martedì 28 ottobre 2014

Pagellino Ottobre 2014

Boyhood - Richard Linklater 9: un indimenticabile coming-of-age che prende di petto il desiderio di identificazione dello spettatore, ponendo l'interrogativo se il Cinema possa essere uno specchio fedele dell'esistenza, oppure se le necessità di sintesi narrativa debbano forzatamente prendere il sopravvento. Il risultato è un nuovo miracolo cinematografico, affidato all'Ignoto, alla Storia che deve ancora essere scritta, che lascia spazio all'emozione: le giornate dei piccoli protagonisti trascorse insieme al padre giocando a bowling, andando alle partite di baseball o togliendo i cartelloni elettorali di McCain possiedono il dono magico dell'autenticità, e della lacrima.

Il Regno D'Inverno - Nuri Bilge Ceylan 8: un'opera colta e generosa, che attraverso i tempi morti della Vita ne evoca l'amarezza, la vacuità, l'inevitabile rancore di chi non è stato in grado di indirizzarla sui binari del proprio modo d'essere, delle proprie esigenze e delle proprie passioni. Un film non semplice, senz'altro faticoso, ma che innalza Nuri Bilge Ceylan a un punto di riferimento del cinema turco non più manierista ma intellettuale, non più elitario ma elevato.

Sin City - Una Donna Per Cui Uccidere - Robert Rodriguez 7: scritto decisamente meglio del capitolo precedente, più folle e anarchico ma altrettanto seducente, grazie a una Eva Green in versione femme fatale da mozzare il fiato. Si tratta, in fondo, di un semplice omaggio al genere noir, cruento ma breve nella durata, con un paio di sequenze di indubbia spettacolarità e di onestissimo divertimento. Si fanno notare anche la sempre bella Jessica Alba e il sempre bravo Joseph Gordon-Levitt.

Joe - David Gordon Green 7: Gordon Green è un regista che necessita di essere scoperto anche in Italia, perchè il suo Cinema è un esempio raro di racconti di uomini perdenti ed emarginati nelle profondità di una America che non concede più seconde possibilità. Joe è meno sagace del precedente Prince Avalanche (un capolavoro) ma è comunque l'occasione per ammirare un racconto di formazione duro ed emozionante, insieme a un Nicolas Cage in una delle sue migliori interpretazioni.

The Judge - David Dobkin 6: drammone famigliare e giudiziario, a metà strada tra un legal movie di Raidue e I segreti di Osage County. Però si fa guardare, perchè la confezione è professionale e gli interpreti sono eccellenti. Sarebbe stata necessaria una sceneggiatura più adeguata e meno elementare per essere uno di quei titoli che piacciono davvero tanto agli americani, su cui puntare a occhi chiusi tra i papabili candidati per la notte degli Oscar.

Guardiani Della Galassia - James Gunn 5: un inspiegabile entusiasmo da parte della critica sta accompagnando il lancio promozionale di questo normalissimo Marvel movie, forse anche un po' più idiota del solito. Il trionfo della solita ironia postmoderna ipercitazionista, uno spettacolone pop che fa simpatia grazie a un paio di personaggi ma che non emoziona mai. Comunque, lontano anni luci dalle turbe giovanili di un Peter Parker o dal cupo esistenzialismo di un Bruce Wayne.

The Equalizer - Antoine Fuqua 5: Denzel Washington che fa fuori i cattivi. Non ci sarebbe molto altro da aggiungere, perchè la trama è all'acqua di rose, non dà nessun tipo di spiegazioni al di fuori di sparatorie e di trucide uccisioni. Un prodotto ignorante, senza pretese, tutto sommato onesto, anche se fa tristezza ricordare gli anni migliori del grande Denzel e dover annoverare che il regista sia lo stesso di Training Day.

