giovedì 28 dicembre 2017

The Neon Demon Vs. Noi siamo infinito

Se lei non fosse stata bella non l'avresti nemmeno guardata

Rivisto per la seconda volta dopo più di un anno e mezzo dalla sua uscita, The Neon Demon mi ha fatto paura. Dopo la prima visione, mi aveva colpito il deragliamento visivo concepito da uno straordinario manierista (e furbo citazionista) come Nicolas Winding Refn, che quando azzecca la direzione della sua malattia psico-visionaria può essere considerato a ragione uno dei cineasti più interessanti di inizio millennio. Bellezza, moda, competizione, morte: nella sua messinscena kitsch, plastificata, sgradevolmente pop e schiettamente piatta, il film è una celebrazione funerea svuotata di ogni pensiero intellettuale, a immagine e somiglianza dei suoi corpi femminili, modelle zombie che si muovono meccanicamente verso l'autodistruzione. Un'opera scandalosa nella forma e nella sostanza, senza sfumature, disumana, che non sembra neppure diretta ad alcun target di pubblico. Forse perché quanto di più vicino al Male e al demonio del nostro presente, alla vera spia della nostra solitudine: l'ossessione per la relazione tra la nostra immagine e gli altri. Rivisto invece per la seconda volta dopo quattro anni, mi sembra ancora più chiaro come Noi siamo infinito cerchi quasi utopicamente di salvaguardare il fattore umano come unico spiraglio di sopravvivenza ai giudizi esterni: l'amicizia in età adolescenziale è il solo momento di purezza e autenticità nel vuoto pneumatico dell'esistenza. Una pellicola senz'altro struggente, pensata sicuramente anche per commuovere il pubblico teen. Ma permeata di reale dolore in ogni suo passaggio, come se il mondo che lega i tre protagonisti fosse nient'altro che una bolla magica ed effimera che li protegge in modo parziale dal resto delle persone, dai traumi del passato e dall'incertezza per il futuro. Entrambi i film, sia quello di Refn che quello di Stephen Chbosky, mi sembrano limpidi e fragili: nel primo caso, si tenta una diagnosi del male di vivere; nel secondo, si ipotizzano i farmaci emotivi per combatterlo.

Emiliano Dal Toso



sabato 16 dicembre 2017

Top 5: Serie 2017

5 - Atlanta - Donald Glover
Si ride poco, non ci si commuove, non si empatizza con i protagonisti. Eppure, l'apparente svogliatezza di Atlanta è difficile da abbandonare: il suo mood rispecchia l'autenticità e l'onestà degli intenti di Donald Glover, più interessato a comunicare il sentimento atarassico che permea un'intera generazione piuttosto che a realizzare una serie avvincente e incalzante. A tratti demenziale e straniante, questa prima stagione è un oggetto un po' misterioso che riesce a farsi voler bene.

4 - 1993 - Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo
Il miglior autoritratto possibile del nostro Paese, inclusi colpi bassi e cadute di stile. Ma è una fiction accattivante e terribilmente divertente, e questa seconda stagione è addirittura più ingegnosa e densa di scene madri, con personaggi veri e immaginari più approfonditi: il Berlusconi di Paolo Pierobon è credibile e strepitoso, il leghista di Guido Caprino sempre più mattatore, la soubrette Miriam Leone sempre più perfida incantatrice. Che brava la new entry Camilla Semino Favro. L'Italia è questa qua.

3 - Master of None 2 - Aziz Ansari
Il Woody Allen del nostro presente si chiama Aziz Ansari, e in questa stagione non teme di omaggiare platealmente il neorealismo e New York, frullando la sua cinefilia e l'amore per la sua città con battute deliziose, illuminanti sui rapporti d'amicizia e sulle derive sentimentali. Una comedy capolavoro, autoironica, generazionale, attenta a parlare di integrazione e minoranze con intelligenza e senza retorica. E Alessandra Mastronardi è un vero incanto di cui è impossibile non innamorarsi.

2 - The Deuce - David Simon, George Pelecanos
Il miglior show americano sugli anni Settanta è il ritratto crudo e marcio dei disgraziati che abitano gli ambienti più squallidi di Times Square: papponi, prostitute, spacciatori, ma anche baristi e poliziotti, dietro cui si cela un grido represso di solitudine. E così la nascita del porno è raccontata come un'alternativa di libertà, di creazione, che forse può togliere il degrado dalla strada. Scorsesiana, piena d'amore nei confronti del cinema, che risulta evidente nell'evoluzione del personaggio di una magnifica Maggie Gyllenhaal.

1 - Mindhunter - Joe Penhall, David Fincher
La costituzione della figura criminale del serial killer in una serie dilatata, immersiva, misteriosa, la cui tensione verso il Male non esplode ma è dietro ogni dialogo, interrogatorio, indagine. Due detective un po' banali, quasi agli antipodi della coppia del primo True Detective, alle prese con il tentativo di capire l'irrazionalità dell'omicida seriale, di tracciarne una mappa mentale da cui è inevitabile rimanere infetti. L'eleganza registica di Fincher regala a un paio di episodi la statura del classico istantaneo, ma tutta questa prima stagione è un ipnotico viaggio negli inferi della natura umana.

LE SERIE DELL'ANNO DE 'IL BELLO, IL BRUTTO E IL CATTIVO'
2011 - The Bridge - Hans Rosenfeldt
2012 - Black Mirror - Charlie Brooker
2013 - House of Cards - Beau Willimon
2014 - True Detective - Nic Pizzolatto
2015 - True Detective 2 - Nic Pizzolatto
2016 - The Night Of - Richard Price, Steven Zaillian
2017 - Mindhunter - Joe Penhall, David Fincher




venerdì 8 dicembre 2017

Top 5: Film Netflix 2017

5 - Le nostre anime di notte - Ritesh Batra
Attenzione a questo Batra, che quest'anno ha calato una notevole doppietta tra streaming e grande schermo (L'altra metà della storia con Jim Broadbent e la Rampling): il suo è un perfetto esempio di cinema che coniuga commerciale e borghese, furbo e dolente, specificamente diretto a un target di pubblico over 50. E qui regala ai magnifici Robert Redford e Jane Fonda una tenera storia d'amore per riflettere sull'inesorabilità del tempo e sulle ultime occasioni della vita.

4 - King Cobra - Justin Kelly
Uno spiazzante ritratto dell'affascinante squallore che caratterizza il mondo del porno, un'industria abitata da individui superficiali e vendicativi e qui descritta nei suoi aspetti peggiori: vanità, edonismo, arrivismo. La storia raccontata è drammatica, ma il tono è da commedia nera. Un ritrovato Christian Slater restituisce la morbosità frustrata di un personaggio consapevolmente autodistruttivo, il gigione James Franco è sgradevolmente macchiettistico e diabolicamente comico.

3 - The Meyerowitz Stories - Noah Baumbach
Non il capolavoro di Baumbach, troppo seduto su temi, ambienti e personaggi già noti - ovverosia, il destino di essere perdenti in una famiglia ebrea disfunzionale. Ma alcuni singoli momenti di sopraffina intelligenza e la bravura degli attori valgono la visione: gli scontri e i rappacificamenti emotivi tra Ben Stiller manager cinico e rampante, Adam Sandler aspirante musicista senza successo ma padre affettuoso e Dustin Hoffman scultore rancoroso sono di impeccabile ironia ed efficacia.

2 - Nocturama - Bertrand Bonello
Un gruppo di adolescenti compie quattro attentati terroristici simultanei a Parigi e poi si barrica dentro a un centro commerciale. Nessuno di loro è spinto da ideologia e religione, ma tutti sono spaventosamente coordinati: il loro è un piano dettato da un'illogica convinzione. Uno dei migliori film sulla generazione pop e (auto)distruttiva del nostro presente, impermeabile agli sconvolgimenti esterni, nichilista e inquietante. Terminato prima delle stragi di Parigi del novembre 2015.

1 - Jim e Andy - Chris Smith
Manifesta superiorità. Uno shock emozionale, forse il più profondo e struggente documento possibile sulla condanna di essere attori e performer. La grandezza di Jim Carrey consiste nella cruda e struggente sincerità con cui parla della sua vita, della sua carriera e delle fragilità che hanno caratterizzato la sua vocazione verso il mondo dello spettacolo, e il complicato e tormentato rapporto con esso, tra ammirazione e desiderio di sabotarlo. Commovente, unico, prezioso.

GLI STREAMING DE 'IL BELLO, IL BRUTTO E IL CATTIVO'
2011 - Thirst - Park Chan Wook
2012 - Take This Waltz - Sarah Polley
2013 - Starlet - Sean Baker
2014 - The Spectacular Now - James Ponsoldt
2015 - Enemy - Denis Villeneuve
2016 - Love - Gaspar Noé
2017 - Jim e Andy - Chris Smith



martedì 5 dicembre 2017

I Film del 2017 degli Amici e Lettori

Vittoria schiacciante per Manchester by the Sea, che con 13 segnalazioni diventa il film più votato di sempre del blog: per quasi il cinquanta per cento degli intervistati è uno dei tre migliori lavori dell'anno. Kenneth Lonergan è riuscito nell'impresa di mettere d'accordo gli spettatori con i gusti più disparati: forse, perché si sentiva il bisogno di un cinema americano che tornasse a mettere al centro il fattore umano, capace di emozionare e di cogliere lo spirito del tempo. Molto più indietro si posiziona con 7 voti la colta fantascienza di Arrival di Denis Villeneuve (solo un voto, invece, per Blade Runner 2049); seguono con 4 preferenze Dunkirk di Chris Nolan, The Square di Ruben Ostlund e la sorpresa A Ciambra di Jonas Carpignano. Due voti per il chiacchieratissimo La La Land, soltanto uno per il vincitore dell'Oscar per miglior film Moonlight.

