Presentato all'ultimo Festival di Cannes, 'Il sospetto' di Thomas Vinterberg racconta il dramma di un uomo, un brav'uomo, un uomo comune, che viene accusato ingiustamente di pedofilia. La vicenda si svolge in una piccola comunità danese, nella quale tutti conoscono tutti e tutti sanno tutto di tutti. Ciò significa che venire etichettati in una determinata maniera equivale alla morte sociale. Questo è il sunto del film del regista danese, uno dei fondatori del Dogma 95, insieme a Lars Von Trier. 'Il sospetto' ha sia pregi sia difetti. Il fatto che lo spettatore sappia immediatamente che il protagonista è innocente significa schierarsi dalla sua parte, stabilire subito chi sia il buono e quali siano i cattivi. Caratteristica narrativa certamente non presente in un giallo o in un thriller. Siamo, dunque, di fronte a un dramma, coinvolgente, in grado di scuotere. Va anche detto che lavorare su un registro così definito è più semplice, perchè può essere rincarata la dose. Lo spettatore segue le ingiustizie subìte dal protagonista, di pari passo, soffre con lui e si indigna per la graduale escalation di torti e di umiliazioni che gli vengono inflitte. Il coinvolgimento emotivo è enorme ma, da un certo punto di vista, disonesto. La sensazione che ho avuto alla fine di 'Il sospetto' è stata la stessa di 'Festen', il lavoro più famoso di Vinterberg nonchè il Dogma #1: quella di un cinema ricattatorio, che non dà troppo spazio alla elaborazione e alla interpretazione autonoma. Quello che non fa, ad esempio, un regista come Lars Von Trier, o che almeno non fa più. Ciononostante, 'Il sospetto' merita di essere visto se non che per la grande interpretazione di Mads Mikkelsen, premiato con la Palma. Ed è, comunque, sempre meglio un cinema che prende una posizione, che si pone l'obiettivo di turbare, rispetto a quel cinema neutrale, democratico, che vuole piacere a tutti i costi. Meglio anche il titolo inglese 'The Hunt', la caccia, per distinguersi dal capolavoro hitchcockiano.
Emiliano Dal Toso