sabato 30 gennaio 2016

The Hateful Eight

The Hateful Eight è il primo passo falso di Quentin Tarantino. Difficile ammetterlo senza il rischio di sembrare sentenziosi ed effettistici, ma nei panni di blogger snob sono pronto ad assumermi il rischio. Ho sempre visto la filmografia di Quentin come un percorso diviso in due parti, abbastanza distanti: il primo è quello dei tre film degli anni Novanta (Le iene, Pulp Fiction, Jackie Brown), dove il regista presentava il proprio stile, unico e inimitabile grazie alla commistione tra il piacere di fare cinema e una specie di "malattia nera" che contaminava ogni sequenza; il secondo è quello dei quattro lavori successivi (Kill Bill, Grindhouse, Bastardi senza gloria, Django Unchained), dove Tarantino si è lasciato guidare dal proprio ormone fanzinaro e, con bravura soprannaturale, ha saputo definire una poetica militante e anti-intellettualistica costituita da citazioni in grado di comporre i tasselli di un'autentica e originale concezione di Puro Cinema, ottenuta con la gioia dell'appassionato e con il talento dell'artista, del fuoriclasse. Faccio fatica a collocare The Hateful Eight non soltanto nella prima categoria, ma anche nella seconda: il motivo è che nelle tre ore abbondanti di visione non ho mai avuto la sensazione di riconoscere questa gioia di giocare con il cinema, questa necessità dettata dai bassi istinti di cinefilo. Ed è vero, il film "tarantineggia" anche di più delle opere precedenti: i dialoghi sono ancora più lunghi, l'intreccio è ancora più irregolare e frammentario, la recitazione è ancora più caricata. Eppure, sembra che Quentin abbia smarrito quella voglia di sorprendere e disorientare, di ribaltare i codici, di rendere i suoi personaggi iconici e mitici. Il principale difetto di The Hateful Eight è quello di essere monocorde dall'inizio alla fine: sulla carta, le sorprese narrative non dovrebbero mancare, ma non incidono, non graffiano; gli attori si limitano a gigioneggiare e non contribuiscono a dare spessore alla scrittura dei caratteri. Prendiamo, per esempio, Tim Roth e Samuel L. Jackson: i loro Oswaldo Mobray e Marquis Warren risultano uno stereotipo del tarantinismo, non attribuendo alcun valore aggiunto a un archetipo di personaggi che abbiamo già avuto modo di conoscere (e apprezzare) negli altri film. Tra lo spettatore e la messa in scena c'è troppa distanza: Quentin è finito per innamorarsi talmente tanto del proprio universo da dimenticare quei magnifici espedienti che lo rendevano così anarchico e vitale. Poca ironia (non si ride quasi mai), niente furia iconoclasta: purtroppo, prevale l'impressione che The Hateful Eight sia stato partorito come un atto doveroso del regista nei confronti di un genere, il western, verso cui si pone in maniera quasi timorosa, come se una rivisitazione in chiave pop e distruttiva non fosse davvero permessa. E così, per la prima volta, l'ammirazione di Tarantino per i suoi poster appesi in cameretta finisce per dominare la sua creatività.

Emiliano Dal Toso



mercoledì 27 gennaio 2016

Il Pagellino: Gennaio 2016

Steve Jobs - Danny Boyle 10: terzo capitolo di Aaron Sorkin su uomini visionari e sulla contemporaneità, dopo The Social Network e Moneyball. Tre atti shakespeariani, cinici, senza cuore, travolgenti. Una canzone rap tradotta in immagini, parole mitragliate, vere e proprie rasoiate che attraversano uno dei personaggi più controversi e decisivi per quello che siamo oggi. La vita è sempre dietro le quinte, sul palcoscenico va in scena solo una versione dei fatti, la più commerciabile e concorrenziale. Capolavoro.

Carol - Todd Haynes 7: un melodramma che si distingue per il controllo delle emozioni, per un'esplosività quasi sempre rimandata. Haynes celebra il desiderio di libertà di due donne oppresse dalle convenzioni borghesi della New York degli anni Cinquanta: tutto è perfetto, esteticamente bellissimo, al limite del patinato. 