Alvise Wollner
Personal Shopper
Lady Macbeth
Madre!

Angelica Gallo
The Square
A Ciambra
Jim e Andy

Damiano Panattoni
Blade Runner 2049
Arrival
The War - Il pianeta delle scimmie

Davide Giordano
The Big Sick
Dunkirk
Scappa - Get Out

Fabio Beninati
Manchester by the Sea
The Square
Cuori puri

Gabriele Zaffarano
Silence
Dunkirk
Guardiani della Galassia vol. 2

Giacomo Della Rocca
Il cliente
Dunkirk
L'altro volto della speranza

Giovanni Dal Toso
Manchester by the Sea
L'altro volto della speranza
Trainspotting 2

Giulia Massacci
Una donna fantastica
Austerlitz
120 battiti al minuto

Linda Pola
A Ciambra
Manchester by the Sea
Arrival

Lorenzo Gramatica
Elle 
Arrival
Jim e Andy

Luca Ottocento
Manchester by the Sea
Vi presento Toni Erdmann
Dopo l'amore

Luca Recordati
Dunkirk
Manchester by the Sea
Vi presento Toni Erdmann

Manuela Santacatterina
Arrival
Jackie
Manchester by the Sea

Marco Dal Toso
Una questione privata
Manchester by the Sea
Cuori puri

Marco Solé
It
Arrival
Personal Shopper

Maria Laura Ramello
La La Land
L'inganno
Manchester by the Sea

Marzia Carrera
Manchester by the Sea
Arrival
A Ciambra

Massimiliano Gavinelli
L'insulto
Madre!
The War - Il pianeta delle scimmie

Mattia De Gasperis
Arrival
Atomica bionda
Happy End

Mattia Palma
Lady Macbeth
Manchester by the Sea
The Square

Melis Rossi
Le nostre anime di notte
L'altra metà della storia
Tutto quello che vuoi

Olivia Fanfani
A Ciambra
Manchester by the Sea
The Square

Paolo Quaglia
Jim e Andy
Ritratto di famiglia con tempesta
Goksung - La presenza del diavolo

Roberto Ciliberto
Manchester by the Sea
Moonlight
Detroit

Safia Kerfa
Good Time
La La Land
The Big Sick

Simone Carella
Manchester by the Sea
Una donna fantastica
Nico, 1988

13 Manchester by the Sea
7 Arrival
4 A Ciambra, Dunkirk, The Square
3 Jim e Andy
2 Cuori puri, La La Land, Lady Macbeth, L'altro volto della speranza, Madre!, Personal Shopper, The Big Sick, The War - Il pianeta delle scimmie, Una donna fantastica, Vi presento Toni Erdmann
1 Blade Runner 2049, Scappa - Get Out, Silence, Guardiani della Galassia vol. 2, Il cliente, Trainspotting 2, Austerlitz, 120 battiti al minuto, Elle, Dopo l'amore, Jackie, Una questione privata, It, L'inganno, L'insulto, Atomica bionda, Happy End, Le nostre anime di notte, L'altra metà della storia, Tutto quello che vuoi, Ritratto di famiglia con tempesta, Goksung - La presenza del diavolo, Moonlight, Detroit, Good Time, Nico 1988

I FILM DEGLI AMICI E LETTORI DE 'IL BELLO, IL BRUTTO E IL CATTIVO'
2011 - Melancholia - Lars von Trier
2012 - Moonrise Kingdom - Wes Anderson
2013 - Django Unchained - Quentin Tarantino
2014 - The Wolf of Wall Street - Martin Scorsese
2015 - Youth - Paolo Sorrentino
2016 - Io, Daniel Blake - Ken Loach
2017 - Manchester by the Sea - Kenneth Lonergan



lunedì 4 dicembre 2017

Top 20: La Superclassifica del 2017

20 - Ritratto di famiglia con tempesta - Hirokazu Koreeda
La vita dal punto di vista di un irresistibile loser: scrittore fallito, scommettitore incallito, goffo investigatore privato e padre affettuoso ancora innamorato della ex cerca di ricomporre il nucleo famigliare sfruttando il riparo della casa materna dalle intemperanze meteo. Ma dopo la tempesta, la presa di consapevolezza della sconfitta lo porterà verso un nuovo domani. Grande Hiroshi Abe, interprete comico e struggente: il racconto della tragicommedia dei nostri giorni.

19 - Good Time - Ben e Joshua Safdie
La prova definitiva di Robert Pattinson, in versione derelitta e biondo platino, ormai uno degli attori più convincenti del cinema statunitense più coraggioso e borderline. Un heist movie che sembra una variazione tossica e grezza di Fuori orario di Scorsese, oppure un film di Michael Mann che dirige sotto acidi. I fratelli Safdie raccontano i poveracci di un'America disperata e perdente, con un'estetica allucinata e psichedelica.

18 - Dopo l'amore - Joachim Lafosse
Un dolente kammerspiel sulla fine di un matrimonio con prole, radiografia di un divorzio che travolge anche tutto ciò che lo circonda. Cédric Kahn e Bérénice Bejo donano a litigi, ritorsioni ed esplosioni di rabbia quel senso di verità che appartiene soltanto al cinema d'autore più attento e raffinato, che non diventa mai presuntuoso. Assente ogni tipo di retorica moralista, ma anche eccessi di pessimismo: non è altro che il tempo a cambiare geometrie e declinazioni emotive.

17 - Cuori puri - Roberto De Paolis
Nella periferia romana, due personaggi quasi agli antipodi si attraggono e si innamorano, ma devono affrontare difficoltà economiche, disagi sociali e il senso di colpa cattolico. Sorprendono istintività, rabbia e romanticismo, all'altezza di un cinema europeo in grado di raccontare il presente senza scorciatoie consolatorie. E attenzione a una delle scene di sesso più autentiche e naturali degli ultimi anni, caratteristiche rare per un cinema italiano sempre più cattofustigato.

16 - Madre! - Darren Aronofsky
Nessuno costringe ad avere una reazione come Aronofsky. Un altro film imperfetto ed esagerato, un'altra dichiarazione d'amore e di fiducia per le potenzialità del cinema di sporcare gli occhi, abbattere le censure borghesi del pensiero intellettuale e superare i limiti di ciò che è realizzabile. Un delirio visivo biblico e perverso, ma vivissimo ed estremo, sonoro e fisico, che s'interroga sul rapporto tra interno, artistico e sentimentale, ed esterno. Strepitosa Jennifer Lawrence.

15 - Victoria - Sebastian Schipper
Il film più riuscito che sia stato realizzato sinora con un unico piano sequenza. La mano di Schipper è travolgente e immerge lo spettatore nel trip notturno vissuto da una ragazza spagnola a Berlino che esce da una discoteca techno e si fa coinvolgere da quattro coetanei in una rapina in banca. Dalle quattro alle sei e venti del mattino succede di tutto, forse in maniera non sempre credibile: ma è un cinema sperimentale che ipnotizza e lascia positivamente attoniti.

14 - Il mio Godard - Michel Hazanavicius
Hazanavicius si diverte come un matto a sfottere Jean-Luc Godard, utilizzando proprio le forme e i vezzi del suo stile, come se fosse uno studente irriverente e talentuosissimo. Pieno di invenzioni cinefile come The Artist, il risultato è un omaggio alla forza popolare e iconografica della Settima Arte. Louis Garrel è irresistibile, ma a donare luminosità e bellezza è una folgorante Stacy Martin nel ruolo di Anne Wiazemsky, vittima dell'innamoramento per un artista geniale e arrogante.

13 - Arrival - Denis Villeneuve
Il film di fantascienza più colto, profondo e raffinato del nuovo millennio, che apporta stimolanti interrogativi intellettuali agli archetipi del genere. Ma quelli che arrivano nel cuore sono gli stessi che interessano a Villeneuve fin da La donna che canta: l'importanza della comunicazione tra specie diverse, e l'amore di una madre che si manifesta attraverso la scelta di vivere. Utilizzando, prima di tutto, la forza e la bellezza delle immagini.

12 - L'inganno - Sofia Coppola
Tremate, tremate, le streghe son tornate. E con loro anche la Coppola, che avevamo perso tra il tedio di Somewhere e la futilità di Bling Ring. Sofisticata, raffinatissima e crudele lotta tra i generi: femmine contro maschio, impersonato dal grande Colin Farrell, seducente caporale che rimarrà vittima dell'alterità delle donne arpie e megere che lo circondano, capitanate da una Nicole Kidman in pura versione horror. Melodramma e commedia nera: brava Sofia.

11 - L'altro volto della speranza - Aki Kaurismaki
Stupendo Aki: un grandioso tassello di una filmografia dedicata agli ultimi, ai perdenti, ai ribelli e ai dimenticati. Si parla di nuovo di immigrazione e bisogno di integrazione: perché nell'Europa di oggi è necessario. Lo stile è sempre unico, caratterizzato da quell'ironia secca e da quel minimalismo colorato che lo hanno reso inimitabile. E un paio di sequenze sono da antologia della risata: la partita a poker, la birreria che si reinventa ristorante giapponese per essere alla moda.

