venerdì 30 dicembre 2016

Riflessioni Spiazzanti: Guilty Pleasures

Senza guilty pleasures il cinema sarebbe meno interessante. I giudizi sarebbero ancora più uniformi di quanto lo siano oggi, arrivando a istituzionalizzare il pensiero unico, ovverosia la fine del dialogo, del confronto, ma anche del litigio e dell'indignazione, espressioni sempre più in via di estinzione di un'umanità autentica e indipendente. Da quando seguo il cinema non mi sono mai vergognato di amare un film, seppur sbertucciato dalla critica; nello stesso modo, non nascondo eventuali perplessità di fronte a un'opera acclamata e celebrata dalla maggioranza. Ma vado oltre: la vita senza guilty pleasures sarebbe molto più piatta. E le ragioni per cui ci si trova a difendere o a innamorarsi di un film di media fattura sono molto più personali rispetto a quelle per cui apprezziamo qualcosa che è diffusamente riconosciuta di alto valore artistico. Una delle mie pellicole del cuore degli ultimi anni è Questione di tempo di Richard Curtis, per la facilità con cui mi sono identificato nel protagonista interpretato da Domhnall Gleeson, un ventunenne che scopre dal padre che i membri maschi della loro famiglia possono viaggiare indietro nel tempo e rimediare alle occasioni perse. Non è possibile modificare il corso degli eventi nella vita reale, ma si può comunque cercare di rimediare agli errori commessi. Eppure, la grandezza del cinema è un'altra: quella di farti emozionare per storie che sono molto lontane dalla nostra vita di tutti i giorni. L'ho pensato dopo aver visto Dopo l'amore di Joachim Lafosse, che sarà dal 19 gennaio nei cinema ed è già uno dei miei film preferiti del 2017: è il racconto di un divorzio e delle emozioni che attraversa una coppia di genitori dopo che è finito l'amore, entrambi costretti a una convivenza seppur temporanea. Non ho mai convissuto, non ho figli e non ho mai vissuto una storia d'amore così importante come quella dei due protagonisti: ciononostante, mi sono commosso per una vicenda che non mi appartiene ma di cui ho percepito una sensibilità comune. Però penso anche a tanti finali di film di Woody Allen, come Hannah e le sue sorelle oppure Basta che funzioni, dove il trascorrere del Tempo ricuce le ferite emotive dei protagonisti, e le incomprensioni e le sofferenze appartengono magicamente a un luogo passato, per cui si può perdonare e di cui si può sorridere. Probabilmente ho un po' di confusione in testa. Volevo dedicare queste riflessioni spiazzanti a un elogio dei guilty pleasures, ma sono finito a parlare d'altro. Forse perché etichette e definizioni non hanno alcun senso.

Emiliano Dal Toso


venerdì 23 dicembre 2016

Playlist: Top 10 Serie 2016

10 - Black Mirror 3 - Charlie Brooker
Terza stagione per il più inquietante specchio dei nostri tempi, non proprio un'analisi dei rischi dell'avanzamento tecnologico quanto più del vuoto pneumatico mentale, emotivo e sentimentale che caratterizza l'individuo contemporaneo, privo di contatto fisico, carnale e materiale con ciò che lo circonda. Va detto però che questa volta non tutti gli episodi lasciano il segno: lo fa senz'altro una raggelante Bryce Dallas Howard nel primo, devastante Nosedive. Su Netflix.

9 - Billions - Brian Koppelman, David Levien, Andrew Ross Sorkin
Il bene e il male si inseguono e si confondono, i lati oscuri emergono gradualmente e senza soluzione di continuità. Sullo sfondo, una New York di piani alti e di guerre tra la magistratura e uomini ricchi e potenti: Paul Giamatti è l'uomo di diritto, secondo cui la legge deve sempre avere la precedenza sull'aspetto umano e privato, ma è sessualmente perverso; Damian Lewis è l'amato miliardario su cui si cela lo spettro di frode per insider trading. Avvincente e giuridicamente precisa. Su Sky Atlantic.

8 - Marseille - Florent Siri
Colpi bassi e vendette nella corsa per la poltrona a sindaco di Marsiglia tra Gérard Depardieu e Benoit Magimel, prima alleati e poi avversari più interessati ad affossarsi che a vincere. Un crime politico serrato e incalzante, tragico e shakespeariano, che descrive una Francia spaccata in due e particolarmente spaesata, governata da una classe politica corrotta e avvelenata. Sesso, droga, violenza, Islam: un calderone fin troppo pieno ma senz'altro godibile. Su Netflix.