Daddy's Home - Sean Anders 7: Will Ferrell e Mark Wahlberg, ovvero due degli attori più simpatici di Hollywood, si contendono una bellissima Linda Cardellini più prole a suon di slapstick e sanissima demenza. Nessuno pretende chissà cosa, ma il film scorre davvero bene e ha un paio di momenti di puro genio iconoclasta.

Joy - David O. Russell 7: Jennifer Lawrence è bravissima nei panni di una working class hero che inventa quello che tutti conosciamo come mocio Vileda e realizza il Sogno Americano, alla faccia di parenti serpenti e del cinico mercato. Dopo Il lato positivo, ci si aspetta forse troppo da Russell: eppure l'affresco è più riuscito qui che nel sopravvalutato American Hustle.

Quo vado? - Gennaro Nunziante 7: piaccia o meno, Checco Zalone è il Paolo Villaggio e l'Alberto Sordi del nuovo millennio. E se avesse il coraggio di essere cattivo e scorretto fino in fondo, i suoi film sarebbero davvero l'ideale continuazione della "commedia all'italiana". Ad ogni modo, non si vedono altri autori in grado di raccontare il Paese di oggi meglio di lui.

Creed - Ryan Coogler 6: il film è scritto bene, retorico e nostalgico al punto giusto, eppure da fan di Rocky non posso nascondere una certa delusione nel vedere il nostro eroe a bordo ring. Balboa dovrebbe combattere sempre, perché il Mito non può e non deve avere età. Una specie di reboot per le nuove generazioni, meno convincente di Star Wars.

Il figlio di Saul - Laszlo Nemes 6: Olocausto e sonderkommando. La macchina da presa non molla mai il protagonista, gli orrori sono fuori campo o fuori fuoco: la sensazione è che il regista abbia cercato di trovare un punto di vista inedito per raccontare qualcosa che non si conosce già e che sollevi ulteriore indignazione. Ma la trovata stilistica rischia di oscurare la forza del contenuto.

La grande scommessa - Adam McKay 6: il regista di Anchorman e Step Brothers non era un cialtrone prima e non è un genio adesso. Il film si limita a raccontare gli eventi che portarono alla crisi economica del 2008 senza sviluppare una drammaturgia forte che renda davvero interessanti i personaggi. Sullo stesso tema, consigliamo di recuperare Margin Call di Chandor.

Little Sister - Hirokazu Kore-eda 6: un elogio della solidarietà femminile, molto carino, molto attento alle piccolezze, ai dettagli, alle sfumature. Certo, lo script non è irresistibile: si fosse trattata di una commedia americana con Cameron Diaz, Rachel McAdams e Susan Sarandon sarebbero piovute critiche violente da tutte le parti.

Piccoli brividi - Rob Letterman 6: Jack Black è uno dei talenti più sprecati del cinema americano, lo dico da sempre. In questo prodotto medio per ragazzi, che saccheggia Jumanji e ha il retrogusto dell'horror anni Ottanta, fa un figurone: peccato che si sia dimenticato che esiste anche qualcosa d'altro.

Macbeth - Justin Kurzel 5: una versione del capolavoro shakespeariano di cui non sentivamo la necessità, più vicina all'estetica pop di 300 che a Roman Polanski. Bravini ma non eccezionali Fassbender e la Cotillard, pochissimi gli spunti davvero originali: un ennesimo prodotto ad uso e consumo di un pubblico che il giorno dopo si dimentica di cosa ha visto.

Ti guardo - Lorenzo Vigas 4: povertà, disagio, pederastia e un tocco di giallo per un film pensato apposta per arruffianarsi i giurati dei festival e la critica più impegnata civilmente. Un Leone d'oro davvero surreale, scritto male, con scene (auto)erotiche gratuite e sensazionalistiche, e senza pathos genuino. 