10 - The Big Sick - Michael Showalter
La miglior commedia Usa degli ultimi anni. Si frullano 50 e 50, Funny People e Master of None, e il prodotto finale è ancora più intelligente, agrodolce, tragicomico: con freschezza e autoironia, il protagonista e sceneggiatore Kumail Nanjiani racconta le difficoltà di essere americano e pachistano e la sua complicata storia d'amore con Emily (la deliziosa Zoe Kazan). Tra battute scorrette sull'Undici Settembre e medical drama, sembra di prendere una boccata d'aria fresca.

9 - A Ciambra - Jonas Carpignano
Puro, autentico, incontaminato. Dopo Mediterranea, un'altra risposta all'esigenza di un cinema che torni a confrontarsi con il reale, con il presente, con i volti dimenticati e marginali di un pezzo di Paese che si finge di ignorare e la cui rabbia è sempre più sul punto di esplodere. E dietro la crudezza delle situazioni vissute, si nascondono la romantica poesia della crescita e la necessità di prendere confidenza con il proprio ruolo nel mondo. 

8 - Jackie - Pablo Larrain
Il primo film statunitense di Pablo è il suo capolavoro privato, dove i virtuosismi si attenuano a favore di un intimismo sempre più marcato, interrogandosi su vita e morte, suicidio e dignità. Il percorso di elaborazione del dolore di Jacqueline collide con il suo ruolo e con le aspettative della Nazione. E Natalie ci mostra un altro ambiguo e controverso cigno nero. Immensa Portman: non ci sono più aggettivi per osannare questa piccola e meravigliosa donna e attrice.

7 - It - Andy Muschietti
Muschietti rinuncia di adattare pedissequamente un romanzo inadattabile, ma ne conserva lo spirito, preferendo concentrarsi sull'instabilità emotiva dei personaggi. Il vero orrore è interiore, e si costruisce tanto nell'atto voyeuristico di un desiderio inespresso e sconosciuto, quanto nel timore di vivere in un mondo che induce a competere. Forse Pennywise non è altro che uno stimolo a prendere consapevolezza dei nostri limiti e a darci coraggio.

6 - Vi presento Toni Erdmann - Maren Ade
Due ore e quarantacinque minuti divertenti e commoventi, che non annoiano: il rapporto tra il papà burlone Winfried e la figlia workaholic Ines è di quelli che all'improvviso lacerano l'anima. Perché è un gioco di maschere che rivela l'incomunicabilità affettiva che caratterizza il nostro quotidiano. E perché semina il dubbio che tolti i panni del clown si faccia davvero fatica a rimanere soli. Dalla Germania, una delle più grandi sorprese dell'anno.

5 - Una donna fantastica - Sebastian Lelio
Memorabile ritratto femminile di Daniel/Marina, che rivendica il diritto di piangere la persona che ama affrontando gli imbarazzi e i pregiudizi di una famiglia e di un'intera società. Lelio come il miglior Pedro: innamorato della sua protagonista, la segue mentre si batte per ritagliarsi il proprio spazio di dolore, di passione. Sobrio e delicato dramma transgender, che elabora il lutto con lucidità e determinazione, diretto con eleganza e visionarietà, interpretato dalla straordinaria Daniela Vega.

4 - L'insulto - Ziad Doueiri
Scontro dettato da futili motivi tra un meccanico cristiano libanese e un operaio musulmano palestinese che si consumerà nell'aula di un tribunale. Una delle sceneggiature più potenti degli ultimi anni sulla necessità e la complessità della convivenza. Un legal drama incalzante, che non si dimentica: ritmo hollywoodiano, attori eccezionali (Adel Karam e Kamel El Basha), senza vincitori né vinti. Perché nessuno ha l'esclusiva della sofferenza.

3 - Manchester by the Sea - Kenneth Lonergan
La forza insopprimibile del dramma famigliare. Amore, lutto, crollo, rinascita e romanzo di formazione: un cinema classico ed eterno, che si regge sull'intensità degli interpreti (Casey Affleck e Michelle Williams sono magnifici e struggenti), sulla narrazione e sullo sguardo di una regia pulita, impeccabile e interessata soprattutto al fattore umano. Ed è anche la fotografia di un'America proletaria, che combatte quotidianamente con solitudine e senso di colpa.

2 - Civiltà perduta - James Gray
Nell'ossessione di Percy Fawcett di proclamare la scoperta della città di Z nel cuore della foresta sudamericana e di provare l'esistenza di una civiltà sconosciuta risiede tutto ciò che non possiamo lasciare indietro: l'eternità di un sentimento che prescinde da ogni etichetta, catalogo, manuale, contestualizzazione. E neppure nel finale di un film così perdente e sognatore si ottiene una chiusura del cerchio: la morte non si vede, circola sospettosa, suggerendo che non sia un arrivo ma un'altra partenza, forse quella definitiva per la realizzazione del nostro inquieto vagare.

1 - Personal Shopper - Olivier Assayas
Schermi, immagini, riflessi, fantasmi che rispecchiano il nostro narcisismo social e l'idea di mondo di cui siamo prigionieri: la messaggistica istantanea che si consacra come unico strumento di comunicazione, ed emozione. Il corpo di Kristen Stewart insegue un segno, una reazione proveniente da un Altrove, rivolgendosi sempre verso qualcosa che non ha carne, è immateriale. La nuova configurazione del nostro modo di (non) essere. Gli inganni della vita e del cinema portati alle estreme conseguenze: non esistono, ma siamo convinti che ci siano.

MIGLIOR ATTORE: Casey Affleck (Manchester by the Sea)

MIGLIOR ATTRICE: Michelle Williams (Manchester by the Sea)

I BELLISSIMI DE 'IL BELLO, IL BRUTTO E IL CATTIVO'
2011 - Il cigno nero - Darren Aronofsky
2012 - Un sapore di ruggine e ossa - Jacques Audiard
2013 - The Master - Paul Thomas Anderson
2014 - Boyhood - Richard Linklater
2015 - La scomparsa di Eleanor Rigby: Lei/Lui - Ned Benson
2016 - Frantz - Francois Ozon
2017 - Personal Shopper - Olivier Assayas



venerdì 1 dicembre 2017

Flop Ten: I Bidoni del 2017

10 - Vittoria e Abdul - Stephen Frears
Ho sempre apprezzato Frears ma è chiaro che ormai si sia adagiato sullo schema di un cinema per signore il più accomodante e prevedibile possibile. E così, dopo i discreti Philomena e Florence, dirige in modo palesemente annoiato la storia dell'amicizia tra la Regina Vittoria e il suo segretario indiano Abdul Karim. Talmente garbato da risultare a tratti patetico: e a pagarne le conseguenze è la povera Judi Dench, che ormai non si sforza neanche più di far finta di recitare.

9 - L'incredibile vita di Norman - Joseph Cedar
Secondo alcuni Richard Gere sta vivendo una seconda giovinezza professionale. A me invece mette solo tanta tristezza. Il personaggio di questo omuncolo ebreo che cerca di stringere rapporti con la gente che conta è un goffo e soporifero tentativo di analizzare le relazioni nella società contemporanea, ma il risultato finale è incredibilmente inconsistente. Dialoghi interminabili, privi di forza politica nonostante le ambizioni, indecisi tra ironia e dramma.

8 - Borg McEnroe - Janus Metz
Spiace eh, perché mi sarebbe finalmente piaciuto innamorarmi di un bel film sul tennis. Ma qui lo sport è assente, il grande John McEnroe è una macchietta, e malgrado la confezione internazionale sembra di guardare una fiction per la televisione svedese. Uno dei più entusiasmanti dualismi del Novecento ridotto alle caricature di un biondo bello e impossibile e di un americano un po' pazzariello: ripassare Rush di Ron Howard, please. 

7 - Song to Song - Terrence Malick
Il buon Malick si è perso in un vicolo cieco oppure ha un disperato bisogno di soldi: non si spiegherebbe altrimenti il motivo per cui ci propina il terzo pseudo-remake di The Tree of Life di fila, dopo To The Wonder e Knight of Cups. E per di più in versione sempre più patinata e fighetta. I quattro protagonisti sono talmente belli, puliti e impeccabili che pare di assistere a un fluviale spot pubblicitario con pretese filosofeggianti e una paracula spruzzatina di rock'n'roll.

6 - Life - Daniel Espinosa
Una delle più grandi truffe dell'anno, spacciato come sci-fi metafisico e riflessivo, in realtà è un horror scadente di serie Z che saccheggia tutto e di più, dagli Alien a Gravity, per arrivare fino ad Apollo 13. Una copia sbiadita di tutto quello che ci viene propinato da quarant'anni, capace di inanellare cadute di stile una dietro l'altra. Ma il peggio arriva con il colpo di scena finale, mai così sgradevole e mal costruito in una pellicola di genere con un budget così mastodontico.

