giovedì 12 luglio 2012

All Summer Long: Adventureland

'Adventureland' è quel magone che sale nel petto quando ci guardiamo indietro e ci ricordiamo le estati più belle della nostra vita. Che, c'è poco da fare, coincidono con le prime volte: la prima volta che siamo andati a ballare, la prima volta che ci siamo sbronzati, la prima volta che ci siamo innamorati. Chi ha inventato l'estate, probabilmente, ha pensato che serviva un periodo di due-tre mesi per passare dall'età dell'innocenza a quella della giovinezza, dell'avvicinamento alle gioie e alle disgrazie. Storie di amicizia, di sogni e di letti bagnati. Non è obbligatorio andare in vacanza, può anche capitare di essere costretti a lavorare in un parco divertimenti, in attesa di venire ammessi all'università. Questo capita al protagonista James Brennan, interpretato dal Jesse Eisenberg di 'The Social Network', circondato da personaggi non troppo alla moda, colleghi stralunati che, forse, non vedrà più nel corso della vita ma che non dimenticherà mai. Con loro si è annoiato, si è divertito e si è confidato. In quell'estate del 1987, Brennan, adolescente impacciato, ha creduto che le emozioni e i sentimenti potessero invaderlo per sempre. Benchè sfuggente e istantaneo, l'innamoramento rende indimenticabile anche il contorno, tutto ciò di cui altrimenti non ci accorgeremmo. Anche la noia sembra più piacevole, perchè si tramuta in attesa, in formicolio, in entusiasmo, il più delle volte ingiustificato. Tanto più quando la ragazza che ci sta facendo perdere la testa è Kristen Stewart, ha la nostra età ed è troppo bella per essere vera, e sembra incredibile che, noi e lei, stiamo condividendo qualcosa che è presente, ed è reale, e che diventerà un magnifico ricordo. Il regista Greg Mottola disegna l'altra faccia della medaglia di 'Suxbad' (capolavoro demenziale), sostituendo l'irruenza ormonale e cameratesca con il battito cardiaco accellerato, il mal di pancia, e gli occhi sempre aperti, la testa sempre assente, perduta nel dolcissimo pensiero di quello che non c'è ma che vorremmo noi. Tutto troppo poco concreto, tutto troppo bello e inafferrabile. E quelle canzoni che c'erano allora rimarranno sempre la nostra colonna sonora, saranno indelebili, mentre quelle che verranno dopo sembreranno sempre meno importanti, un po' inutili, senza sapore. 'Adventureland' possiede lo stesso gusto di Proust per le madeleine, trasmette la stessa nostalgia canaglia. E' un trionfo per tutti coloro che guardano costantemente nello specchietto retrovisore e per tutti quelli che amano l'idea dell'amore, molto di più dell'amore in sè. Guarda caso, non è il solo racconto di formazione ambientato nel periodo estivo: da 'Stand By Me' a Bertolucci, da Rohmer a 'Y tu mama tambien', quanto bel cinema intravede nell'estate una stagione tutt'altro che spensierata, anzi, il terreno ideale per costruire i primi approcci all'inquieto vivere.