Revenant - Redivivo - Alejandro G. Inarritu 4: western amorfo, senza sentimento, senza metafisica. Un delirio di onnipotenza da parte del regista più (auto)sopravvalutato del nuovo millennio: piani sequenza deliranti e interminabili, trovate narrative inverosimili e involontariamente divertenti. Leonardo DiCaprio e Tom Hardy non recitano più, ma ringhiano e sbraitano.

La corrispondenza - Giuseppe Tornatore 1: un film completamente inspiegabile, sbagliato dall'inizio alla fine. Dialoghi improbabili, riflessioni esistenzialiste che vanno oltre la farsa. Vogliamo bene a Peppuccio, può succedere. Però Jeremy Irons e Olga Kurylenko non vorremmo vederli mai più su uno schermo.









sabato 16 gennaio 2016

Il Pagellino: Candidati Oscar Miglior Film 2016

Il ponte delle spie - Steven Spielberg 9: una dichiarazione d'amore al diritto e un inno alla diplomazia. Spielberg al suo meglio: attenzione a non confondere retorica con le sfumature di un cinema morale, giusto, in grado di ridefinire il significato dell'espressione "uomini tutti d'un pezzo". Due personaggi memorabili: l'avvocato semplice, ordinario Francis Donovan di Tom Hanks e la spia russa fiera, orgogliosa Rudolf Abel di Mark Rylance, a cui auguriamo l'Oscar.

Room - Lenny Abrahamson 7: dramma famigliare compatto e mai ricattatorio, dove un bambino di cinque anni scopre il mondo dopo aver vissuto sempre in una stanza, convinto che gli attori abitino dentro la televisione e che fuori all'aperto non ci sia niente. L'irlandese Abrahamson emoziona quando racconta il graduale adattamento all'esterno del piccolo, ma non riesce a trovare il guizzo per commuovere. La mamma Brie Larson è intensa e credibile, potrebbe vincere.

Brooklyn - John Crowley 6: melodrammone sentimentale compassato e abbastanza prevedibile, ma piuttosto potente nella descrizione delle vite degli immigrati irlandesi e italiani nella New York degli anni Cinquanta. La sceneggiatura di Nick Hornby, basata sull'omonimo romanzo di Colm Toibin, non graffia ma concede qualche momento ironico e sincero. E gli attori sono bravissimi: non soltanto Saoirse Ronan (tra le favorite per la statuetta), valgono anche Domhnall Gleeson e Jim Broadbent.

La grande scommessa - Adam McKay 6: il regista e autore McKay era conosciuto soltanto per la regia dei film con Will Ferrell, da Anchorman a Step Brothers. Non era un cialtrone prima e non è un genio adesso. Si limita a raccontare gli eventi che portarono alla crisi economica del 2008 senza sviluppare una drammaturgia forte che renda interessanti i personaggi. Certo, può divertire Margot Robbie nuda in vasca di bagno che spiega tecnicismi, ma sullo stesso tema Margin Call è di un'altra categoria.

Il caso Spotlight - Tom McCarthy 6: intento nobilissimo, cast eccezionale (Mark Ruffalo e Rachel McAdams potrebbero vincere come non protagonisti), sceneggiatura impeccabile. Peccato che la sensazione sia quella di un prodotto televisivo, seppur di discreta professionalità: la nomination a McCarthy per la regia è scandalosa se pensiamo che sono stati esclusi Spielberg e Quentin. Non c'è un sussulto, un'invenzione, al di fuori dell'onesto compitino.

Mad Max: Fury Road - George Miller 5: uno dei film con il maggior numero di sovrainterpretazioni sprecate da nerd e critici fighetti. Può sicuramente essere riconosciuto a Miller il merito di girare un blockbuster rinunciando a effetti speciali, riducendo all'osso trama e cazzate pop, ma lasciamo in pace Omero e il femminismo. Se quest'anno bisognava dare spazio a un titolo di puro intrattenimento, avrei preferito il settimo Fast and Furious.

