sabato 25 luglio 2015

Chi l'ha visto? Top Ten Inediti 2014-2015

10 - The Humbling - Barry Levinson
Presentato alla Mostra di Venezia dell'anno scorso, è uno dei due film (l'altro è Manglehorn) che segna il ritorno in grande stile di Al Pacino, nei panni di un attore in crisi d'identità e dall'evidente declino psico-fisico che ritrova la passione per la recitazione grazie alla vivace figlia dei suoi vecchi vicini di casa (un'ottima Greta Gerwig). Amaro e sincero il coraggio di Pacino di impersonare un ruolo che lo spettatore potrebbe ricondurre fuori dallo schermo.

9 - Queen and Country - John Boorman
Grandioso coming-of-age anni Cinquanta del Maestro di Senza un attimo di tregua: romantico, commovente. Temi semplici ma eterni, ultimi a morire: amicizia tra uomini, illusioni d'amore, tradimenti, cadute e rinascite. Non è un caso che nei dialoghi tra i protagonisti, scalfiti dapprima da ingenue speranze e tramortiti poi da botte che solo la vita sa rimediare, si citino Kurosawa, Wilder, Hitchcok. A Cannes nel 2014.

8 - Burying the Ex - Joe Dante
Altro vecchio magnifico, Joe Dante omaggia un'umanità strampalata e anticonformista, ossessionata dagli horror di serie B e alla ricerca di una ragazza con la quale condividere la stessa idea di mondo. Burying the ex è uno spassoso divertissement, un ritorno ai film dell'orrore con ironia, con un gusto ludico per i gag demenziali, che ha il raro pregio di sapersi non prendere sul serio e di intrattenere con perspicacia. Visto a Venezia 2014.

7 - La Rançon De La Gloire - Xavier Beauvois
Uno dei migliori titoli in concorso nell'ultima kermesse veneziana, è un tragicomico omaggio a Charlie Chaplin trascinato dalla mattatoriale interpretazione di Benoit Poelvoorde, in grado di cogliere un equilibrio miracoloso tra dramma e ironia, tra durezza di racconto e lievità di sguardo. Al centro: i perdenti e gli esclusi, disposti a tutto pur di raggiungere un pezzetto di dignità sociale e di autosufficienza economica. Il regista è lo stesso dell'ottimo Uomini di Dio.

6 - Good Kill - Andrew Niccol
Scandalosamente massacrato dai critici più snob, per chi scrive è il miglior film di Andrew Niccol. Si potrà discutere sull'ideologia di base, ma si tratta di un thriller bellico tesissimo, palpitante, recitato ottimamente da Ethan Hawke, che trascina gradualmente lo spettatore nella spirale infernale di un pilota di droni in piena crisi di coscienza. L'esempio più compiuto della poetica del regista di Gattaca sull'inevitabilità dell'evoluzione tecnologica e relative contraddizioni.

5 - Le Dernier Coup De Marteau - Alix Delaporte
Piccolo capolavoro della fiorente cinematografia francese, incomprensibilmente non distribuito. "L'ultimo colpo di martello" è la traduzione del titolo e fa riferimento a una scelta compositiva di Mahler nella sua sesta sinfonia: struggente allegoria di un adolescente che sta per perdere la madre ma, tra calcio e musica classica, ha ancora davanti tutta una vita di passioni. Avvicinandosi ai Dardenne, ma superandoli a livello narrativo, il risultato è un groppo in gola delicato ma autentico.

4 - Durak - Yuriy Bykov
Durak, cioè The fool, ovverosia L'Idiota. Insieme a Leviathan di Zvyagintsev, un altro devastante atto d'accusa nei confronti del potere e degli ingranaggi burocratici nella Russia di Putin. In concorso a Locarno, sarebbe davvero cosa buona e giusta distribuirlo, o recuperarlo in qualche rassegna: non solo politica, ma anche una capacità di tenere incollato lo spettatore, come in un thriller d'Oltreoceano. Da applausi il protagonista Artem Bystrov.

3 - For Some Inexplicable Reason - Gàbor Reisz
Vincitore del Premio Speciale della Giuria all'ultimo Torino Film Festival: uno spasso. La vita di un ventinovenne di Budapest, ragazzo istruito e di buone maniere, senza lavoro e senza meta. Sbronzo, prenota un viaggio per Lisbona ma non ricorda di averlo fatto: parte comunque perché, in fondo, non ha un granché da fare. Esaltante descrizione di una generazione colta ma che non ha futuro. Non resta altro che continuare a farsi fare le valigie dalla mamma.

