente, un incanto di circa un paio d'ore che si regge in piedi grazie a qualcosa che non può essere etichettato, e neanche ben compreso. I grandi film sono quelli che possiedono qualcosa di magico e inspiegabile, in grado di avvolgere un'intera pellicola che può essere scarna, sporca, imperfetta tecnicamente, eppure incantevole. Si riconosce l'abilità di Fukunaga in diverse sequenze di Beasts of No Nation: dalle brutalità che il piccolo Agu è costretto a commettere per assecondare il rude comandante (Idris Elba) del gruppo di combattenti in cui è stato arruolato, riprese con una macchina da presa che volteggia in aria ad "altezza bambino", fino a un fenomenale piano sequenza che ricorda molto da vicino quello sontuoso, palpitante, del quarto episodio di True Detective, comincia a essere lampante la forte impronta del regista, la cura dei dettagli, l'importanza che viene assegnata alle location e alla fotografia. Ciononostante, l'originalità e la forza di questi aspetti non va di pari passo con una scrittura altrettanto potente. Il film è tratto dal libro Bestie senza una patria di Iweala Uzodinma ma l'originalità del soggetto originale rischia di invadere e schiacciare lo spazio che dovrebbe essere lasciato al coinvolgimento emotivo. Risultano chiaramente debitori di Terrence Malick (La sottile linea rossa, The New World) e di Apocalypse Now anche i passaggi più riflessivi, a cominciare dai flussi di coscienza fuori campo del giovane protagonista, che appaiono non così autentici, più di forma che di sostanza. E in un racconto di formazione talmente ambizioso, il peccato di artificiosità non può essere ignorato.

Emiliano Dal Toso


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