Sopravvissuto - The Martian - Ridley Scott 5: Matt Damon si ritrova da solo su Marte e dalla Nasa fanno di tutto per riportarlo sulla Terra. Tutto qui, il resto è un campionario di carinerie, dalla colonna sonora vintage che fa sempre figo alle battutine con inevitabili citazioni della cultura di massa. Fingendo di divertirmi, rimpiango la serietà di Apollo 13 e Mission to Mars. E pensare che un capolavoro come The Counselor era stato completamente ignorato.

Revenant - Redivivo - Alejandro G. Inarritu 4: il regista messicano ormai è avvolto dalla convinzione di essere il più grande di tutti i tempi e gira un western amorfo, senza pathos, senza sentimento, senza metafisica. Puro manierismo estetizzante e irritante, mai richiesto, mai funzionale alla narrazione. La sequenza di DiCaprio che lotta con l'orso è spettacolare quanto patetica ma è solo l'inizio: l'attenzione va subito alle lancette dell'orologio. Una vera e propria patacca d'autore.





mercoledì 6 gennaio 2016

Top 10 Attori Mondiali

10 - Mark Wahlberg - Boston, 1971
Ex carcerato, ex rapper, ex modello di Calvin Klein, il fato lo ha salvato dalla tragedia dell'11 settembre (decise all'ultimo momento di non salire sul volo United Airlines 93). Origini irlandesi, da vero bostoniano, lo abbiamo eletto tra i nostri idoli assoluti grazie a Paul Thomas Anderson (Boogie Nights) e James Gray (The Yards, I padroni della notte). 

9 - Matthew McConaughey - Uvalde, 1969
E pensare che fino a qualche anno fa lo avremmo messo nella chart dei più scarsi e insopportabili. Poi, Matthew ha deciso di diventare un attore. Il risultato? Clamoroso: da Killer Joe a Magic Mike, da Mud a The Wolf of Wall Street si sta rivelando il più significativo interprete americano di oggi. Ma è con il Rust Cohle di True Detective che si è garantito l'immortalità.

8 - James Franco - Palo Alto, 1978
Un genio? Un cialtrone? Quel che è certo è che James, quando si limita a fare quello che gli riesce meglio, sa come farci emozionare: le prove di Urlo, Spring Breakers, Ritorno alla vita sono quelle di un grandissimo. Incostante, imprevedibile, aspettiamo di vederlo in True Story per certificare la sua sensibilità drammatica. Anche se in coppia con Seth Rogen ci farà sempre ridere (Facciamola finita).

7 - Romain Duris - Parigi, 1974
Uno degli attori europei più versatili della sua generazione, in grado di passare indifferentemente dalle turbe post-adolescenziali de L'appartamento spagnolo agli scatti improvvisi di passione e nervosismo di Tutti i battiti del mio cuore. Meraviglioso anche nell'adattamento de La schiuma dei giorni di Michel Gondry. Raffinatissimo, autentica incarnazione del French Touch.

6 - Russell Crowe - Wellington, 1964
Proprio lui. Non è soltanto un gladiatore, dentro e fuori dal set, ma anche una splendida icona maschile tutta d'un pezzo, ultima a morire: ricordiamolo soprattutto in Insider di Michael Mann, Master & Commander di Peter Weir, Cinderella Man di Ron Howard. Anche nei film meno riusciti, è uno spettacolare connubio di fragilità e durezze.

5 - Vince Vaughn - Minneapolis, 1970
Vorremmo che lui fosse l'amico con cui vai allo stadio, quello che ti fa ubriacare dopo che sei stato mollato e poi cerca di distrarti portandoti in un night club. Tanto paga tutto lui. Con quella faccia da simpatico bonaccione potrà fare tutti i film comici che vuole: però noi lo amiamo per il suo grandioso e inquietante Norman Bates 2.0 e per il volto duro e segnato di Frank Semyon in True Detective.