Tutto Può Cambiare - John Carney 4: una insipida descrizione di un rapporto d'amicizia tra un uomo e una donna, che usa come pretesto lo sfondo musicale indie-folk e una New York non convenzionale. Si salvano le canzoni ma la sceneggiatura fa davvero pietà: dialoghi imbarazzanti, un'evoluzione nella caratterizzazione dei personaggi che non arriva mai. Un film retorico e fasullo, malgrado la presenza della sempre divina Keira.

I Due Volti Di Gennaio - Hossein Amini 4: uno dei titoli più mediocri dell'anno. I primi venti minuti sembrano possedere un certo piglio, poi la spy story si fa un patinato e noiosissimo triangolo amoroso del tutto improbabile nello svolgimento e nelle psicologie dei personaggi. La solita ambientazione cartolinesca del Mediterraneo non fa altro che aggravare la modestia, l'inutilità dell'operazione.




martedì 21 ottobre 2014

Il Regno D'Inverno - Winter Sleep

Pensavo di annoiarmi terribilmente, dato che il precedente 'C'era una volta in Anatolia' è stata una delle visioni più inaccessibili della mia esperienza di appassionato di cinema. Dopo la vittoria al Festival di Cannes, mi ero promesso che la Palma D'Oro di quest'anno l'avrei evitata: la presenza di Jane Campion come Presidente di Giuria non ha fatto altro che rafforzare in me il pregiudizio nei confronti dell'ultima fatica di Nuri Bilge Ceylan, regista turco, allergico al cinema americano ("i film hollywoodiani ci hanno abituato a risposte diventare ormai come pillole ansiolitiche per lo spettatore"), amante della lentezza, del teatro, dei silenzi, di tutto ciò che non si troverebbe mai in un film di Michael Mann. Eppure, nonostante il pregiudizio si fosse consolidato più che mai, non posso negare di essere stato dapprima sedotto, per poi trovarmi completamente immerso nella pesantezza, nei dialoghi fluviali, nelle tirate esistenzialiste di 'Il Regno D'Inverno - Winter Sleep'. Sono innumerevoli i riferimenti letterari a cui si rivolge Ceylan: Cechov, Dostoevskij, Shakespeare, Voltaire, Camus. Ciononostante, non ho mai avuto l'impressione di trovarmi di fronte a un lavoro intellettualistico, ripiegato su se stesso, all'insegna dell'autoreferenzialità più sprezzante nei confronti dello spettatore. Tutt'altro. La sensazione che ho avuto dopo le tre ore e un quarto di minutaggio è stata quella di aver assistito a un'opera colta e generosa, che attraverso i tempi morti della Vita, ne evoca l'amarezza, la vacuità, l'inevitabile rancore di chi non è stato in grado di indirizzarla sui binari del proprio modo d'essere, delle proprie esigenze e delle proprie passioni. Il film è ambientato in uno sperduto villaggio in mezzo all'Anatolia, fuori da tutto, dal Mondo, dai mezzi di comunicazione, dai social network: un non-luogo nel quale domina incontrastato il vuoto pneumatico dell'esistenza. Non è un caso che tutti i personaggi si rimproverino qualcosa, siano invasi dai rimpianti e nessuno sia in grado di tendere la mano a chi si trovi nelle medesime difficoltà: non è sufficiente neppure la condivisione della solitudine per sentirsi vivi. Quello che sembra essere l'unico strumento per non farsi seppellire dal freddo glaciale delle relazioni umane è l'alcool, che riscalda e scatena reazioni magari non troppo eleganti ma perlomeno non sopite dall'immobilità e dal gelo. Si dialoga tanto, forse troppo, a volte effettivamente ci si annoia: ma è una noia che coccola, dovuta alla consapevolezza che questa volta Nuri Bilge Ceylan ha individuato il fulcro dei suoi demoni, il punto sensibile, che giustifica il ritmo faticoso del suo Cinema e che lo innalza a punto di riferimento non più manierista ma intellettuale, non più elitario ma elevato.

Emiliano Dal Toso