mercoledì 27 gennaio 2016

Il Pagellino: Gennaio 2016

Steve Jobs - Danny Boyle 10: terzo capitolo di Aaron Sorkin su uomini visionari e sulla contemporaneità, dopo The Social Network e Moneyball. Tre atti shakespeariani, cinici, senza cuore, travolgenti. Una canzone rap tradotta in immagini, parole mitragliate, vere e proprie rasoiate che attraversano uno dei personaggi più controversi e decisivi per quello che siamo oggi. La vita è sempre dietro le quinte, sul palcoscenico va in scena solo una versione dei fatti, la più commerciabile e concorrenziale. Capolavoro.

Carol - Todd Haynes 7: un melodramma che si distingue per il controllo delle emozioni, per un'esplosività quasi sempre rimandata. Haynes celebra il desiderio di libertà di due donne oppresse dalle convenzioni borghesi della New York degli anni Cinquanta: tutto è perfetto, esteticamente bellissimo, al limite del patinato. 

Daddy's Home - Sean Anders 7: Will Ferrell e Mark Wahlberg, ovvero due degli attori più simpatici di Hollywood, si contendono una bellissima Linda Cardellini più prole a suon di slapstick e sanissima demenza. Nessuno pretende chissà cosa, ma il film scorre davvero bene e ha un paio di momenti di puro genio iconoclasta.

Joy - David O. Russell 7: Jennifer Lawrence è bravissima nei panni di una working class hero che inventa quello che tutti conosciamo come mocio Vileda e realizza il Sogno Americano, alla faccia di parenti serpenti e del cinico mercato. Dopo Il lato positivo, ci si aspetta forse troppo da Russell: eppure l'affresco è più riuscito qui che nel sopravvalutato American Hustle.

Quo vado? - Gennaro Nunziante 7: piaccia o meno, Checco Zalone è il Paolo Villaggio e l'Alberto Sordi del nuovo millennio. E se avesse il coraggio di essere cattivo e scorretto fino in fondo, i suoi film sarebbero davvero l'ideale continuazione della "commedia all'italiana". Ad ogni modo, non si vedono altri autori in grado di raccontare il Paese di oggi meglio di lui.

Creed - Ryan Coogler 6: il film è scritto bene, retorico e nostalgico al punto giusto, eppure da fan di Rocky non posso nascondere una certa delusione nel vedere il nostro eroe a bordo ring. Balboa dovrebbe combattere sempre, perché il Mito non può e non deve avere età. Una specie di reboot per le nuove generazioni, meno convincente di Star Wars.

Il figlio di Saul - Laszlo Nemes 6: Olocausto e sonderkommando. La macchina da presa non molla mai il protagonista, gli orrori sono fuori campo o fuori fuoco: la sensazione è che il regista abbia cercato di trovare un punto di vista inedito per raccontare qualcosa che non si conosce già e che sollevi ulteriore indignazione. Ma la trovata stilistica rischia di oscurare la forza del contenuto.

La grande scommessa - Adam McKay 6: il regista di Anchorman e Step Brothers non era un cialtrone prima e non è un genio adesso. Il film si limita a raccontare gli eventi che portarono alla crisi economica del 2008 senza sviluppare una drammaturgia forte che renda davvero interessanti i personaggi. Sullo stesso tema, consigliamo di recuperare Margin Call di Chandor.

Little Sister - Hirokazu Kore-eda 6: un elogio della solidarietà femminile, molto carino, molto attento alle piccolezze, ai dettagli, alle sfumature. Certo, lo script non è irresistibile: si fosse trattata di una commedia americana con Cameron Diaz, Rachel McAdams e Susan Sarandon sarebbero piovute critiche violente da tutte le parti.

Piccoli brividi - Rob Letterman 6: Jack Black è uno dei talenti più sprecati del cinema americano, lo dico da sempre. In questo prodotto medio per ragazzi, che saccheggia Jumanji e ha il retrogusto dell'horror anni Ottanta, fa un figurone: peccato che si sia dimenticato che esiste anche qualcosa d'altro.

Macbeth - Justin Kurzel 5: una versione del capolavoro shakespeariano di cui non sentivamo la necessità, più vicina all'estetica pop di 300 che a Roman Polanski. Bravini ma non eccezionali Fassbender e la Cotillard, pochissimi gli spunti davvero originali: un ennesimo prodotto ad uso e consumo di un pubblico che il giorno dopo si dimentica di cosa ha visto.

Ti guardo - Lorenzo Vigas 4: povertà, disagio, pederastia e un tocco di giallo per un film pensato apposta per arruffianarsi i giurati dei festival e la critica più impegnata civilmente. Un Leone d'oro davvero surreale, scritto male, con scene (auto)erotiche gratuite e sensazionalistiche, e senza pathos genuino. 

Revenant - Redivivo - Alejandro G. Inarritu 4: western amorfo, senza sentimento, senza metafisica. Un delirio di onnipotenza da parte del regista più (auto)sopravvalutato del nuovo millennio: piani sequenza deliranti e interminabili, trovate narrative inverosimili e involontariamente divertenti. Leonardo DiCaprio e Tom Hardy non recitano più, ma ringhiano e sbraitano.

La corrispondenza - Giuseppe Tornatore 1: un film completamente inspiegabile, sbagliato dall'inizio alla fine. Dialoghi improbabili, riflessioni esistenzialiste che vanno oltre la farsa. Vogliamo bene a Peppuccio, può succedere. Però Jeremy Irons e Olga Kurylenko non vorremmo vederli mai più su uno schermo.









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