4 - Vincent Cassel - Parigi, 1966
Il figlio di papà delle banlieue. Anticonformista, ribelle, implacabile seduttore: Vincent Cassel è un punto di riferimento assoluto per tutti, nessuno escluso. Attore versatile e mai convenzionale: grazie a L'odio divenne immediatamente un simbolo, ma in Irreversible e in Black Swan mostra a noi terrestri che cosa sia il lato oscuro su questo pianeta. 

3 - Tom Cruise - Syracuse, 1962
Come Renée Zellweger, Tom ci aveva già convinto al ciao. Quel suo sorriso da eterno ventenne degli anni Ottanta lo si ama o lo si odia: noi ci siamo cresciuti, senza di quello probabilmente avremmo altri interessi e altre passioni. Ad ogni modo, tutti i più grandi hanno lavorato con lui e per lui: Stanley Kubrick, Michael Mann, Brian De Palma, Paul Thomas Anderson, Steven Spielberg, Oliver Stone. Solo per citarne alcuni.

2 - Joaquin Phoenix - San Juan, 1974
Si tratta indubbiamente dell'attore più bravo del nuovo millennio: Walk the Line, I padroni della notte, Two Lovers, The Master, Vizio di forma. Le ferite e le ossessioni di Joaquin sono le nostre: nessuno meglio di lui è in grado di rispecchiare i demoni che abitano dentro di noi. Come Johnny Cash, nessuno sceglie il proprio amore: è una malattia non volontaria.

1 - Colin Farrell - Castleknock, 1976
Colin Farrell ormai è una fede. Come la birra Guinness, Bruce Springsteen, il Milan. Ci rendiamo conto che l'obiettività nei suoi confronti stia sempre più scomparendo: chissenefrega. Viva il cinema e i suoi idoli, viva i poster appesi in cameretta, viva gli uomini che sanno rialzarsi dalle cadute. Ci basta la sua faccia - e, come dice un amico, è sempre una questione di facce - per continuare a crederci.

Emiliano Dal Toso









martedì 5 gennaio 2016

Top 10 Attrici Mondiali

10 - Michelle Williams - Kalispell, 1980
Ai tempi di Dawson's Creek le preferivamo Katie Holmes, ora sembra assurdo. Poi Michelle si è rivelata in tutta la sua bravura e la sua malinconica bellezza. Tra le attrici drammatiche più intense degli ultimi anni: La terra dell'abbondanza, Io non sono qui, Blue Valentine, Take This Waltz. Dolce, elegante, bellissima: gran classe.

9 - Scarlett Johansson - New York, 1984
Un clamoroso ritorno della ragazza per cui avevamo perso la testa all'epoca di Lost in Translation e Match Point. Poi, un po' di film scadenti e il matrimonio sbagliato con Ryan Reynolds. Ma di fronte a un capolavoro libero e anarchico come Under the Skin non possiamo che reintegrarla a pieno titolo. E in Lucy di Luc Besson è ancora di una gnoccaggine suprema.

8 - Emma Stone - Scottsdale, 1988
Brava e incantevole, lanciata dalla furia punk-demenziale di Superbad, oggi è una delle attrici più richieste di Hollywood. Sappiamo che quella vecchia volpe di Woody Allen è molto attento al binomio talento/bellezza e l'ha subito arruolata tra le sue muse: Magic in the Moonlight e Irrational Man non sono dei capolavori, ma Emma sullo schermo è sempre molto gradevole. 

7 - Stacy Martin - Parigi, 1991
Colpo di fulmine irrecuperabile: io e i miei amici, dopo averla vista in Nymphomaniac, eravamo in stato confusionale. Una grande promessa o solo un fuoco di paglia? All'ultima Mostra di Venezia, sembra aver confermato ottime doti di attrice: in Taj Mahal e in The Childhood of a Leader è raffinata e sensibile. Bellissima ne Il racconto dei racconti.

6 - Kristen Stewart - Los Angeles, 1990
Brava Kristen, pensavamo che fossi soltanto una gattamorta e, invece, sei una grande attrice. Magnifica in Sils Maria, in uno scontro generazionale con Juliette Binoche dove non sfigura affatto, tutt'altro. Negli ultimi anni l'abbiamo amata con tutto il cuore in Adventureland di Greg Mottola e in Into the Wild di Sean Penn. E anche in On the Road ci piace molto. 