Emiliano Dal Toso

mercoledì 11 luglio 2012

The Amazing Spider-Man (voto 7) IL FILM DEL MESE

Chiariamolo subito. 'The Amazing Spider-Man' ha il grande difetto di venire dieci anni dopo il primo film di Sam Raimi e solo cinque anni dopo l'ultimo episodio. Non si è mai visto nella storia del cinema un reboot così veloce. Christopher Nolan era ripartito da zero con 'Batman Begins' otto anni dopo l'ultimo Batman di Schumacher (che proseguiva la serie di Tim Burton) ma, signori, stiamo parlando di Nolan, uno che all'epoca aveva già acquisito la nomea di autore dopo solo tre film. In questo caso, dietro la macchina da presa ci va il misconosciuto Marc Webb, alla seconda fatica dopo l'ottima commedia sentimentale '500 giorni insieme'. Webb riesce nell'impresa di compiere un lavoro eccellente, più leggero e cazzaro di quello di Raimi. Comparando le due diverse impostazioni, la mia personalissima tendenza a preferire l'onestà intellettuale, la semplicità e il divertimento all'ambizione e alla necessità di oltrepassare i limiti del puro intrattenimento mi porterebbe a sentenziare che questa nuova versione dell'Uomo Ragno è migliore di quella precedente. Dall'altra parte, però, non si possono dimenticare il travaglio e la sfortuna che precedettero il film di Raimi, che coprì in extremis i buchi lasciati da James Cameron e Ang Lee e si dovette cimentare nella trasposizione cinematografica di un fumetto che conosceva soltanto per sentito dire. Per non parlare della tragedia dell'undici settembre che costrinse a ritoccare, in fase di post-produzione, diverse sequenze. I clamorosi risultati al botteghino hanno dato comunque ragione al regista de 'La casa'. Non ho mai amato troppo quello Spider-Man, nemmeno a quindici anni. Troppa cupezza, troppa pesantezza, pochi passaggi davvero "ignoranti". Avrei preferito una versione più simile a quella di questo 'The Amazing', che si caratterizza per maggiore spettacolarità e per una migliore sensibilità nella descrizione dei rapporti interpersonali. E, soprattutto, per una grandiosa scelta di casting. Andrew Garfield è un Peter Parker molto più simpatico, più autoironico e meno sfigogrigio ed, inoltre, ha una notevolissima gamma espressiva, a differenza di Maguire. Seppur bella, Emma Stone è forse meno bella di Kirsten Dunst ma il suo personaggio di Gwen Stacy è indubbiamente più vivace, consapevole di essere la donna di un supereroe e di avere, in proporzione, altrettante responsabilità. Mary Jane, tutto sommato, non era altro che una gattamorta divisa tra la tenerezza nei confronti di uno sfigato e la sicurezza economica che le poteva garantire la ricca famiglia Osborn. Proseguiamo. Gli zii Martin Sheen e Sally Field (sticazzi!) lasciano da mangiare la polvere a Cliff Robertson e a Rosemary Harris. E il cattivo Lizard del grandissimo Rhys Ifans non ha assolutamente niente da invidiare al Goblin di Willem Dafoe. Insomma, si ride di più, ci si distrae di più e ci si emoziona di più: scusate, che cos'altro volevate chiedere all'Uomo Ragno?

Emiliano Dal Toso

All Summer Long: Il Compleanno

Nel 2009 viene presentata alla Mostra di Venezia l’opera prima di Marco Filiberti. 'Il Compleanno', ambientato tutto d’estate, tratta il tema dell’omosessualità. Matteo, psicanalista di successo, è il marito di Francesca e il padre di una giovane bambina.  Durante le vacanze estive con una coppia di amici, il figlio di questi ultimi scatenerà le tentazioni represse di Matteo. Il pregio di questa storia è quella di non cadere nello scabroso, ma di mostrarci in profondità il cambiamento del comportamento di un uomo nel momento in cui si accorge di amare un altro uomo, pur avendo una famiglia. Il regista è sorretto da un cast di attori esperti (Maria de Medeiros e Alessandro Gassman) e meno famosi (Massimo Poggio, Michela Cescon,  Hristo Jivkov) ma indovinati. Fra tutti spicca il burlone Gassman che dà un tocco di leggerezza, con battute divertenti e sdrammatizzanti. Sebbene alcune situazioni siano scontate e qualche slancio di sceneggiatura pecchi di originalità, Filiberti ha il coraggio di affrontare un tema ancora delicato per il cinema italiano; tutto ciò è già una vittoria perché non si è scaduto nel banale, non sì e fatta solo pura retorica e, ancora di più, si è evitato di utilizzare lo  scandalo per autopromuoversi. A differenza di alcuni registi nostrani (Ozpetek?) che dovrebbero imparare l’arte della naturalezza e della semplicità. Speriamo che grazie a giovani autori come Filiberti e Guadagnino ('Io sono l'amore') possa sorgere una nuova maturità per il cinema italiano.

Luca Recordati


sabato 7 luglio 2012

Un Quarto di Decennio - i 5 Film Fondamentali

The Social Network - David Fincher/Emiliano Dal Toso
Il vero Zeitgeist del nuovo millennio. Un ottimo regista al servizio di una sceneggiatura a orologeria, incalzante, cinica, senza tregua. Un cast di attori emergenti che stanno già segnando la nuova Hollywood (Eisenberg, Garfield, Mara). Un film sull'Oggi, sulla velocità, sull'insensibile frenesia, sulla schiuma dei giorni. Ma, soprattutto, su un'amicizia tradita. Non basteranno mai milioni di amici virtuali quando la solitudine è parte di noi, e se il primo amore è un'ossessione, per nulla magnifica.

