I registi tradiscono. Wes Anderson ha tradito la propria proposta cinematografica di un universo stilizzato di perdenti caratterizzato dalla malinconia e dall'ironia, scegliendo di costruire un impeccabile prodotto preconfezionato rivolto ad un pubblico che si accontenta del citazionismo, del formalismo ed è ormai incapace di confrontarsi con un cinema che che abbia a che fare con temi e sfumature anche solo vicini alla vita reale. Lo stesso percorso è stato intrapreso da Tim Burton, che è passato in pochi anni dal meraviglioso 'Big Fish' per approdare al riprovevole immaginario di plastica di un film pattumiera come 'Dark Shadows'. Ma, in fondo, il trionfo dell'estetica incapace di andare oltre, di significare qualcosa d'altro, è un po' ciò che accomuna i bidoni recenti che sono stati spacciati come capolavori: da 'Avatar' a Nicolas Winding Refn, da 'La Grande Bellezza' a '12 anni schiavo'. Questo non-sentimento dei tempi è stato perfettamente inquadrato da Harmony Korine in 'Spring Breakers': il regista americano ha avuto il merito di prenderne consapevolezza e di proporre un'opera complessa che si presenta come futile ma che è esattamente l'opposto. Si potrebbe dire che 'Spring Breakers' intraprende la direzione opposta degli Anderson e dei Burton, ex grandi "autori" che sono convenientemente passati dalla sostanza all'inconsistenza. Ma il coraggio di un cinema alternativo in grado di smascherare il vuoto pneumatico della fotografia e delle belle immagini fini a se stesse non è rimasto isolato. Lars von Trier con 'Nymphomaniac' ha creato un evento mediatico, utilizzando la principale arma commerciale che unisce i popoli di tutto il mondo: il sesso. Quello che ne è venuto fuori è, però, il film più doloroso, audace, denso di sfumature, di immagini vive, pulsanti, autentiche degli anni Duemila. Certo, mettersi in relazione con il succo del discorso di 'Nymphomaniac' potrebbe non essere il desiderio di chi va al cinema per distrarsi e rilassarsi. A loro lasciamo volentieri 'Grand Budapest Hotel'. Allo stesso modo, mi tengo strette le scopate liberatorie di 'La Vita Di Adele' e non l'hipsterismo piagnucolone di 'Her', mi tengo stretto la parabola grottesca e distruttiva di 'The Wolf Of Wall Street' e non le lezioncine da sussidiario delle elementari di 'Lincoln'. Più vado avanti e guardo film, più mi rendo conto che dietro a tutto ciò che appare provocatorio c'è molta più sensibilità: dietro a 'Nymphomaniac' e a 'La Vita Di Adele' ci sono due commoventi storie d'amore, dietro a 'The Wolf Of Wall Street' e a 'Spring Breakers' ci sono le cause e gli effetti del delirio collettivo della contemporaneità. Ma non mi illudo: so che per chi whatsappa agli amici le foto corrette su Instagram o per chi tiene ad aggiornare il proprio stato sentimentale su Facebook questo possa essere difficile da capire.
Emiliano Dal Toso
Emiliano Dal Toso