5 - Alicia Vikander - Goteborg, 1988
Deliziosa svedesina ventisettenne, molto di più di una promessa: il cyborg di Ex Machina non si dimentica, seducente e diabolico. Dopo aver stregato Tom Hooper (The Danish Girl) e Guy Ritchie (Operazione U.N.C.L.E.), la attendiamo in The Light Between Oceans, il nuovo dramma di Derek Cianfrance. Siamo convinti che rimarrà in classifica molto a lungo.

4 - Rachel McAdams - London, 1978
Bionda, rossa, bruna, superficiale o nichilista, ci piace da impazzire. Ricordiamo che il primo a notarla fu il nostro Paolo Virzì in My name is Tanino: onore al merito. Quanti grandi film: Morning Glory, Midnight in Paris, Passion, Questione di tempo. E nel 2015, la devastante Ani Bezzerides di True Detective e il dolente Ritorno alla vita di Wim Wenders. 

3 - Marion Cotillard - Parigi, 1975
Divina. Attrice meravigliosa, vincitrice di un Oscar per La vie en rose, dove si imbruttisce in modo considerevole. Come direbbe un amico, a different class. Amore vero, duraturo, incancellabile. Tutti i suoi personaggi sono caratterizzati da un alto tasso di passionalità: Nemico pubblico, Inception, Midnight in Paris, Un sapore di ruggine e ossa. Aspettando Lady Macbeth.

2 - Keira Knightley - Teddington, 1985
Amatissima oppure odiatissima. Personalmente, la adoro da quando tirava calci dietro a un pallone in Sognando Beckham. Attrice particolarmente eclettica, passa indifferentemente dai ruoli in costume di Espiazione e Anna Karenina a quelli romantici di Love Actually e Tutto può cambiare. Ma è nei panni di Sabina Spielrein in A Dangerous Method che ci manda letteralmente in visibilio.

1 - Natalie Portman - Gerusalemme, 1981
Passano gli anni, ma Natalie è sempre un angelo. Abbiamo cominciata ad amarla ai tempi di Padmé Amidala e non abbiamo più smesso. Entusiasmante in Closer, ribelle in V per Vendetta, fino al ruolo viscerale, maledetto di Nina Sayers nell'immenso Black Swan, che le ha permesso di vincere l'Oscar. E ora la attendiamo in Knight of Cups di Malick e in Jane Got a Gun. Come lei nessuna mai.

Emiliano Dal Toso







Top 10 Attori Italiani

10 - Carlo Buccirosso - Napoli, 1954
"Te chiavass'!". Sarebbe sufficiente questa splendida battuta de La grande bellezza per giustificare la presenza in classifica di questo grandissimo caratterista napoletano. Se qualche volta si riesce a ridere anche nei film di Salemme, il merito è tutto suo. Enorme ne Il divo nei panni di Paolo Cirino Pomicino. Autore di teatro, ora vorremmo vederlo al cinema come protagonista assoluto.

9 - Alessandro Gassmann - Roma, 1965
Figlio del grande Vittorio, sta dimostrando di essere un attore eccellente: Il nome del figlio e Se Dio vuole sono i due titoli più recenti che certificano il suo talento e le sue sfumature da simpatico cialtrone. Ma, in fondo, ci aveva conquistato già da prima, in coppia con Gianmarco Tognazzi, nei godibilissimi Facciamo fiesta e Teste di cocco.

8 - Stefano Accorsi - Bologna, 1971
Massì, gli si vuole bene. Diciamolo: Jack Frusciante e Radiofreccia sono due titoli cult del giovanilismo italiano degli anni Novanta. Nel bene e nel male, L'ultimo bacio ha assunto uno status generazionale. E in Romanzo criminale è assolutamente perfetto. Ma è nei panni del Leonardo Notte di 1992 che probabilmente verrà ricordato: una serie fatta su misura per lui, dove gigioneggia e diverte.