5 - Suburbicon - George Clooney
Ormai le sceneggiature dei Coen cominciano ad assomigliarsi sempre di più e a sorprendere sempre di meno. George Clooney muore dalla voglia di essere il terzo fratello acquisito, desiderando a tutti i costi lo stesso sarcasmo e lo stesso cinismo di Fargo. Il risultato è buffonesco e stilizzato, e consolida l'idea che al di fuori dei temi più nobili e impegnati il brizzolato sex symbol si muova in modo confuso e non sia in grado di proporre un'opera perlomeno godibile.

4 - Una famiglia - Sebastiano Riso
Una volenterosa e appassionata Micaela Ramazzotti non basta a salvare il naufragio di un film isterico e sopra le righe, con dialoghi spesso ridicoli su femminismo e filiazione, diritti civili ed egemonia del maschio. Stereotipato e frammentario, con il risultato di ottenere le reazioni contrarie a quelle che vorrebbe suscitare: risate involontarie al posto di indignazione, imbarazzo al posto di empatia e commozione.

3 - King Arthur - Guy Ritchie
Un pasticcio fantasy senza fascino, visivamente molesto e recitato tragicamente. Se si esclude il promettente esordio di Lock & Stock, possiamo serenamente candidare Guy Ritchie come peggior regista del nuovo millennio. Per chi è allergico a Il trono di spade, è un'agonia che non ha mai fine. Ad ogni modo, anche gli effetti speciali sembrano particolarmente scadenti per una produzione di questo tipo. Spiace per Charlie Hunnam, che si riscatta però con il magnifico Civiltà perduta.

2 - Assassin's Creed - Justin Kurzel
Dichiariamo definitivamente il fallimento delle trasposizioni dei videogiochi al cinema, per piacere. In più di vent'anni di sceneggiature idiote e personaggi dementi, possiamo forse salvare soltanto Milla Jovovich contro gli zombi. Questo cinevideogame, confuso e di rara prolissità, riesce a includere le peggiori interpretazioni di sempre di Michael Fassbender e Marion Cotillard: un'impresa notevole. E cerchiamo con il pennarello rosso il nome di questo Justin Kurzel: se si conosce, si evita.

1 - Collateral Beauty - David Frenkel
Il grande mistero dell'anno, che getta una luce oscura e deprimente sulle scelte del pubblico italiano: infatti, il nostro Paese è l'unico al mondo in cui questo drammone familista, stucchevole e improbabile, con una delle storie più stupide che siano mai state pensate, abbia ottenuto successo al box office. Il punto più basso della carriera di quattro grandi attori: Will Smith, Edward Norton, Helen Mirren, Kate Winslet. Forse il peggior film di sempre sull'elaborazione del lutto.

PEGGIOR ATTORE: Richard Gere (L'incredibile vita di Norman

PEGGIOR ATTRICE: Judi Dench (Vittoria e Abdul)

I BIDONI D'ORO DE 'IL BELLO, IL BRUTTO E IL CATTIVO'
2011 - La pelle che abito - Pedro Almodovar
2012 - Le belve - Oliver Stone
2013 - Solo Dio perdona - Nicolas Winding Refn
2014 - 12 anni schiavo - Steve McQueen
2015 - Crimson Peak - Guillermo del Toro
2016 - Revenant - Redivivo - Alejandro G. Inarritu
2017 - Collateral Beauty - David Frenkel



sabato 18 novembre 2017

Top 5: Novembre 2017

5 - Sami Blood - Amanda Kernell (voto 7)
Vincitore del Premio Lux, riconoscimento assegnato dal Parlamento Europeo per valorizzare le pellicole che maggiormente incarnano i valori d'integrazione e dialogo nella comunità europea. Un nobile e doloroso racconto di formazione, che riflette in modo prezioso sul concetto di identità culturale in un'epoca di omologazione globale. Una lente d'ingrandimento sulla storia poco nota del colonialismo svedese, e un'interpretazione sorprendente della giovane Lena Cecilia Sparrok.

4 - Auguri per la tua morte - Christopher Landon (voto 7)
Colpo gobbo al box office americano e notevolissima accoglienza a quello italiano. Il teen-horror sembra non subire mai i contraccolpi della crisi, anzi. Seppur derivativo, il film di Landon punta su un un paio di elementi semplici ed efficaci: una scream girl indovinata come Jessica Rothe, bella e inizialmente antipatica che, nel corso degli eventi, vive una trasformazione interiore; una scrittura brillante, che costringe con intelligenza lo spettatore a domandarsi chi possa essere l'assassino.

3 - Good Time - Ben e Joshua Safdie (voto 8)
La prova definitiva di Robert Pattinson, qui in versione derelitta e biondo platino, ormai uno degli attori più convincenti del cinema statunitense meno furbo e più borderline. Un heist movie che sembra una versione grezza e tossica di Fuori orario di Martin Scorsese, oppure un film di Michael Mann che dirige sotto acido. I fratelli Safdie raccontano i poveracci di un'America disperata e perdente, con un'estetica allucinata e psichedelica.

2 - Il mio Godard - Michel Hazanavicius (voto 8)
Hazanavicius si diverte come un matto a sfottere Jean-Luc Godard, utilizzando proprio le forme e i vezzi del suo stile, come se fosse uno studente irriverente e talentuosissimo. Pieno di invenzioni cinefile come The Artist, il risultato è un altro atto d'amore alla forza popolare e iconografica del cinema. Louis Garrel è strepitoso, ma a donare luminosità e bellezza è una folgorante Stacy Martin nel ruolo di Anne Wiazemsky, vittima dell'innamoramento per un artista geniale e arrogante.

1 - The Big Sick - Michael Showalter (voto 8)
La miglior commedia Usa degli ultimi anni, in pieno Apatow style, qui nelle vesti di produttore. Si frullano Funny People, 50 e 50 e Master of None, e il prodotto finale è ancora più intelligente, agrodolce, tragicomico: con freschezza e (auto)ironia, il protagonista e sceneggiatore Kumail Nanjiani racconta la difficoltà di essere americano e pachistano e la sua complicata storia d'amore con Emily (Zoe Kazan). Tra battute scorrette sull'Undici Settembre e medical drama, si esce dal cinema con la sensazione di aver preso una boccata d'aria fresca.



lunedì 23 ottobre 2017

Top 5: Ottobre 2017

5 - La battaglia dei sessi - Jonathan Dayton, Valerie Faris (voto 7)
Raro esempio di genere tennistico (ma è in arrivo anche Borg McEnroe), intelligente prodotto femminista, puntualmente nelle sale in pieno scandalo Weinstein. Se ne apprezzano il tono equilibrato e mai retorico, il ritratto di un'epoca divisa tra tradizionalismo e moti ribelli e le prove degli attori: Steve Carell è un insopportabile esibizionista come in Foxcatcher, Andrea Riseborough è la conferma di un talento sensibile ed Emma Stone è senz'altro più credibile come Billie Jean che in La La Land.

4 - 120 battiti al minuto - Robin Campillo (voto 7)
Nobile ed energico film su Act Up, gruppo di attivisti per i diritti dei sieropositivi contro l'indifferenza dello Stato nella Francia degli anni Novanta. Realiste e coinvolgenti le scene delle assemblee e dei dibattiti, emozionano la descrizione corale dei protagonisti e le loro accese manifestazioni, più convenzionale la love story con lacrima facile che rischia nel finale di offuscare la potenza del messaggio politico e lo sguardo d'insieme.

3 - L'altra metà della storia - Ritesh Batra (voto 8)
Profonda e crudele riflessione sugli inganni della memoria e sulla rimozione delle proprie colpe, sorretta da una sceneggiatura di eccelsa fattura, che si distingue per la bellezza del racconto e per l'utilizzo di un colpo di scena efficace e incisivo. Un cinema semplice e medio-alto, certamente non innovativo, ma che porta lo spettatore a confrontarsi con i propri sentimenti, sorprendendolo ed evitando di percorrere i binari più ovvi per commuovere.

2 - It - Andy Muschietti (voto 8)
Muschietti rinuncia di adattare pedissequamente un romanzo inadattabile, ma ne conserva lo spirito, preferendo concentrarsi sull'instabilità emotiva dei personaggi. Il vero orrore è interiore, e si costruisce tanto nell'atto voyeuristico di un desiderio inespresso e sconosciuto ("it" è anche il pronome con cui ci si riferisce al sesso), quanto nel timore di vivere in un mondo che costringe a competere. Forse Pennywise non è altro che uno stimolo a prendere consapevolezza dei nostri limiti e a darci coraggio.

1 - Una donna fantastica - Sebastian Lelio (voto 8)
Memorabile ritratto femminile di Daniel/Marina, che rivendica il diritto di piangere la persona che ama affrontando gli imbarazzi e i pregiudizi di una famiglia e di un'intera società. Lelio come il miglior Pedro: innamoratissimo della sua protagonista, la segue mentre si batte con ostinazione per ritagliarsi il proprio spazio di dolore, di passione. Sobrio e delicato dramma transgender, trip emozionale che elabora il lutto con lucidità e determinazione, diretto con eleganza e visionarietà, interpretato straordinariamente da Daniela Vega.




lunedì 25 settembre 2017

Top 5: Settembre 2017

5 - Walk With Me - Marc J. Francis, Max Pugh (voto 7)
Utile documentario sull'arte della meditazione buddista, oggi chiamata Mindfulness. Narrato dalla voce calda e sontuosa di Benedict Cumberbatch, è una lente di ingrandimento sul Monastero Zen di Plum Village, nel sudovest francese, dove uomini e donne, monaci e monache, vivono il presente. Bello e cinefilo il parallelismo tra il maestro Thich Nhat Hanh e Yoda di Guerre stellari. Consigliato a tutti coloro che faticano a concentrarsi e a rimanere attenti per un'ampia durata di tempo.

