mercoledì 29 giugno 2011

Libera Uscita (voto 8)

Esclusa l'esperienza di 'Cannes e Dintorni', questo mese ho parlato solo di commedie leggere che flirtano con il demenziale e l'ultima fatica dei fratelli Farrelly rientra sicuramente in questa categoria. Questo è dovuto soprattutto al fatto che il mercato italiano distribuisce i film a seconda delle stagioni e questo genere, insieme all'horror di serie B, è un classico del periodo estivo. 'Libera Uscita' non è un capolavoro ma è il ritorno esplosivo e graffiante dei Farrelly che non firmavano un'opera così riuscita da parecchi anni, probabilmente da 'Io, me e Irene.' La loro comicità ha sempre colpito basso, il politicamente scorretto è sempre stato una loro peculiarità ma nelle ultime prove il loro genio si era affievolito in luogo di un romanticismo più ruffiano ('L'amore in gioco', sbagliato remake dello splendido 'Febbre a 90') oppure di una reiterazione stanca delle loro più tipiche costruzioni comiche (deludentissimo fu 'Lo spaccacuori' con un debole Ben Stiller). Resosi evidentemente conto che gli eterni adolescenti di Judd Apatow e le notti da leoni di Todd Phillips hanno messo la freccia a sinistra per il sorpasso, Bobby e Peter decidono di mettersi sotto e di scrivere una sceneggiatura serrata e coinvolgente caratterizzata da numerosi situazioni divertentissime. Il grande Owen Wilson e Jason Sudeikis (che non conoscevo) sono una coppia assortita di 40enni che ottiene dalle mogli una libera uscita di una settimana per liberare i loro desideri sessuali repressi ma finita la "vacanza" si renderanno conto che la donna che hanno sposato e la famiglia sono le uniche certezze della loro vita. Seppur dediti a trivialità indimenticabili, i Farrelly non sono nuovi all'elogio del nucleo familiare e la morale di molti loro film potrebbe essere amata da Roberto Formigoni e compagnia. Ciò che li rende fantastici è, però, la sapienza dell'utilizzo dei tempi comici, la caratterizzazione umana dei loro protagonisti e il ritmo sempre sostenuto dei loro infallibili incastri demenziali. 'Libera Uscita' ha poi il merito della sequenza forse più importante e geniale della loro carriera, pungente e metacinematografica. Quando Wilson e Sudeikis si lasciano andare a racconti e a battute volgarissime nella villa di un loro amico miliardario ma non sanno che la casa è piena di telecamere, non ho potuto fare a meno di pensare che i due in realtà sono Bobby e Peter con la loro carica irrefrenabile e trasgressiva, guardati con ribrezzo e altezzosità da chi ha troppa paura del ridicolo per lasciarsi andare a risate liberatorie e fragorose. Si può ridere di tutto, insegnano i Farrelly, e 'Libera Uscita' è un nuovo brillante tassello della loro lezione di vita.

giovedì 23 giugno 2011

La Versione Di Barney (voto 7)

Recupero molto tardi rispetto all'uscita nelle sale la trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo di Mordecai Richler ma vale comunque la pena di spendere qualche parola. Innanzitutto, dico subito chiaramente che il romanzo io non l'ho letto e quindi il discorso su quanto il film sia fedele al libro non lo posso fare. Purtroppo, questo giochetto sulla fedeltà è molto pericoloso perchè il giudizio autonomo sul film è sempre irrimediabilmente deviato da quello che il lettore-spettatore avrebbe voluto vedere sullo schermo. Ricordo che rimasi profondamente deluso dalla versione al cinema di 'About A Boy' (uno dei miei romanzi preferiti in assoluto), per quanto fosse di per sè una commedia sentimentale e di formazione certamente ben fatta. A sua volta, 'Chiedi alla polvere' fu molto fedele all'intreccio narrativo del romanzo ma il film era piattissimo e noioso. Meglio, dunque, considerare il film per quello che è cercando di evitare qualsiasi confronto con le pagine. Ad ogni modo, 'La versione di Barney' è un'ottima produzione americana incentrata su un personaggio affascinante, divertente e controverso. Parecchi passaggi del film sono indimenticabili (il secondo matrimonio di Barney, la sua paranoia dopo il tradimento alla terza moglie) e si ride spesso sebbene  molto amaramente. 'La versione di Barney' poteva forse essere diretto con un piglio più spumeggiante e imprevedibile ma la regia di Richard J. Lewis, al debutto dopo gli episodi di CSI, è molto professionale e conservatrice. Paul Giamatti, però, è un interprete straordinario, credibile sia durante la giovinezza che durante la vecchiaia del protagonista e solo lui riesce a dare al film una attitudine sporca e distruttiva che non viene cancellata da un finale eccessivamente melenso. E grande è anche la performance di Dustin Hoffman nei panni del padre di Barney. Quando la classe non è acqua.