Il Cigno Nero - Darren Aronofsky/Ivan Brentari
Black Swan non è veramente un film. Ha la profondità, la complessità, la brutalità animalesca di un'opera letteraria. Arronofsky prende gli incubi dell'umanità disgraziata, li plasma, li deforma, li nega, li esalta, li presenta con una immaginifica semplicità. Un film che sembra un libro, una canzone che racchiude in quattro minuti la storia di un film, un libro che sa colorare, con le parole, le proprie pagine, come fossero la tela di un quadro. Insomma, la bellezza meticcia.

The Tree Of Life - Terrence Malick/Giancarlo Mazzetti
Molto pretenzioso, forse troppo. Finisce con l'essere un film doppio: una parte - quella legata al microcosmo familiare - bellissima, con un ottimo Brad Pitt; l'altra - quella riferita all'infinito, allo spazio e alla dimensione onirica - più potente dal punto di vista dell'immagine ma meno puntuale e, forse, eccessiva. Un film complesso, fortemente simbolico; si può discuterne all'infinito, ma Malick ha il coraggio di ritrovare il senso primo della Settima Arte nel contesto del cinema attuale.

Melancholia - Lars Von Trier/Luca Recordati
Lars Von Trier riesce nell’intento di creare un film sulla fine del mondo e più ci si avvicina alla conclusione della storia, più l’angoscia cresce, fino al catastrofico finale. Ma il film è soprattutto una riflessione sulla disgregazione della famiglia e sul fallimento delle aspettative. Si può ricollegare a 'The Tree Of Life' di Malick per le tematiche, ma non per il modo di trattarle. Qui pervadono depressione, cupezza, melanconia.

The Artist - Michel Hazanavicius/
Alvise Wollner
Passato alla Storia come il film simbolo dell'annata cinematografica appena trascorsa, 'The Artist' è uno dei più veri e sinceri omaggi alla Settima Arte. Girato in un bianco e nero d'altri tempi, ha il suo pregio più grande nell'essere un film muto che vuole parlarci dell'avvento del sonoro. Pellicola fuori dal tempo, giocata sui clichè del Cinema classico hollywoodiano, deve buona parte del suo successo all'immensa prova attoriale di Jean Dujardin. Per i cinefili, l'effetto nostalgia è assicurato.