4 - Dove cadono le ombre - Valentina Pedicini (voto 7)
Nella vita di Anna (la straordinaria Federica Rosellini), infermiera di un istituto per anziani, riappare Gertrud (Elena Cotta) e riemergono i ricordi di un passato doloroso. Un esordio sconvolgente che affronta una storia poco nota, accaduta tra il 1926 e il 1986, quando l'associazione filantropica Pro Juventute sottrasse 2000 bambini alle famiglie Jenisch, rinchiusi in ospedali psichiatrici e prigioni, per estirpare il fenomeno del nomadismo. Rigoroso e senza scorciatoie emotive.

3 - In Dubious Battle - James Franco (voto 7)
James Franco è un punk. Perché fa quello che gli pare, alternando film demenziali, prove da Oscar, serie tv e Blockbuster a una carriera da regista autentica, coraggiosa, a volte fallimentare, ma importante. La sua traduzione de La battaglia di John Steinbeck è fedele alla poetica amara del libro, e come regista si fa da parte per lavorare al servizio del testo e della sua forza politica, indignata e commossa. Un cast variopinto di volti noti al pubblico teen e facce ruvide suggella un'operazione riuscita.

2 - Mother! - Darren Aronofsky (voto 8)
Nessuno costringe ad avere una reazione come Aronofsky. Un altro film imperfetto ed eccessivo, un'altra dichiarazione d'amore e di fiducia per le potenzialità del cinema di sporcare gli occhi, abbattere le censure borghesi del pensiero intellettuale e superare i limiti di ciò che è realizzabile. Un delirio visivo biblico e perverso, ma vivissimo ed estremo, sonoro e fisico, che s'interroga sul rapporto tra interno, artistico e sentimentale, ed esterno. Strepitosa Jennifer Lawrence.

1 - L'inganno - Sofia Coppola (voto 8)
Tremate, tremate, le streghe son tornate. E con loro anche la regista più brava del nuovo millennio, che si era persa tra il tedio di Somewhere e la futilità di Bling Ring. Sofisticata, raffinatissima e crudele lotta tra i generi: femmine contro maschio, impersonato dal grande Colin Farrell, seducente caporale che rimarrà vittima dell'alterità delle donne arpie e megere che lo circondano, capitanate da una Nicole Kidman in pura versione horror. Melodramma e commedia nera: bentornata Sofia.



venerdì 15 settembre 2017

Il Pagellino: Venezia 2017 - Seconda Parte

Madre! - Darren Aronofsky 8: nessuno costringe ad avere una reazione come Aronofsky. Un altro film imperfetto ed eccessivo, un'altra dichiarazione di fiducia per le potenzialità sconfinate del cinema di molestare e sporcare gli occhi. Un delirio visivo biblico e perverso, ma vivissimo ed estremo, sonoro e fisico, che s'interroga sul rapporto tra interno, sentimentale e artistico, ed esterno.

The Third Murder - Hirokazu Koreeda 5: forse il lavoro più debole di tutta la filmografia dell'autore giapponese, che cerca di svoltare verso il processuale, ma con un'impostazione troppo compassata e un ritmo soporifero. Eccessivamente verboso e senza alcun guizzo registico e narrativo, nonostante la solita attenzione alle innumerevoli sfumature dell'animo umano.

Sweet Country - Warwick Thornton 7: western aborigeno di gran classe, dove uno schiavo uccide il suo padrone razzista e stupratore e fugge con la moglie incinta verso il suo destino, mentre sullo sfondo stanno emergendo la rivoluzione sociale e il conflitto culturale dell'Australia degli anni Venti. Grande regia e grande fotografia: polveroso, ipnotico e solido.

Angels Wear White - Vivian Qu 4: dopo il bellissimo Trap Street (quattro anni fa alla Settimana della Critica), la regista cinese delude alla seconda prova con un banale e prevedibile giallo su due ragazzine vittime di abusi, adagiandosi su ovvie denunce nei confronti della corruzione e del malfunzionamento delle istituzioni. Nobile ma cinematograficamente scadente.

Mektoub, My Love - Abdellatif Kechiche 10: meraviglioso romanzo di educazione estiva ed erotica, inno definitivo alla giovinezza e alla sensualità del corpo femminile, complessa e problematica riflessione sulla contemplazione (e la frustrazione) di chi guarda. Un Kechiche mai così radicale e audace, in miracoloso equilibrio tra sublime e superficiale, tra poesia, sacralità e dance anni Novanta. Puro cinema inteso come sguardo sovversivo e liberatorio, come testimonianza di vita.

Hannah - Andrea Pallaoro 8: costruita quasi interamente sulla straordinaria forza attoriale di Charlotte Rampling, un'opera rigorosa e sensibile, che descrive con minuzia di particolari il dolore quotidiano di una donna rimasta sola, senza scene madri e isteria. Un'idea di cinema precisa, chiara e adulta, all'altezza del confronto con autori come Michael Haneke o Tsai Ming Liang.

Jusqu'à la garde - Xavier Legrand 4: il più sopravvalutato dalla giuria di Annette Bening, inspiegabile vincitore del premio per la miglior regia. Un film di denuncia basilare e didascalico, quasi uno spot di un'ora e mezza per la campagna contro lo stalking e la violenza domestica. Senza interrogativi e chiaroscuri, passando in maniera elementare dal dramma famigliare all'incubo thriller.



lunedì 11 settembre 2017

Riflessioni spiazzanti: Venezia 74

Mi sarei aspettato francamente un maggiore coraggio da parte del presidente di giuria Annette Bening nell'assegnazione dei premi di quest'ottimo Concorso di Venezia 74. The Shape of Water di Guillermo del Toro non ha bisogno del Leone d'oro per acquisire visibilità e, nello stesso tempo, non è un film che si distingua per particolari meriti, al di là di essere un buonissimo prodotto per famiglie, confezionato magistralmente per gli Oscar. Un tenero elogio all'amore e alla diversità, fin troppo perfetto e corretto, senza tormento. Un tono dark e fantasy sempre pulito, mai davvero cupo e irrequieto, mai sporco. The Shape of Water sa emozionare e rassicurare. Una favola sedentaria e conservatrice, che non sposta di un millimetro la ricerca cinematografica verso nuovi orizzonti - e sono certo che con il potenziale di questa storia il Tim Burton di un tempo, quello romantico e disperato, ne avrebbe tirato fuori un capolavoro. Guillermo del Toro è un regista privo della febbrile eccitazione che possiede un certo Abdellatif Kechiche quando è dietro la macchina da presa. Qualcuno sostiene che nel meraviglioso romanzo di educazione estiva ed erotica Mektoub, My Love: Canto Uno l'abbia confusa con il suo pene: un'osservazione brillante, ma non sono convinto che questo sia davvero un difetto. A parte i meriti puramente registici di Kechiche (nessuno muove la mdp come lui, nessuno attraverso dettagli e piccolezze instaura relazioni umane e racconta i personaggi come lui, nessuno immerge così tanto lo spettatore nella realtà e nella verità delle immagini come lui), Mektoub, My Love è una complessa e problematica riflessione sul ruolo di chi guarda: i lunghi primi piani sui bellissimi culi di ragazze che ballano, che hanno indignato la parte bigotta e castigatrice della stampa presente alla prima proiezione del film (mio dio, ci troviamo davvero ancora a questo punto?), sono la gioia di chi concepisce il cinema come sguardo sovversivo e liberatorio, come strumento artistico finalizzato a rompere i tabù e a far pensare, vedere, vivere ciò che non dovremmo o che non possiamo. Un'idea di cinema non troppo lontana da un regista strutturalmente lontano come Darren Aronofsky, che nell'imperfetto ed eccessivo mother! dichiara la sua fiducia indissolubile per le potenzialità sconfinate del grande schermo con un delirio visivo biblico e perverso, ma vivissimo ed estremo, sonoro e fisico, che sporca gli occhi e costringe a una reazione. Grazie a registi come Kechiche e Aronofsky, credo che abbia un senso intendere una visione cinematografica come un'esperienza. E, a tal proposito, in questa bella edizione della Mostra di Venezia, faccio fatica a non pensare allo struggente documentario Jim & Andy: The Great Beyond, dove si celebrano il significato profondo e le conseguenze dell'essere attore e dell'essere Andy Kaufman, quando, scoppiando quasi in lacrime, l'incredibile uomo e performer Jim Carrey ricorda la lezione del padre per cui "se devi fallire, è meglio fallire facendo quello che si ama".

Emiliano Dal Toso



lunedì 4 settembre 2017

Il Pagellino: Venezia 2017 - Prima Parte

Downsizing - Alexander Payne 5: il regista di Sideways e Nebraska non trova l'equilibrio tra farsa e riflessione ambientalista, e dopo un inizio promettente percorre la strada ecumenica del politicamente corretto. Non morde, si rifugia in scelte convenzionali, ma nello stesso tempo è troppo ambizioso per un semplice e divertente intrattenimento.