7 - Marco Giallini - Roma, 1963
Un grandissimo, non c'è dubbio, di cui il cinema italiano si è accorto da non troppo tempo: noi lo apprezziamo dall'epoca di Faccia di Picasso di Ceccherini e de L'odore della notte di Caligari. Ora, paradossalmente, rischia una specie di sovraesposizione: è certo che anche nelle pellicole meno riuscite riesce sempre a essere il migliore (vedi Posti in piedi in paradiso di Verdone).

6 - Giuseppe Battiston - Udine, 1968
Diretto da Gianni Zanasi in Non pensarci e ne La felicità è un sistema complesso ha raggiunto apici interpretativi di fottuto genio. Nella sua densa filmografia lo abbiamo amato anche in A casa nostra di Francesca Comencini e ne La giusta distanza di Carlo Mazzacurati. Ad ogni modo, è un altro per cui vale la pena spendere il prezzo del biglietto, a prescindere.

5 - Kim Rossi Stuart - Roma, 1969
Uno che se fosse nato negli Stati Uniti o si fosse trasferito a Hollywood sarebbe un sex symbol alla pari di Brad Pitt o Leonardo DiCaprio. Troppo bello per il cinema italiano: uno dei pochi che è riuscito a rendere giustizia al suo talento è Michele Placido, che gli ha offerto il grandioso ruolo di Renato Vallanzasca. Struggente ne Le chiavi di casa di Gianni Amelio.

4 - Elio Germano - Roma, 1980
Il ruolo di Germano che più amiamo è senza dubbio quello del fasciocomunista di Mio fratello è figlio unico, seguito dallo studente di legge desideroso di trasgressioni de Il passato è una terra straniera. E poi, ovviamente, Lucio 2 di Tutta la vita davanti e il Marco Baldini de Il mattino ha l'oro in bocca. Negli ultimi titoli è sempre molto bravo, ma anche un po' antipatico.

3 - Valerio Mastandrea - Roma, 1972
Inarrivabile in Non pensarci e ne La felicità è un sistema complesso di Gianni Zanasi. Come Accorsi, è un simbolo del giovanilismo anni Novanta: Tutti giù per terra di Ferrario è un cult da riscoprire. Sempre in bilico tra ironia e malinconia, si fa apprezzare anche in parti più "borgatare" come L'odore della notte e Velocità massima. 

2 - Toni Servillo - Afragola, 1959
A un certo punto, qualcuno lo ha definito "il miglior attore del mondo". Senza dubbio, a volte sembra essere un po' troppo accademico; ciononostante, il cinema italiano del nuovo millennio gli deve praticamente tutto: da Sorrentino a Gomorra, da La ragazza del lago a Viva la libertà, ha scritto indiscutibilmente la Storia degli ultimi quindici anni.

1 - Fabrizio Bentivoglio - Milano, 1957
Un grande. Il nostro Bill Murray, il nostro Jeff Bridges. Da Salvatores a Bellocchio, da Mazzacurati a Virzì, porta con sé sempre un po' di disillusione e fatalismo, amarezza e disincanto: basti pensare al magnifico professore di Scialla, al cowboy de L'amico di famiglia, al mediocre arrivista de Il capitale umano. Un attore romantico e meraviglioso.

Emiliano Dal Toso







lunedì 4 gennaio 2016

Top 10 Attrici Italiane

10 - Giovanna Mezzogiorno - Roma, 1974
Negli ultimi anni si sono un po' perse le tracce, purtroppo. Peccato, perché la figlia di Vittorio Mezzogiorno ci aveva fatto innamorare di lei ai tempi de L'ultimo bacio e invidiavamo molto Stefano Accorsi che si era permesso il lusso di tradirla con Martina Stella. Il suo picco di popolarità fu raggiunto, però, nel 2003 con La finestra di fronte di Ferzan Ozpetek.