mercoledì 15 giugno 2011

Cannes e Dintorni - Parte Seconda: Drive, Polisse, Il ragazzo con la bicicletta

Questa seconda parte della manifestazione mi ha entusiasmato soltanto per un terzo. Infatti, il primo film di cui vorrei parlare è 'Drive' del danese Nicolas Winding Refn (voto 5), vincitore del Premio per la Miglior Regia, e per me è davvero un mistero solo il fatto che il film fosse in concorso. Non che non sia girato in maniera eccelsa ma non riesco a comprendere per quale motivo questo film debba essere considerato più autoriale di una qualsiasi americanata targata Tony Scott (regista che il suo lo sa fare e bene) piuttosto che di 'Fuori in 60 secondi.' Anzi, dirò di più, in quest'ultimo c'era una apprezzabile onestà intellettuale, lo spettatore andava al cinema e sa che andava incontro soltanto a gnocca e a inseguimenti adrenalinici. 'Drive', invece, è infarcito di silenzi e ralenty assolutamente gratuiti appoggiati da una storia inconsistente che è il trionfo degli stereotipi del cinema americano d'azione. Ed è davvero un peccato perchè Refn ha qualche bella intuizione come l'utilizzo di una colonna sonora dance anni 80 molto trascinante ma non gli si può perdonare il fatto di sottoutilizzare un dono celestiale di bravura e bellezza come Carey Mulligan. Se aggiungiamo che il protagonista Ryan Gosling è uno stoccafisso che neanche il nicolascage più monoespressivo, interpreto il premio dato dalla giuria di De Niro solo come un bisogno malinconico di quest'ultimo dei bei tempi gangster che furono. La seconda opera deludente è il Premio della Giuria 'Polisse' della francese Maiwenn (voto 5). L'attrice-regista è tanto una bella donna quanto un'autrice sconclusionata e confusa. Anche in questo film ci sono parecchi spunti interessanti, il tema è senz'altro nobile ma non si ha mai l'impressione di dove si vada esattamente a parare. Raccontare le vite quotidiane dei poliziotti dell'ufficio minorile di Parigi può anche essere il nucleo centrale di un film solo se l'idea è sostenuta da un intreccio narrativo solido e avvincente. 'Polisse', invece, è più un mockumentary con qualche scenetta divertente e qualche altra più forte e drammatica, nel frattempo lo spettatore pensa che un documentario di Current poteva essere un' alternativa più economica per la sua serata. Premiare 'Polisse' in luogo di Almodovar, Sorrentino e Kaurismaki è probabilmente una provocazione che mi lascia davvero tanto perplesso. Passiamo finalmente al Gran Premio Della Giuria nonchè al capolavoro della rassegna, 'Il ragazzo della bicicletta' dei fratelli Dardenne (voto 10). Si tratta della loro opera più grande e definitiva, quella nella quale il loro neorealismo duro ed essenziale è finalmente equilibrato da un tocco magico e struggente. Le pesantezze di 'Rosetta' e 'Il matrimonio di Lorna' sono sostituite da una abilità di racconto che mi ha ricordato Mark Twain e Daniel Pennac. La disperata ricerca di affetto e di un posto nel mondo del piccolo protagonista scalda il cuore, la sua infanzia tradita è un punto di non ritorno che solo in parte potrà essere colmata dalla dolce attenzione e dall'amore della brava "fata turchina" Cecile De France. Corriamo insieme a lui per recuperare la bicicletta appena rubata, pedaliamo e fuggiamo con lui perchè le delusioni e la solitudine sono sempre dietro l'angolo. 'Il ragazzo con la bicicletta' è la mia personale Palma D'Oro ed è fino ad oggi il miglior film dell'anno insieme al cignonero aronofskyano e allo tsunami eastwoodiano. Cinema di emozioni che considera sempre entrambi i lati della medaglia. Somewhere I belong.