First Reformed - Paul Schrader 4: telecamera fissa e fiumi di parole per una riflessione banale sulla spiritualità. Schrader vive di rendita, ma i suoi ultimi film (The Canyons, Cane mangia cane) rivelano un evidente spaesamento sulla direzione autoriale da prendere. Stilisticamente tanto rigoroso quanto pretenzioso, con un paio di momenti che sfiorano il ridicolo involontario.

The Shape of Water - Guillermo Del Toro 6: una storia d'amore tenerissima dai toni favolistici in un film esteticamente straordinario ma dove non convince appieno l'elogio poetico della diversità. Probabilmente il Tim Burton di un tempo lo avrebbe reso un capolavoro, nelle mani di Del Toro è soltanto un ottimo prodotto ben confezionato.

The Insult - Ziad Doueiri 8: scontro dettato da futili motivi tra un cattolico libanese e un palestinese che si combatterà nell'aula di un tribunale. Una delle sceneggiature più potenti degli ultimi anni sulla necessità e la complessità della convivenza. Ritmo hollywoodiano, attori eccezionali, senza vincitori né vinti: nessuno ha l'esclusiva della sofferenza.

Lean On Pete - Andrew Haigh 4: enorme delusione dal regista inglese di 45 anni. Haigh sbarca in America e cerca di riadattare un immaginario che non gli appartiene. Senza sporcizia e ruvidezza, il suo romanzo di formazione irrita per perbenismo e lentezza, forzando in sensibilità e autorialismi una storia che avrebbe meritato tutt'altro furore e coinvolgimento.

Human Flow - Ai Weiwei 6: artisticamente indiscutibile e dalle nobilissimi intenzioni, ma la presenza dell'attivista e dissidente cinese è eccessivamente ingombrante. Da Weiwei era lecito aspettarsi qualche sforzo cinematografico più elaborato, al di là di immagini provenienti da tutto il mondo di indubbia bellezza volte a ribadire l'unicità dell'essere umano.

Foxtrot - Samuel Maoz 9: il dramma della perdita e l'orrore della guerra raccontati attraverso la disperazione di un padre e la vita in un checkpoint in mezzo al deserto. Il sangue si tramanda di generazione in generazione in un loop dove si torna sempre al punto di partenza. Ma l'assurdità della violenza e l'ineluttabilità del fato si possono esorcizzare con la danza e i racconti di gioventù.

Suburbicon - George Clooney 5: ormai le sceneggiature dei Coen cominciano ad assomigliarsi sempre più e a sorprendere sempre meno. George Clooney muore dalla voglia di essere il terzo fratello acquisito, desiderando a tutti i costi lo stesso sarcasmo e lo stesso cinismo di Fargo. Ma a parte qualche risata, il risultato è buffonesco e stilizzato.

La villa - Robert Guédiguian 8: forse il manifesto del cinema di Guédiguian: amore e amicizia, impegno politico, malinconia, solidarietà umana in un mondo cattivo e ingiusto dove è sempre più difficile essere buoni e giusti. Un cinema limpido e coerente, sincero: due ore in cui si assaporano vite molto simili alle nostre, tra affetti speciali e ideali perduti.

Una famiglia - Sebastiano Riso 3: una volenterosa e appassionata Micaela Ramazzotti non basta a salvare il naufragio di un film isterico e sopra le righe, con dialoghi spesso patetici su femminismo e filiazione, diritti civili ed egemonia del maschio. Stereotipato e frammentario, ottiene il risultato contrario a quello che si pone.

Tre manifesti a Ebbing, Missouri - Martin McDonagh 8: terzo lavoro del regista irlandese, più coeniano dello stesso Clooney. In un paesino del Missouri razzista e indifferente, la tragedia si stempera improvvisamente con la risata, così come la commozione si nasconde anche dietro personaggi grezzi e senzadio, forse soltanto alla ricerca di speranza. Terzetto d'attori inarrivabile: Woody Harrelson, Frances McDormand, Sam Rockwell.




venerdì 11 agosto 2017

Top 5: Agosto 2017

5 - Angoscia - Sonny Mallhi (voto 7)
Tess è un'adolescente che soffre di depressione e disturbi comportamentali sin da piccola. Questa è la diagnosi dei medici: in realtà, la patologia si fa sempre più preoccupante quando la ragazza instaura una connessione misteriosa con una coetanea investita da un'auto sotto gli occhi della madre. Un esordio che si distingue per la rinuncia agli effetti speciali e per puntare soltanto su atmosfere dark e inquietanti, in grado di generare un vero e proprio mood opprimente e paranoico.

4 - Amityville: Il risveglio - Franck Khalfoun (voto 7)
Belle si trasferisce ad Amityville con la madre, la sorella e il fratello in coma che ha bisogno di costanti cure mediche. Scoprirà presto che nella nuova casa sono stati commessi degli omicidi. Un ottimo e solido horror, e può essere l'occasione ideale per recuperare tutta la saga di Amityville, da noi troppo sottovalutata e stranamente poco considerata. Jennifer Jason Leigh è inquietante, ma non dimenticatevi di Bella Thorne, perché è destinata a essere uno dei nomi più caldi di Hollywood.

3 - Atomica bionda - David Leitch (voto 7)
Luci al neon, colonna sonora Eighties martellante, e soprattutto la dea Charlize che mena come un fabbro in questo spy-action stilizzato, glaciale e dal ritmo incontenibile, violento e femminista, lesbo (scambi bollenti con la splendida sorpresa Sofia Boutella) e teutonico. L'estetica e il divertimento sono assicurati, e non sono fini a se stessi: mentre ci si massacra, si fa la Storia, ma non è altro che l'illusione di un mondo migliore.

2 - Félicité - Alain Gomis (voto 8)
Il ritratto di una vera "wonder woman" nell'Africa che combatte quotidianamente con povertà e disagio. Alain Gomis è un grande regista, capace di potenti e indimenticabili sequenze, come quelle nella bettola dove si esibisce la magnifica protagonista. Accompagnato da momenti onirici e metafisici, tra magia e ritualismi, che si potrebbero accostare anche alle visioni del Malick più caleidoscopico, il risultato è un'immersione nei colori e nelle suggestioni di un continente.

1 - A Ciambra - Jonas Carpignano (voto 9)
Puro, autentico, incontaminato. Dopo Mediterranea, un'altra risposta all'esigenza di un cinema che torni a confrontarsi con il reale, con il presente, con i volti dimenticati e marginali di un Paese che si finge di ignorare e la cui rabbia è sempre più sul punto di esplodere. E, senza retorica e didascalismi, dietro la crudezza delle situazioni vissute e raccontate, si nascondono la romantica poesia della crescita e la necessità di prendere confidenza con il proprio ruolo nel mondo.




martedì 1 agosto 2017

Mediterranea

Un nome su cui deve puntare il cinema italiano? Jonas Carpignano, trentatreenne cresciuto tra New York e la Sicilia, arrivato al secondo lungometraggio con A Ciambra, che ha ottenuto un'accoglienza trionfale all'ultimo Festival di Cannes. Vale la pena di recuperare allora la sua opera d'esordio, quel Mediterranea che due anni fa rivelò la potenza dello sguardo di questo giovane cineasta capace di affrontare in maniera cruda e autentica l'odissea di Ayiva che, insieme all'amico Abbas, parte da Ouagadougu, capitale del Burkina Faso, attraversa il deserto, arriva in Libia e sale su un gommone per raggiungere il Sud Italia. Il dramma dei migranti è uno dei temi centrali del cinema europeo di questo decennio: basti pensare a Deephan di Jacques Audiard, vincitore della Palma d'oro nel 2015, oppure a Fuocoammare di Gianfranco Rosi, Orso d'oro a Berlino nel 2016. Carpignano assume il punto di vista del migrante ridotto a schiavo in una baraccopoli e costretto a raccogliere arance per pochi euro, lavorando a ritmi disumani. Senza retorica e pietismo, mette a confronto i due atteggiamenti diversi di Ayiva e Abbas: il primo si sforza di entrare in contatto con le persone che lo circondano, dandosi da fare per trovare un luogo dove sopravvivere; il secondo invece mostra una sempre più crescente insofferenza nei confronti della sua drammatica condizione. Il culmine di questa tensione è raggiunto nelle scioccanti immagini degli scontri tra locali e immigrati che rimandano a quelli avvenuti a Rosarno nel 2010: ed è così che il viaggio della speranza dei due ragazzi africani si abbatte contro la violenza e l'illusione di una convivenza tuttora impossibile da realizzarsi. La mano di Carpignano non è né didattica né consolatoria, e nella seconda parte il regista individua il punto d'incontro empatico tra lo spettatore e Ayiva, permettendosi un momento intimo di pura e sincera commozione: quello in cui il protagonista si mette in contatto virtuale con la figlia via Skype e quest'ultima lo ringrazia per il lettore mp3 che è riuscito a spedirle, facendola innamorare di una semplice canzone pop di Rihanna. Jonas si sofferma sugli occhi rossi, pieni d'amore e sofferenza, del protagonista, rivelando così un sapiente equilibrio tra il rigore della descrizione sociale e la magnifica debolezza per l'idea di un cinema che non è in grado di rinunciare all'emozione e agli affetti speciali.