9 - Anita Caprioli - Vercelli, 1973
Brava e bella, molto sottoutilizzata. Debutta in Tutti giù per terra di Davide Ferrario ma ci conquista in Santa Maradona (anche lei al fianco di Accorsi) e in Ma che colpa abbiamo noi di Carlo Verdone. Il suo ruolo migliore, però, è quello dell'addestratrice di delfini in Non pensarci di Gianni Zanasi, la commedia italiana più bella e "malincomica" del nuovo millennio.

8 - Vittoria Puccini - Firenze, 1981
Deve la sua popolarità a Elisa di Rivombrosa ma non si tratta della solita cagna da fiction italiana. Incantevole, abbiamo cominciato a prenderla sul serio come attrice in Ma quando arrivano le ragazze? di Pupi Avati, divisa tra Santamaria e Briguglia. Ma è al fianco di Stefano Accorsi (ancora lui!) in Baciami ancora che entra definitivamente nel nostro cuore.

7 - Donatella Finocchiaro - Catania, 1970
Debutta al cinema tardi, a trentadue anni, in Angela di Roberta Torre. Ma è un'attrice magnifica, eroticamente mediterranea: non si dimenticano la passionale malavitosa di Galantuomini, così come la splendida Giulietta di Terraferma. Più teatro che cinema nel suo curriculum, ma ogni volta risulta essere un valore aggiunto.

6 - Claudia Gerini - Roma, 1971
Non le perdoniamo il marito, Federico Zampaglione dei Tiromancino. E se la fama nazional-popolare è arrivata con Viaggi di nozze di Verdone, noi la amiamo da Lucignolo, in cui interpreta una fata turchina oggetto dei sogni di Massimo Ceccherini. Talento, versatilità e bellezza sono confermati dalla sua interpretazione ne Il mio domani di Marina Spada.

5 - Alba Rohrwacher - Firenze, 1979
Probabilmente la miglior attrice italiana di oggi. Davvero indimenticabile la sua prova ne La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo, ma si era già fatta apprezzare molto in Io sono l'amore di Luca Guadagnino e ne L'uomo che verrà di Giorgio Diritti. Una delle poche interpreti italiane che riescono a tenere in piedi un intero film, vedi Vergine giurata.

4 - Valentina Lodovini - Umbertide, 1978
Ormai nota per essere una bomba sexy, rischia di rimanere troppo legata alle due commediole italiote con Bisio e Siani. Noi l'avevamo già notata nel bellissimo La giusta distanza di Carlo Mazzacurati, dov'era stata un'autentica sorpresa; bravissima anche in Fortapasc di Marco Risi e ne La donna della mia vita di Luca Lucini.

3 - Valeria Solarino - Morro de Barcelona, 1978
Nata in Venezuela da padre siciliano e madre torinese. Un mito per ogni liceale milanese che abbia amato Fame chimica: il suo nudo frontale non si cancella. Eccessivamente bella ne La febbre di Alessandro D'Alatri e in Signorina Effe di Wilma Labate; anche nel suo caso, le rimproveriamo il compagno, quel Giovanni Veronesi regista di tante inutili commedie.

2 - Isabella Ragonese - Palermo, 1981
Amore e odio per Isabella Ragonese: imperdonabile la scelta di fidanzarsi con Samuel dei Subsonica. Detto questo, non possiamo nascondere di aver perso letteralmente la testa dopo aver visto Dieci inverni di Valerio Mieli. Ad ogni modo, è il raro esempio di un'attrice italiana bravissima e sinceramente bella, in maniera molto semplice e autentica. 

1 - Jasmine Trinca - Roma, 1981
Probabilmente, sarebbe sufficiente il solo Miele di Valeria Golino: mai visto un personaggio femminile così audace e cazzuto, così fico. E lei è fica ma anche brava, va detto: già dai tempi de La stanza del figlio sembrava di un livello superiore. Altri due titoli per rafforzare il primato in classifica: Romanzo criminale di Michele Placido e Un giorno devi andare di Giorgio Diritti.

Emiliano Dal Toso