mercoledì 4 luglio 2012

All Summer Long: L'Estate Di Kikujiro

- Signore, ma tu come ti chiami? -
- Kikujiro, scemo...A casa, di corsa! -

Takeshi,
il puttaniere. Kikujiro/Kitano è un uomo, un adulto, uno yakuza dai modi bruschi. E' sposato, ma non si fa problemi ad andare a puttane al primo momento libero. Appena ha l'opportunità di spendere qualche soldo, corre subito al velodromo per scommettere sulle corse dei ciclisti. E' un bricconcello, un attaccabrighe, che si sente realizzato fregando il prossimo nelle piccole cose (del tipo, rubare un taxi piuttosto che il cibo a un passante che aspetta con lui l'autobus, spacciarsi come cieco per ottenere un passaggio e lanciare sassate a un camionista che si è rifiutato di darglielo). Non va più in nessuna direzione, è praticamente disilluso ma il suo sguardo amaro, malinconico lascia intendere che prima di oggi c'era qualcosa a cui teneva e che ha perso. Si offre di accompagnare il piccolo Masao, alla ricerca della madre, da Tokyo a Toyoashi durante i primi giorni d'estate, quando le famiglie più benestanti partono per il mare, mentre i solitari e i meno fortunati sono costretti a rimanere in città.
Takeshi, il pittore. I primi giorni d'estate di Masao e del suo accompagnatore Kikujiro passano attraverso paesaggi accesi e colorati da una parte, desolati e sperduti dall'altra. Sono terre di nessuno quelle che fanno da sfondo al loro viaggio: campi di granoturco, terre boscose, ma anche un imponente albergo modernissimo che si erge nella desertica periferia giapponese. E, soprattutto, la bianchissima spiaggia metafisica (classico topos del cinema kitaniano) come posto dell'anima, ritrovo di personaggi un po' balordi, ma fantasiosi, autentici. Gli angeli azzurri e i demoni rossi sono costantemente presenti nell'immaginario del bambino, come esorcizzazione della realtà. Il sogno è il luogo nel quale si scopre che ciò che ha ferito, che ha fatto male non può essere cancellato, però può essere rielaborato dalla fantasia. L'immaginazione è un punto d'arrivo, il contenuto della vita.
Takeshi, il poeta. 'L'estate di Kikujiro' è un film che parla delle delusioni, in maniera narrativamente rivoluzionaria. La vicenda si conclude praticamente a metà, poi inizia una seconda parte (quella del ritorno a Tokyo), parallela alla prima. Andata - fine - ritorno. O meglio, risata - lacrima - risata. Se il percorso dei due protagonisti si caratterizza inizialmente da un insieme di disavventure dovute alla goffaggine del ciarlatano Kikujiro, per le quali si ride di lui e non con lui, si trasforma in seguito nella celebrazione del ritorno all'infanzia come unica possibilità per fuggire alle sofferenze e al dolore. Il grande Kikujiro non è la guida che conduce il piccolo Masao nell'approccio all'età adulta ma è quest'ultimo a far regredire il primo all'infanzia. Per consolare il bambino dopo l'enorme delusione che ha dovuto subire e con l'aiuto di qualche strambo individuo incontrato per strada, il ritorno di Kikujiro è una continua invenzione di giochi, che rappresentano una forma di protesta degli sconfitti contro le ingiustizie della vita. Seppur abbandonati, grazie alla creatività, al genio, al divertimento, il mondo può tornare a essere un luogo di meraviglia e di stupore. Guarda caso, Kikujiro/Kitano coinvolge proprio i più disadattati, chi non vuole integrarsi: un sedicente poeta-filosofo senza dimora, due motociclisti metallari ribattezzati "il ciccione" e "il pelato". E non importa se durante tutto il viaggio il piccolo Masao non fosse a conoscenza del nome di chi è riuscito ad alleviare le sue lacrime. Quello che conta è che Kikujiro/Kitano sia riuscito nell'impresa eroica di far commuovere grazie alla sincerità e al pudore, malgrado nelle nostre vite non ci sia mai stato nessuno presente, in grado di insegnarcelo.

Emiliano Dal Toso

All Summer Long: Ferie D'Agosto

Emiliano, che conosce alla prefezione il concetto di nazionalpopolarità, ha voluto fare questa mini-rassegna sui film estivi. Forse suonerà come qualcosa di già sentito, però è pacificante, come il 50-60% delle cose nazionalpopolari. Rilassante, come una birra bevuta da soli alle sei e mezza del pomeriggio agostano, milanese, assassino. Il film che mi ha assegnato è "Ferie d'agosto" (1995) di Paolo Virzì. Pellicola limitata, indubbiamente. Tuttavia il mio cervello la mette automaticamente in relazione all'estate, perchè è il classico film che si becca in seconda/terza serata, tra giugno e settembre, su Rete4, dopo la presentazione made in Emanuela Folliero, col sottofondo di "If it makes you happy" di Sheryl Crow. Su una bella isoletta italiana vengono a consesso due famiglie allargate, che si ritrovano ad essere vicine di case di villeggiatura. Una gravita attorno, per così dire, a quella subcultura della sinistra decadente molto prossima al radicalchicchismo, ed è composta da Silvio Orlando, Laura Morante, Gigio Alberti e altra gente che non mi ricordo, o che poi comunque è sparita. Una sorta di banale comune tutta canne, confusi discorsi ideologici, repressa voglia di sesso, esibito libertinismo, chitarre, intellettualismo. L'altra è composta da due sorelle con i rispettivi mariti e la prole. Il marito A (Fantastichini, sottovalutatissimo attore, in realtà uno dei migliori in Italia) è un uomo sicuro di sè, che domina l'impacciato ma buono marito B, ed esercita su di lui la propria arroganza, non perdendo occasione di rinfacciargli la propria superiorità. Per di più vorrebbe trombargli la moglie, cioè la cognata Sabrina Ferilli. È un machista, un armaiolo, uno xenofobo, un fascistoide semiconsapevole. Insomma, lui e la sua affollata famiglia rappresentano tutta quella parte d'Italia che, per ignoranza o per quieto vivere, ha sempre scelto l'indifferenza antipolitica, trasformandola, all'occorrenza, in conservazione, in reazione. Ha sempre votato DC, quando c'era la DC, e, tra un governo anche solo un po' più che scialbamente progressista e una soluzione autoritaria, ha sempre preferito la seconda opzione, perchè lo vuole la Chiesa, e perchè tutto sommato con Mussolini i treni arrivavano in orario. Ovviamente anche perchè i comunisti mangiano i bambini. Nel dibattito storiografico questa grande massa umana, emersa prepotentemente subito dopo il 1945, si chiama "zona grigia". Ed è una delle concause dei ritardi democratici che ancora oggi patiamo. L'impostazione bipolarista del film di Virzì è evidente e scontata. La realtà si divide in due. Tutto sommato c'è il buono di qua e di là, perchè gli italiani sono brava gente, si sa, e nel calderone alla fine ci stiamo tutti bene: tanto vale celebrarla questa capacità di adattamento, aggiungendovi qualche piccolo dramma personale e qualche umana bassezza. Per fortuna, però, l'esistenza è più sfaccetata di così e rifiuta la piatta bipartizione. Insomma "Ferie d'agosto" è un film godibile se lo si vede in compagnia della birretta di cui sopra, se no è il tipico film di cui si dice, col sorriso sulle labbra, «è un po' una cagata".