Emiliano Dal Toso





sabato 22 luglio 2017

Top 5: Luglio 2017

5 - Parliamo delle mie donne - Claude Lelouch (voto 7)
Johnny Hallyday, fotografo e bastardo donnaiolo, decide di ritirarsi in Alta Savoia e si innamora dell'agente immobiliare. Ma, senza le sue figlie, non è vera felicità. Per un'ora e mezza è un Lelouch gradevole e divertente, poi crolla in un finale incomprensibilmente drammatico. Ma un momento solo vale il prezzo del biglietto: quando il protagonista e il suo migliore amico, sdraiati sul loro divano da borghesi, guardano in tv Rio Bravo e cantano For my rifle, my pony and Me.

4 - Una vita - Stéphane Brizé (voto 7)
Una fedele, rigorosa ed esteticamente impeccabile traduzione cinematografica del romanzo capolavoro di Guy de Maupassant del 1883. Un racconto di formazione sempre autentico e doloroso, dove la protagonista Jeanne si trova a dover fare i conti con lo sgretolamento della propria idea dell'amore. Una lezione sull'essenzialità di riuscire ad acquisire la giusta distanza per sapersi difendere dalle delusioni. Bravissima Judith Chemla.

3 - Codice criminale - Adam Smith (voto 7)
Lasciatevi trasportare dallo spirito anarchico e fuorilegge di questa storia famigliare un po' incivile e disordinata: Michael Fassbender, uno dei divi assoluti di questo decennio, in un ruolo primitivo e animalesco, fisico e passionale, padre affettuoso e abile scassinatore; uno sguardo sugli ambienti inedito e anticonvenzionale; l'elogio degli Irish Travellers, veri e propri Robin Hood di oggi che rifiutano lo stile di vita contemporaneo, vestono tute da ginnastica e praticano la boxe a mani nude.

2 - The War - Il pianeta delle scimmie - Matt Reeves (voto 7)
Il capitolo conclusivo di una delle saghe più cupe e riuscite del nuovo millennio. Peccato per un Woody Harrelson ormai macchietta di se stesso e per un tono apocalittico eccessivamente insistito, ma quello che conta sono le scimmie che resistono alla brutalità, alla violenza e alla mediocrità dell'essere umano: Cesare è la vera icona rivoluzionaria del nostro tempo. Più vicino ad Apocalypse Now che ai vecchi film di Schaffner e Burton.

1 - Civiltà perduta - James Gray (voto 10)
Nell'ossessione di Percy Fawcett di proclamare la scoperta della città di Z nel cuore della foresta sudamericana e di provare l'esistenza di una civiltà sconosciuta risiede tutto ciò che non possiamo lasciare indietro: il Cinema come sentimento eterno, che prescinde da ogni etichetta, catalogo, manuale, contestualizzazione. E neppure nel finale di un film così perdente e sognatore si ottiene una chiusura del cerchio: la morte non si vede, circola sospettosa, suggerendo che non sia un arrivo ma un'altra partenza, forse quella definitiva per la realizzazione del nostro inquieto vagare.







mercoledì 5 luglio 2017

Civiltà perduta

Sembra incredibile che oggi il cinema di James Gray possa esistere, essere prodotto ed essere realizzato. Ed è meraviglioso che possa essere ammirato su un grande schermo: vedere in un cinema nel 2017 un film come Civiltà perduta è un ultimo atto romantico, un gesto ribelle, un momento fuori dal tempo che appartiene a quegli spazi della nostra vita che abitano in una terra di nessuno. Nell'ossessione del protagonista Percy Fawcett di proclamare la scoperta della città di Z nel cuore della foresta sudamericana e di provare l'esistenza di una civiltà sconosciuta risiede tutto ciò che non possiamo lasciare indietro: il Cinema come opera eterna, che prescinde da ogni etichetta, classifica, catalogo, manuale, contestualizzazione. Questa è la grandezza dei capolavori impossibili, imperfetti e sbagliati, perché non si regolano in funzione di un pubblico, una moda, uno zeitgeist. A tal proposito, non può non venire in mente I cancelli del cielo di Michael Cimino, il più grande fallimento commerciale di tutti i tempi. Eppure, quanto amore esiste in questa idea di cinema. Un'idea che combatte contro la stessa inesorabilità del Tempo: non è certamente casuale che in Civiltà perduta si superino con naturalezza mesi e anni e ci si trovi catapultati con poco preavviso in diversi luoghi e continenti. Perché l'ossessione e il sentimento sono eterni e nomadi, e non hanno un luogo dove stabilirsi, sistemarsi, costruire un progetto, una famiglia. E gli affetti di Fawcett, la moglie e i figli, sono costretti a essere spesso abbandonati, sacrificati, oppure non hanno altra scelta che la collaborazione e l'unione all'ossessione di Percy, quella che lo tiene in vita e che gli permette una quotidianità domestica, una relativa e parziale serenità famigliare. Moriremmo uomini felici se dovessimo aver speso la nostra permanenza terrena all'insegna dello stesso sogno di James Gray e di Percy Fawcett: significherebbe aver viaggiato con il cuore e la testa tutti i giorni, cercando di raggiungere quel miraggio in cui siamo profondamente certi abiti il senso della nostra irrequieta esistenza. Purtroppo, non basta niente, nulla che non sia l'incontro con la nostra città di Z. Neppure nel finale di questo film così consapevolmente perdente e sognatore si ottiene una chiusura del cerchio: la morte non si vede, circola sospettosa come in tutti gli altri frammenti, suggerendo che non sia un arrivo ma un'altra partenza, forse quella definitiva per la realizzazione del nostro inquieto vagare.

Emiliano Dal Toso





domenica 25 giugno 2017

Cannes 2017: Ismael's Ghosts, L'amant d'un jour, How to Talk to Girls at Parties, Le Redoutable

Non ci sono dubbi che l'ultima rassegna di 'Cannes e dintorni' sia stata tra le più deboli di sempre: pochissimi titoli in Concorso, assenti la Palma d'oro 'The Square' di Ruben Ostlund e gli attesissimi 'The Beguiled' di Sofia Coppola, 'The Killing of a Sacred Deer' di Yorgos Lanthimos e 'The Meyerowitz Stories' di Noah Baumbach - che recupereremo però a breve su Netflix. Non sono mancate in programma, invece, le proiezioni del discusso film d'apertura del Festival, Ismael's Ghosts (voto 5) di Arnaud Desplechin. Dopo averlo visto, ci iscriviamo al partito di chi pensa che questa scelta sia stata dovuta soltanto al cast di stelle del cinema francese da far passeggiare sul red carpet: Mathieu Amalric, Marion Cotillard, Charlotte Gainsbourg e Louis Garrel. L'impressione è quella di un'opera autorializzante e confusa, che attraversa molti temi e suggestioni e si affida a numerosi riferimenti letterari (James Joyce), incapace però di prendere una precisa direzione poetica. Troppi personaggi, troppi punti di vista che vorrebbero rappresentare l'incapacità di oggi di poter dare una sola prospettiva ai racconti e alle storie. Ma la riflessione del regista è troppo intellettualizzante e compiaciuta e il risultato è poco nitido, disinteressato alla ricezione dello spettatore. Francesissimo e garanzia di un cinema d'autore militante è il Philippe Garrel di L'amant d'un jour (voto 6), cineasta che porta avanti da decenni un'idea visiva di Settima Arte sempre fedele a se stessa. Quest'ultimo lavoro non raggiunge però le vette emotive e commoventi di Les amants réguliers e La gelosia, risultando più autoreferenziale che personale, un po' ingabbiato in uno schema narrativo troppo esile: una ragazza torna a vivere a casa del padre dopo la fine di una relazione, ma quest'ultimo ora convive con una coetanea della figlia. Tranne la solita raffinatissima attenzione ai dettagli, a dialoghi e a situazioni così credibili, non sembra che ci si discosti dai più classici temi edipici senza aggiungere alcun elemento innovativo. Un po' sgangherata ma vitale e originale è la fantascienza punk di How to Talk to Girls at Parties (voto 7) del regista cult John Cameron Mitchell (Hedwig, Shortbus), dove un gruppo di adolescenti fa conoscenza di una comunità aliena dalle sembianze umane: tantissimi i riferimenti cinefili e pop, che spaziano da Arancia meccanica a The Rocky Horror Picture Show, dal cinema camp di John Waters al David Bowie di Labyrinth e L'uomo che cadde sulla terra. Un frullato ironico che ricalca i tipici percorsi dei "coming of age": innamoramenti, goffi approcci sessuali e spirito ribelle. Da segnalare le irresistibili interpretazioni della sempre più brava Elle Fanning e di una Nicole Kidman in versione leader anarchica. Un elogio debosciato dell'anticonformismo e dell'uguaglianza tra specie (e razze) diverse. Che grandissima sorpresa, invece, Le Redoutable (voto 9) di Michel Hazanavicius: ecco il film che ci aspettavamo dal regista parigino dopo il trionfo di The Artist. Non sorprende che abbia infastidito i critici più attempati e puristi: il ritratto del Jean-Luc Godard nella sua fase più militante è semplicemente impietoso. Hazanavicius si diverte come un matto a sfottere il mito di Godard utilizzando proprio le forme e i vezzi del suo stile, come se fosse uno studente irrispettoso, irriverente e talentuosissimo. Esilarante come The Artist, ma ancora più politico e radicale: scomponendo e mettendo assieme gli stereotipi della Nouvelle Vague, il risultato è un atto d'amore alla forza popolare e iconografica del Cinema. Louis Garrel è in stato di grazia, ma a donare bellezza e luminosità è un'incantevole Stacy Martin, nei panni dell'attrice Anne Wiazemsky, vittima dell'amore per un artista geniale e arrogante.