Il ragazzo con la bicicletta

venerdì 10 giugno 2011

Cannes e Dintorni - Parte Prima: Les Geants, The Artist, Melancholia

E' stato davvero entusiasmante l'inizio della manifestazione milanese 'Cannes e Dintorni.' Il primo film che ho visto è stato il belga 'Les geants' di Bouli Lanners (voto 9) e, subito, le emozioni si sono fatte forti. E' la storia di tre adolescenti in campagna abbandonati a loro stessi, senza alcuna figura parentale che possa loro fare da guida. E' il classico romanzo di formazione e di crescita, sensibile e agrodolce. Mi ha ricordato moltissimo il vecchio cult 'Stand by me' con una grande differenza rispetto al suo illustre predecessore: in 'Stand by me' il tono era spesso sognante e magico mentre in 'Les geants' le (dis)avventure che affrontano i tre protagonisti sono sempre dettate da uno spirito un po' disperato di sopravvivenza, che riesce a passare sottopelle grazie allo straordinario legame che solo a quell'età può nascere da un rapporto di amicizia e fratellanza. E' un film delicatissimo che nasconde riflessioni piuttosto amare. La seconda opera è stata 'The Artist' di Michael Hazanavicius (voto 9), meravigliosa riflessione sulle innovazioni e sul cambiamento, sul successo e sulla decadenza. Straordinaria è l'interpretazione del protagonista Jean Dujardin, che ha giustamente vinto il Premio di Miglior Attore. Una sfida di un'ora e quaranta muta e girata in bianco e nero che riesce a tenere sempre un ritmo eccezionale grazie a due personaggi meravigliosi e a una storia bella, divertente e geniale. Nell'epoca del 3D, 'The Artist' è puro anticonformismo. Ma è soprattutto un grande omaggio all'eternità del cinema e alla sua forza popolare. Veniamo, infine, all'ultimo film di questa mia prima tornata, ovvero a quello che attendevo maggiormente. 'Melancholia' di Lars Von Trier (voto 8) è tutt'altro rispetto a ciò che mi sarei aspettato, cioè la seconda parte orrorifica di 'Antichrist.' Tematicamente il film riprende alcuni aspetti del precedente ma il controverso regista danese stavolta si contiene con i deliri visionari, limitandoli esclusivamente al comunque splendido incipit. Per il resto, si tratta di un ottimo lavoro di dialoghi e di recitazione. Trascinato da una bellissima e bravissima Kirsten Dunst e da una intensissima Charlotte Gainsbourg, 'Melancholia' prosegue il pensiero di Von Trier sul genere femminile che, come la morte, è l'alterità che non si può comprendere. La fine del mondo viene prima percepita e poi affrontata esclusivamente dalle due protagoniste, mentre gli uomini rimangono inabili e incapaci di fronte al corso degli eventi. Accusato di misoginia, Von Trier constata piuttosto l'inconciliabilità dei due mondi e le loro incolmabili differenze. Una teoria senz'altro discutibile, indubbiamente affascinante. Se solo nelle conferenze stampe Lars Von Trier evitasse sparate che probabilmente non pensa nemmeno, forse sarebbe anche più rispettato dai critici più rigorosi.