Ivan Brentari

 

domenica 1 luglio 2012

All Summer Long: Lords Of Dogtown

Chi di noi, almeno una volta nella vita, non ha sognato di passare un'intera estate sotto il sole degli splendidi litorali californiani? I tramonti in riva all'Oceano, la musica a tutto volume, ragazzi spericolati che cavalcono instancabili le onde, il divertimento irresistibile, vagonate di alcolici e belle donne. Di sicuro starete pensando: certo, ecco l'ennesima sfilza di luoghi comuni. Invece, signori, qui la faccenda è un po' diversa e se vi capiterà di guardare "Lords of Dogtown", diretto da Catherine Hardwicke, capirete che tutti i sogni che costituiscono l'immaginario da favola delle estati californiane non sono impossibili, esistono davvero. A metà strada tra lo stile documentaristico e quello del cinema di finzione, il film non offre un'immagine patinata o commerciale delle estati in riva al Pacifico ma ci riporta, con un'apprezzabile serie di scelte artistiche, a rivivere quel magico momento degli anni'70 in cui tre giovani surfers ebbero l'intuizione di trasferire il "volo sull'acqua" sull'asfalto di Venice Beach in California. La grande qualità dell'opera è quella di non essere una didascalica trasposizione di come andarono all'epoca i fatti ma di trasformarsi in una parabola simbolo della vita quotidiana. Dogtown, diventata oggi simbolo del divertimento cool nella West Coast, era uno dei posti più malfamati negli Anni 70. E così anche i nostri tre protagonisti danno vita alle loro storie partendo da una condizione di estrema povertà, raggiungendo il successo e rischiando di venire fagocitati dal capitalismo conformista, in una società mai sazia, corrosa dall'arrivismo. Trascinante la colonna sonora, notevoli le riprese acrobatiche, giovane e dannato l'intero cast. Il film della Hardwicke, però, non è esente da imperfezioni: il suo non saper scegliere se schierarsi dalla parte del documentario (che gli avrebbe conferito un maggiore lirismo) oppure del film finzionale, lo impoverisce molto. Dando più spazio alla narratività, la pellicola perde il contatto con la strada, la realtà si trasforma consegnandoci una sensazione fittizia, non immediatamente percepibile da chi non ha dimestichezza con questi temi. Fatto sta che mentre si guardano quei giovani, pieni di voglia di vivere, con il vento tra i capelli e con i piedi sopra una tavola di legno, ci si dimentica un po' di tutto e si viene travolti da un'ondata di gioia ed euforia che solo l'estate è in grado di regalare.

Alvise Wollner