Emiliano Dal Toso




mercoledì 7 giugno 2017

Top Ten: Classifica Primo Semestre 2017

10 - Ritratto di famiglia con tempesta - Hirokazu Koreeda
La vita dal punto di vista di un irresistibile loser: scrittore fallito, scommettitore incallito, goffo investigatore privato e padre affettuoso ancora innamorato della ex cerca di ricomporre il nucleo famigliare sfruttando il riparo della casa materna dalle intemperanze meteo. Ma dopo la tempesta, la presa di consapevolezza della sconfitta lo porterà verso un nuovo domani. Grande Hiroshi Abe, interprete comico e struggente, e bravissimo Koreeda a raccontare con equilibrio e delicatezza la tragicommedia dei nostri giorni.

9 - Dopo l'amore - Joachim Lafosse
Un dolente kammerspiel sulla fine di un matrimonio con prole, radiografia di un divorzio che coinvolge anche tutto ciò che lo circonda. Straordinari Cédric Kahn e Bérénice Bejo, che donano a litigi, ritorsioni ed esplosioni di rabbia quel senso di verità che appartiene soltanto al cinema d'autore più attento e raffinato, che non diventa mai presuntuoso. Assente ogni tipo di retorica moralista e familista, ma anche eccessi di pessimismo: non è altro che il tempo a cambiare geometrie e declinazioni emotive.

8 - Cuori puri - Roberto De Paolis
Ottimo esordio italiano, duro e tenero come il miglior Jacques Audiard. Nella periferia romana, due personaggi quasi agli antipodi si attraggono e si innamorano, ma devono affrontare difficoltà economiche, disagi sociali e il senso di colpa cattolico. Sorprendono istintività, rabbia e romanticismo, all'altezza di un cinema europeo in grado di raccontare il presente senza scorciatoie consolatorie. E attenzione a una delle scene di sesso più autentiche, emozionanti e naturali degli ultimi anni, caratteristiche rare per il nostro cinema cattofustigato.

7 - Victoria - Sebastian Schipper
Il film più riuscito che sia stato realizzato sinora con un unico piano sequenza. Certo, la scrittura non è sempre del tutto credibile ma la mano di Schipper è travolgente e immerge lo spettatore nel trip notturno vissuto da una ragazza spagnola a Berlino che esce da una discoteca techno e si fa coinvolgere da quattro ragazzi in una rapina in banca. Dalle quattro alle sei e venti del mattino succede di tutto: ma è un cinema sperimentale e febbrile che ipnotizza e coinvolge. Straordinaria la protagonista Laia Costa.

6 - Arrival - Denis Villeneuve
La fantascienza più colta, raffinata e profonda del nuovo millennio. Ogni opera di Villeneuve si rivela diversa da quella precedente, capace di apportare stimolanti interrogativi intellettuali agli archetipi dei generi. E quelli che arrivano nel cuore sono gli stessi che riportano a La donna che canta: l'importanza della comunicazione tra specie diverse, e l'amore di una madre che si manifesta attraverso la scelta di vivere. Utilizzando, nello stesso tempo, la forza di un cinema interessato prima di tutto a nutrire gli occhi.

5 - L'altro volto della speranza - Aki Kaurismaki
Stupendo Aki: un altro grandioso tassello di una filmografia dedicata esclusivamente agli ultimi, ai perdenti, ai ribelli e ai dimenticati. Si parla di nuovo di immigrazione e disperato bisogno di integrazione: perché nell'Europa di oggi è necessario. Lo stile è sempre unico, immediatamente riconoscibile, caratterizzato da quell'ironia secca e da quel minimalismo colorato che riesce a non diventare mai maniera. E un paio di sequenze sono da antologia della risata: la partita a poker, la birreria che si reinventa ristorante giapponese per essere alla moda. 

4 - Jackie - Pablo Larrain
Immensa Natalie Portman: non ci sono più aggettivi per questa piccola e meravigliosa donna. Il primo film statunitense di Larrain è il suo capolavoro privato, dove i virtuosismi del regista cileno si attenuano a favore di un intimismo sempre più marcato, interrogandosi su vita e morte, suicidio e dignità. Pablo si incolla a Jacqueline e segue il suo percorso di elaborazione del dolore, che contrasta con il suo ruolo e con le aspettative del popolo americano. E ci mostra un altro memorabile cigno nero.

3 - Vi presento Toni Erdmann - Maren Ade
Può esistere una commedia tedesca di 2 ore e 45 minuti capace di divertire e commuovere, senza mai annoiare? Sì, sempre che si sia disposti a qualche mazzata emotiva per nulla indifferente: il rapporto tra il papà burlone Winfried e la figlia workaholic Ines è di quelli che improvvisamente lacerano l'anima. Perché è un gioco di maschere che rivela l'incomunicabilità affettiva che caratterizza il nostro presente. E perché semina il dubbio che tolti i panni del clown si faccia davvero fatica a rimanere soli.

2 - Manchester By The Sea - Kenneth Lonergan
La forza insopprimibile del dramma famigliare. Amore, lutto, crollo, rinascita e romanzo di formazione: un cinema classico ed eterno, che si regge sull'intensità degli attori (Casey Affleck e Michelle Williams magnifici e struggenti), sulla potenza della narrazione e sullo sguardo di una regia delicata, impeccabile e funzionale al fattore umano. Ed è anche la fotografia di un pezzo d'America che combatte quotidianamente con solitudine e senso di colpa. Il terzo film di Kenneth Lonergan in diciassette anni, dopo Conta su di me e Margaret: a different class.

1 - Personal Shopper - Olivier Assayas
Assayas riflette sull'immaterialità del nostro tempo, sugli schermi, le immagini e i riflessi che rispecchiano il nostro narcisismo social e l'idea di mondo di cui siamo prigionieri: la messaggistica istantanea che si consacra come unico strumento di comunicazione, ed emozione. Il corpo di Kristen Stewart insegue un segno, una reazione proveniente da un Altrove, rivolgendosi sempre verso qualcosa che carnalmente non c'è più. Il film definitivo sulla nuova configurazione del nostro modo di (non) essere. Gli inganni della vita e del cinema alle estreme conseguenze: non esistono, ma siamo convinti che ci siano.



lunedì 5 giugno 2017

Teatro: Buon anno, ragazzi.

Non mi capita spesso di rimanere favorevolmente impressionato da uno spettacolo teatrale, tanto che sulle pagine di questo blog finora non me n'ero occupato. Ma per Buon anno, ragazzi. farò un'eccezione, e magari inaugurerò un nuovo corso che mi porterà a includere anche il teatro tra gli argomenti trattati. Non sono riuscito a rimanere indifferente di fronte al talento di Francesco Brandi, attore e drammaturgo trentacinquenne, che avevo visto al cinema in pellicole come Dieci inverni e Habemus Papam, seppur in ruoli secondari. Ma la faccia, un po' buffa e stralunata, mi era rimasta impressa. Ed è stata una splendida sorpresa scoprire che dietro a questa faccia si nasconde un autore di teatro in grado di radiografare l'umore e la disillusione di una generazione di trentenni con una penna deliziosa, amara e pungente. Brandi interpreta Giacomo, uno scrittore destinato a non affermarsi e già consapevole della sua sconfitta. Tutto attorno a lui è precario e trasmette un senso di instabilità: dal rapporto controverso con il suo migliore amico (Sebastiano Bottari), mai uscito dai "fumi" dell'adolescenza, a quello ancor più complicato con i genitori (Daniela Piperno e Miro Landoni), probabilmente più interessati a loro stessi e più legati all'idea di un figlio ideale piuttosto che attenti alle sue reali necessità e alle sue vere attitudini. Ma ovviamente la relazione più difficile e dolorosa per Giacomo è quella con la ex compagna attrice (la bravissima Camilla Semino Favro, che proprio in queste settimane stiamo ammirando nella serie 1993), nonché madre di una bimba che i due hanno avuto insieme ma che è stata cresciuta senza il supporto materno. Eppure l'amore di Giacomo per la ragazza non si è mai davvero affievolito, nonostante si sia inevitabilmente confuso con l'amarezza dovuta all'abbandono e il risentimento. Sullo sfondo, la notte di un Capodanno sarà il pretesto per far ritrovare tutti i personaggi e costringerli a mostrare i conti con loro stessi, sfidandosi con affetto represso e senza protezioni sul ring della vita e delle emozioni. Non siamo di fronte a un semplice ritratto generazionale, ma a un'opera teatrale rara, capace di incasellare il mood pessimista e non privo di autoironia che appartiene a tutti coloro a cui questo mondo non permette di realizzare in pieno sogni e talenti, e che costringe a non potersi concedere garanzie e certezze. Ed è così che lo spettro della normalità e della mediocrità ingabbia chi insegue il romantico miraggio di una vita artistica e intellettuale. Brandi non si piange addosso, e non oltrepassa mai il limite per cui il proprio personaggio rischi di diventare troppo autoriferito. Il suo è un elogio e, nello stesso tempo, una condanna, quella di un loser che non si compiace e a cui è impossibile non volere bene: si ride tanto, ma senza mai cadere nell'eccesso farsesco.

Emiliano Dal Toso