venerdì 3 giugno 2011

Zack And Miri Make A Porno (voto 8) IL FILM DEL MESE

Parecchie polemiche per la presenza della parola "porno" si sono scatenate negli Stati Uniti all'uscita dell'ottavo film di Kevin Smith, tanto che per l'uscita home video il titolo è stato ridotto in 'Zack And Miri.' Noi italiani, invece, abbiamo dovuto aspettare addirittura due anni perchè venisse distribuito col terribile 'Zack e Miri - Amore a primo sesso.' Preferisco, dunque, chiamarlo col bellissimo titolo originale anche perchè si tratta decisamente del film più divertente di Kevin Smith e del suo più riuscito dopo l'indimenticabile debutto grunge di 'Clerks.' A dire la verità, 'Zack And Miri Make A Porno' è una vera sfida al politicamente corretto, un'opera infarcita di battute e situazioni dalla volgarità inenarrabile al limite dell'imbarazzante. Ciononostante, è un film demenziale squisitamente costruito e intelligente, sullo stile dei film di Judd Apatow. L'accostamento demenziale a intelligente può sembrare un ossimoro ma la creatività e l'anarchia che hanno spesso caratterizzato il cinema di Smith garantiscono questo frizzante connubio. La trama è semplice. Due vecchi amici che convivono e che si trovano senza soldi decidono di girare un film porno per pagare le bollette. Lui è Seth Rogen e lei è Elizabeth Banks ed entrambi si giurano che l'atto sessuale che li vedrà protagonisti non metterà a repentaglio la loro ventennale amicizia. Ovviamente, le cose non andranno come previsto. Non mi sento di consigliare 'Zack And Miri Make A Porno' a chiunque, di certo non lo consiglierei ai miei genitori o a chi è infastidito dal genere demenziale e da dialoghi piuttosto coloriti. Lo consiglio senz'altro a tutti coloro che hanno voglia di un cinema scorretto e anticonformista. 'Zack And Miri Make A Porno' è liberatorio, oltraggioso ma tutt'altro che superficiale. La riflessione sul confine tra rapporto di amicizia e quello sentimentale non è meno brillante di 'Harry Ti Presento Sally' e l'equilibrio tra delirio e profondità mi ha ricordato 'Suxbad'. Il quid pluris di 'Zack And Miri Make A Porno' è, però, rappresentato da quel fenomeno comico di Seth Rogen. Occhialuti, grassocci, triviali, goffi e teneri, i suoi personaggi sono la miglior manifestazione della generazione nata negli anni 80 che non ha fatto la rivoluzione ma che ha nell'ironia l'arma migliore per affrontare le tragicommedie della vita. Bello e cattivo, ma non per tutti.

mercoledì 1 giugno 2011

Paul (voto 7)

Belli i sogni di giovinezza infranti. "Sono gli adesivi sulle pareti" cantavano i Massimo Volume. Storie di extraterrestri e fantascienza, di nerdismo eternamente adolescente. Dopo lo straordinario spaccato da pub inglese che incontra gli Zombie di Romero di 'Shaun Of The Dead' e il mezzo passo falso di 'Hot Fuzz', la scoppiettante coppia comica di quarantenni perdigiorno Nick Frost&Simon Pegg elabora un altro bell'omaggio al cinema di genere, stavolta lo sci-fi. Vanno in trasferta negli States, abbandonando il loro fedele regista Edgar Wright che aveva fatto luccicare la loro stravagante comicità nelle due opere precedenti e si affidano all'autore di due dei più grandi capolavori degli ultimi anni, ovvero Greg Mottola. 'Suxbad' e 'Adventureland' erano due scintillanti e struggenti parabole sulla fase di passaggio dall'acerbo al maturo, due facce della stessa medaglia che raccontavano, ora con frenetico genio demenziale ora con calda carezza sentimentale, i turbamenti i disagi i maldipancia dei primi sconquassi ormonali e dei primi batticuore emozionali. Lo metto subito in chiaro: 'Paul' è molto ma molto di più un film scritto da Frost&Pegg che un film dal tocco mottoliano. Le storie di formazione stavolta non sono affrontate, rimane solo la sana follia di un Autore che è l'unico vero erede di John Hughes e di John Landis. Le esplosioni comiche, però, sono garantite e il cast è davvero fantastico. Oltre alla ormai assortitissima coppia sopra citata, 'Paul' offre una vasta gamma di comprimari da applausi. Gli improbabili Joe Lo Truglio e Bill Hader, che già avevano dato tanto in 'Suxbad', sono due goffissimi poliziotti mentre il duro Jason Bateman è il loro arrogante superiore. Folle, poi, la comparsata di Sigourney Weaver in un finale del tutto sgangherato, eppure romantico. Frost&Pegg amano il cinema e hanno senz'altro amato la loro giovinezza da nerd, passata tra sbronze, giornaletti porno e fumetti. Stanno passando gli anni ma, grazie al cielo, i loro copioni rimangono possibile oggetto di preoccupanti studi psicologici sulla sindrome di Peter Pan. A differenza del presuntuoso cinema di Rodriguez, i loro inni cinefili sono ironici e autentici. C'è qualcosa di 'Paul', però, che non mi è piaciuto: l'idea di far doppiare il simpatico protagonista alieno a Elio. Non è possibile non immaginarsi Elio in sala di doppiaggio e ciò rischia di oscurare i pregi del film. Nella versione originale, il doppiatore è il monumentale Seth Rogen e, per questo, consiglio la visione di 'Paul' in lingua inglese, magari sottotitolata.