venerdì 24 gennaio 2020

Il Pagellone: Oscar 2020

1917 - Sam Mendes 5
Spettacolarizzazione di un conflitto bellico, senza profondità e rinunciando a ogni possibilità di credibilità e realismo. Il filmpianosequenza è ormai un genere a sé ma anche in questo caso il manierismo schiaccia i contenuti. Mendes delude sotto il profilo narrativo e umano: un videogioco che stordisce ma è incapace di penetrare nelle pieghe della Storia, interessandosi soltanto agli aspetti sensoriali ma tradendo così la funzione morale che dovrebbe appartenere al miglior cinema di guerra.

C'era una volta a Hollywood - Quentin Tarantino 10
Sinuoso, sontuoso e malinconico affresco sulla fine di un'epoca, sull'amicizia fraterna di due perdenti che si muovono in un mondo all'apparenza eccitante e dorato. La forza dei sogni a occhi aperti è quella di poter riscrivere il corso degli eventi. E così, in maniera mai così sincera e fragile, Quentin mette da parte i botti e i fuochi d'artificio per cullare e coccolare lo spettatore nella magnificenza dei dettagli, nell'ammirazione della bellezza di Sharon Tate, nell'amore sconfinato per la Settima Arte.

The Irishman - Martin Scorsese 7
La fine delle cose, il senso di decadimento e morte pervadono una riflessione di tre ore e mezza sulla mitologia gangster e sull'impossibilità di rinnovarla. Le grandi sequenze non mancano, ma il risultato è incerto tra la sintesi cinematografica e la narrazione seriale. Un'opera senile, coraggiosamente fuori dai canoni consueti di Hollywood. Ciononostante, la ripetitività dei dialoghi e il ritmo prolisso sono lacune che si possono rimproverare, talvolta, anche a un maestro del cinema americano.

Jojo Rabbit - Taika Waititi 8

Senza replicare un'ennesima lezione di Storia in maniera prevedibile e conservatrice, Waititi firma una pellicola originale e stravagante, in equilibrio tra la drammaticità del contesto e un gioioso cazzeggio che non appare mai fuori luogo, ma risulta una chiave di lettura originale e alternativa per fuggire agli orrori dell'esistenza. E i primi venti minuti meritano i paragoni con la sana demenzialità di Mel Brooks e l'ironia stilizzata del miglior Wes Anderson. Forse didattico, senz'altro efficace.

Joker - Todd Phillips 10
La performance estrema e perversa di Joaquin Phoenix incarna un'insanità mentale che oltrepassa i limiti della comprensione psicoanalitica. Ma il suo Arthur Fleck è anche l'emblema dell'individuo calpestato e ignorato dalla società americana di oggi, il reietto che diventa suo malgrado il simbolo di un odio di classe che non ha coordinate né modelli di riferimento. Il capolavoro pop che uccide i padri e i cinecomix, ripartendo dalle umiliazioni della strada e registrando un sentimento confuso che è alla radice dei mostri del populismo dei giorni nostri.

Le Mans '66 - La grande sfida - James Mangold 8
Industria contro individuo, economia contro sport, pubblicità contro competizione. Un'impostazione classica e solida, che riprende gli schemi più tradizionali del cinema americano. Ma dietro a cui si nasconde il conflitto secolare tra gli ingranaggi e gli interessi di una produzione commerciale e il romanticismo dell'impresa, del racconto mitico, la passione della corsa e il miraggio della vittoria. Mangold non è un autore, ma un fabbricatore di sentimenti.

Parasite - Bong Joon-ho 6
Osannata Palma d'oro all'ultimo Festival di Cannes, capace di mettere d'accordo sia la critica più militante che gli appassionati di generi. La disamina dei graduali passaggi psicologici in grado di ribaltare le gerarchie politiche e sociali è lucidissima, ma la confezione è talmente impeccabile da sembrare artefatta, calcolata ed eccessivamente gelida e distante. E così il discorso politico appare più un pretesto al servizio di una messinscena accademica e compiaciuta.

Piccole donne - Greta Gerwig 7
Adattamento personale, emozionante ed emozionato del libro di Louise May Alcott. La Gerwig non nasconde di rispecchiarsi nella protagonista Jo, interpretata dalla sua adorata Saoirse Ronan. Ma il personaggio più sfaccettato, complicato e irresistibile è Amy, illuminata dalle sfumature della bravissima Florence Pugh. Una visione gradevole, senza particolari guizzi di regia, che rende onore a un romanzo che attraversa i cuori di tante generazioni.

Storia di un matrimonio - Noah Baumbach 7
Straordinaria Scarlett Johansson, che meriterebbe di vincere la statuetta per miglior attrice protagonista. Il racconto dei singoli momenti, dei dettagli e delle piccolezze che caratterizzano la fine di una relazione sentimentale è struggente. Ma il film non è privo di difetti: il ritratto degli avvocati è goffo e caricaturale e, come in altri lavori precedenti di Baumbach, i protagonisti vivono in un'America elitaria, incapace di parlare oltre alla confessione autoreferenziale.