Che bello che non abbia vinto l'Oscar per miglior film La La Land, che liberazione! Dopo gli incassi buoni ma tutt'altro che epocali e il mancato trionfo nella notte degli Academy Awards, si può affermare definitivamente che non saremo costretti a doverlo considerare il grande film del "nostro tempo": frasi come "se non vi piace La La Land non avete cuore" oppure "siete degli scemi se non riconoscete i meriti di La La Land" possono essere rispedite ai mittenti, con grandissima serenità. La La Land è riuscito a far tirar fuori il peggio di chi scrive di cinema: non bisogna dimenticare che qualsiasi opinione - anche la più autorevole - è sempre un punto di vista, una lettura suggerita, e mai una verità assoluta.
Come previsto, i riconoscimenti hanno confermato la reazione decisa dell'Academy alla nuova presidenza di Donald Trump e agli #OscarsSoWhite dell'anno scorso: vanno in questa direzione la vittoria di Moonlight nella categoria principale, ma soprattutto quella dell'iraniano Il cliente di Asghar Farhadi come miglior film straniero. Tra i documentari, Fuocoammare non è riuscito a superare il favoritissimo OJ: Made in America: è stata già una grande impresa per il nostro Gianfranco Rosi riuscire a entrare in una cinquina molto equilibrata e di altissimo livello.
La forte impronta afroamericana di questa edizione risiede anche nella scelta dei vincitori non protagonisti: nella categoria maschile ha vinto Mahershala Ali (Moonlight), ma avremmo preferito Michael Shannon (Animali notturni) o Jeff Bridges (Hell or High Water); indiscutibile invece la prova di Viola Davis in Barriere: ciononostante, ci spiace che la magnifica Michelle Williams - giunta alla quarta nomination - non abbia ancora ottenuto la statuetta, e qui contribuisce a donare in sole tre scene a Manchester by the Sea una luminosa fragilità. Lo stupendo dramma famigliare di Kenneth Lonergan vince però con grande merito l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale. E il premio per cui siamo maggiormente felici è quello assegnato a Casey Affleck come attore protagonista, potente e dolente in una prova di sottrazione ed emotivamente devastante. Peccato che la nostra amata Natalie Portman non sia riuscita a portarsi a casa il secondo Oscar per Jackie, fiera ed elegante vedova Kennedy, dopo il suo indimenticabile Cigno Nero: la spunta Emma Stone, come da pronostico.
Premiando Moonlight l'Academy ha voluto trasmettere un segnale che va oltre il puro merito cinematografico: ben venga. Il film di Barry Jenkins è un efficace racconto di formazione che si confronta con la vita dura di un ragazzo afroamericano che si scopre gay e combatte con degrado, bullismo, solitudine ed emarginazione: il risultato è nobile, ma forse insegue eccessivamente una voglia matta di autorialità e realismo attraverso un ritmo a tratti prolisso. Ad ogni modo, è l'opera indie che si aspettava Hollywood dopo le accese polemiche dell'anno scorso, a riprova del fatto che gli Oscar sono un affare politico che non può rinunciare a equilibri e compensazioni.
Emiliano Dal Toso
La forte impronta afroamericana di questa edizione risiede anche nella scelta dei vincitori non protagonisti: nella categoria maschile ha vinto Mahershala Ali (Moonlight), ma avremmo preferito Michael Shannon (Animali notturni) o Jeff Bridges (Hell or High Water); indiscutibile invece la prova di Viola Davis in Barriere: ciononostante, ci spiace che la magnifica Michelle Williams - giunta alla quarta nomination - non abbia ancora ottenuto la statuetta, e qui contribuisce a donare in sole tre scene a Manchester by the Sea una luminosa fragilità. Lo stupendo dramma famigliare di Kenneth Lonergan vince però con grande merito l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale. E il premio per cui siamo maggiormente felici è quello assegnato a Casey Affleck come attore protagonista, potente e dolente in una prova di sottrazione ed emotivamente devastante. Peccato che la nostra amata Natalie Portman non sia riuscita a portarsi a casa il secondo Oscar per Jackie, fiera ed elegante vedova Kennedy, dopo il suo indimenticabile Cigno Nero: la spunta Emma Stone, come da pronostico.
Premiando Moonlight l'Academy ha voluto trasmettere un segnale che va oltre il puro merito cinematografico: ben venga. Il film di Barry Jenkins è un efficace racconto di formazione che si confronta con la vita dura di un ragazzo afroamericano che si scopre gay e combatte con degrado, bullismo, solitudine ed emarginazione: il risultato è nobile, ma forse insegue eccessivamente una voglia matta di autorialità e realismo attraverso un ritmo a tratti prolisso. Ad ogni modo, è l'opera indie che si aspettava Hollywood dopo le accese polemiche dell'anno scorso, a riprova del fatto che gli Oscar sono un affare politico che non può rinunciare a equilibri e compensazioni.
Emiliano Dal Toso