2 - Manglehorn - David Gordon Green
Gordon Green è uno degli autori americani più potenti degli ultimi anni ma in Italia è completamente ignorato. Manglehorn arriva dopo lo strepitoso Prince Avalanche, ed è un altro tassello nel mosaico di un Paese nel quale gli emarginati sono in numero decisamente sovrabbondante: Al Pacino è un fabbro solitario, che non è più in grado di portare avanti relazioni umane. L'altra faccia degli Stati Uniti politicamente corretti di Obama, quelli nei quali la rassegnazione sostituisce la rabbia.

1 - Enemy - Denis Villeneuve
Opera definitiva sul tema del doppio, ispirata al romanzo L'uomo duplicato di Saramago, vincitrice del Courmayeur Noir e vergognosamente dimenticata. Jake Gyllenhaal - in stato di grazia - è un professore di storia che scopre l'esistenza di un attore fisicamente identico a lui. Sogno, paranoia, malattia, disperazione: Denis Villeneuve non concede risposte definitive, lascia dubbi e seduce in un gioco psicologico sempre più torbido e depravato. Stupenda Mélanie Laurent.





martedì 7 luglio 2015

The Irish Side: '71

Paolo Mereghetti scrive che '71 di Yann Demange "porta lo spettatore dentro un conflitto che insanguinò Irlanda e Gran Bretagna per più di un ventennio senza cercare colpevoli o capri espiatori ma, piuttosto, sforzandosi di raccontare la follia di uno scontro dove, fin dalle sue origini, sembrava che tutti combattessero contro tutti." Nella recensione uscita sul Corriere Della Sera dall'ottima penna del Merego, viene riconosciuta una neutralità che personalmente ho fatto fatica a individuare. Per farla breve, due giovani soldati britannici vengono dispersi per le strade di Belfast, durante una missione di appoggio alla polizia dell'Ulster, impegnata in una perquisizione. La situazione precipita e sfocia in una rivolta da parte della popolazione. Un commilitone viene ucciso a bruciapelo, l'altro riesce a fuggire in un quartiere che potrebbe rivelarsi per lui assai ostile, a maggioranza "Nazionalista Cattolico". Il problema è che in Irlanda del Nord non esiste soltanto l'Ira "ufficiale": i pericoli maggiori potrebbero verificarsi a causa della componente più violenta e anarcoide, quella dell'Ira "Provisional", che ha tra i membri proprio quei ribelli armati che lo vorrebbero eliminare per non essere denunciati. Il film racconta, dunque, una caccia all'uomo, che si compie nell'arco di una notte. Da un punto di vista strettamente tecnico-formale, '71 è un ottimo film d'azione e di inseguimenti, detto ancor più volgarmente, "di sparatorie". Alcune sequenze sono efficaci e spettacolari, la tensione è incalzante, e la regia evita eccessi di inverosimiglianza. Ciononostante, il film è tutto fuorché neutrale: da una parte, abbiamo i poveri giovani soldati inglesi mandati allo sbaraglio; dall'altra, ecco i cattolici nord-irlandesi, che sono tutti terroristi violenti, bombaroli spietati. A differenza di quello che scrive Mereghetti, non credo che '71 mostri davvero la follia e l'insensatezza del conflitto; mi sembra, invece, un action movie apertamente schierato, indulgente nei confronti degli uomini che venivano spediti dall'Inghilterra per eliminare i militanti cattolici, e piuttosto impietoso nella descrizione di questi ultimi, folli sanguinari in lotta tra loro stessi. A questo punto, riemerge un quesito, che pensavo di avere risolto: può piacere e convincere davvero un'opera formalmente valida ma portatrice di un punto di vista agli antipodi del nostro? Prima di vedere '71, pensavo di avere già raggiunto una specie di maturità critica per poter giudicare un film a prescindere dalla sua posizione politica o ideologica. Pur riconoscendo alcuni meriti strettamente cinematografici (non stiamo comunque parlando di chissà cosa, sia chiaro), ammetto che questa volta il mio giudizio è radicalmente influenzato.

Emiliano Dal Toso