Brillante incontro tra Kevin Spacey/Richard Nixon, ma sempre in zona House of Cards, e Michael Shannon/Elvis Presley, due star destrorse ed egocentriche, che simpatizzano ironizzando sui Beatles. La Casa Bianca non è poi così diversa dalla Graceland del Re di Memphis. Siamo nel 1970 e per entrambi sta per cominciare un brusco declino, ma il film vuole concentrarsi soltanto sul brio di una sceneggiatura tanto semplice quanto divertente.
4 - The Beatles: Eight Days A Week - Ron Howard (voto 7)
Pareva che dovessimo essere di fronte al documentario definitivo sul quartetto di Liverpool, ma così non è. Ron Howard assembla tanto prezioso materiale d'archivio e realizza quello che è lecito aspettarsi da un buon documentarista e da un fan appassionato, dedicandosi soprattutto alla fortissima amicizia che legava il gruppo. Certo, nelle mani di un Julien Temple il risultato sarebbe stato diverso, ma ci si entusiasma per la mezz'ora live di bonus allo Shea Stadium.
3 - Questi giorni - Giuseppe Piccioni (voto 8)
Il miglior film italiano a Venezia 73: snobbato e sottovalutato. E invece è un raro e prezioso racconto di formazione, un on the road femminile che evita ogni rischio di giovanilismo e femminismo. Una somma di piccole cose, un insieme di frammenti emotivi e di incidenti che caratterizzano la vita di quattro ragazze autentiche, piene di sfumature. Piccioni pensa alla verità di quello che racconta: carinerie e macchiette sono lasciati al cinema che piace alla gente che piace.
2 - Café Society - Woody Allen (voto 8)
Woody al suo meglio, dopo il brutto Irrational Man sceglie di giocare in casa e si abbandona alla Hollywood degli anni Trenta, ai primi amori, al passato che torna, ma che non può essere recuperato. E all'accettazione di essere diventati come non avremmo mai voluto. Il suo alter-ego, questa volta, è il meravigliosamentee ebreo Jesse Eisenberg, mentre la sua musa è la radiosa Kristen Stewart, sempre più brava: come in Sils Maria, un fantasma di cui non vogliamo fare a meno.
1 - Frantz - Francois Ozon (voto 10)
Per chi scrive, il capolavoro di Venezia 73. E, senza dubbio, il miglior film di Francois Ozon. Un melodramma che ripensa Lubitsch (L'uomo che ho ucciso) e che guarda a Reitz e Haneke, ma che possiede una forza unica e struggente: una tensione di morte costante fa da sfondo a una delle più profonde e poetiche riflessioni sul suicidio. Ma il finale, magnifico, è un inno alla vita e alla necessaria e dolorosa presa di consapevolezza della propria libertà. Memorabile.