7 - Easy - Joe Swanberg
Il manifesto del mumblecore, dialoghi un po' improvvisati, recitazione naturalistica e pochissime location. Ogni episodio è una storia a sé, dove si analizzano le diverse sfumature di amore nelle coppie moderne, tra Tinder e veganismo. Sembra che non succeda praticamente nulla, ma l'attenzione alle banalità del quotidiano è una qualità rara e da proteggere. Un modo nuovo, non perfetto, di fare commedia e riflettere sulle nostre nevrosi. Su Netflix.

6 - Flaked - Will Arnett
Una comedy dalle sfumature drammatiche scritta su di sé da Will Arnett, simpatico cialtrone ex alcolizzato che cerca di avere una seconda possibilità dalla vita elargendo consigli per Venice Beach a individui in difficoltà esistenziale. Si ride, si sogna la California e si riflette sui percorsi tortuosi e ingannevoli dei rapporti d'amicizia. E, senza accorgersene, si finisce per voler bene a tutti i personaggi. Su Netflix.

5 - The Young Pope - Paolo Sorrentino
La serie più attesa non delude le aspettative. Per metà. Perché i primi due folgoranti episodi non trovano conferma in quelli successivi e perché Sorrentino non è sempre a suo agio con i ritmi narrativi di showrunner. Ma alcuni momenti sono degni del suo miglior cinema: il duetto tra Papa Jude Law e Stefano Accorsi/Matteo Renzi è da antologia e la fine del cardinale Dussolier è acida e beffarda come lo erano i suoi primi film. Su Sky Atlantic.

4 - Bloodline 2 - Glenn Kessler, Todd A. Kessler, Daniel Zelman
Un grande, dolente, romanzo americano, dai tempi più dilatati rispetto a molte serie, interessato soprattutto alle psicologie dei personaggi, ai loro demoni interiori. Sangue inteso come legame famigliare, ma anche come inevitabile conseguenza del Fato: rimorsi, rancori, sensi di colpa che arricchiscono ogni episodio di una tensione costante, destinata a esplodere. Sullo sfondo, il paradiso perduto delle Florida Keys. Cast meraviglioso (Kyle Chandler, Ben Mendelsohn, Linda Cardellini, Andrea Riseborough). Su Netflix.

3 - Love - Judd Apatow
Tenera, credibile analisi di una costruzione di un amore goffo e improbabile nell'era digitale. La bella Gillian Jacobs è una tipica trentenne di oggi, sfrontata e grezza, mentre Paul Rust uno sfigato vecchio stampo, sensibile e imbranato, che finisce per essere cool, come tutti gli eroi della commedia di Judd Apatow, nella loro versione più romantica possibile: sono sempre le incomprensioni e le piccolezze a rendere le cose preziose. Su Netflix.

2 - Stranger Things - The Duffer Brothers
Chi è allergico all'universo degli anni Ottanta ne stia lontano: è la serie con il maggior numero di rimandi, citazioni e omaggi che sia mai stata realizzata. Da I Goonies a Stand By Me, War Games, Twin Peaks e persino Under the Skin: frullateli e otterrete Stranger Things. Ma dopo il sospetto di programmaticità dei primi episodi, l'emozione e la commozione prendono il largo: in fondo, è un altro struggente romanzo di formazione, che si focalizza sul momento in cui amore e morte entrano con prepotenza nelle nostre vite. Su Netflix.

1 - The Night Of - Richard Price, Steven Zaillian
Come le due stagioni di True Detective, come la prima di Narcos, è più corretto considerarlo un vero e proprio film di nove ore piuttosto che una serie. Ed è folgorante: il pilot è uno shock, l'incubo di chiunque dopo una notte da leoni è terrorizzato dall'idea di trovarsi dietro le sbarre di un carcere. Legal-prison-drama senza tregua, e dietro la ricostruzione del delitto c'è l'affresco dell'America di oggi, dura e multiculturale. John Turturro azzecca probabilmente il miglior ruolo della carriera: tra il derelitto e il geniale, l'avvocato Stone è il personaggio dell'anno. Su Sky Atlantic.

LE SERIE DELL'ANNO DE 'IL BELLO, IL BRUTTO E IL CATTIVO'

2011 - The Bridge - Hans Rosenfeldt
2012 - Black Mirror - Charlie Brooker
2013 - Black Mirror 2 - Charlie Brooker
2014 - True Detective - Nic Pizzolatto
2015 - True Detective 2 - Nic Pizzolatto
2016 - The Night Of - Richard Price, Steven Zaillian



sabato 10 dicembre 2016

I Film del 2016 degli Amici e Lettori

Nonostante i critici più stagionati lo abbiano sprovvedutamente definito un "comizio anacronistico" - non c'è invece un'opera più necessaria e attuale in questo 2016 - l'ultimo Ken Loach Io, Daniel Blake, vincitore della Palma d'oro al Festival di Cannes, è risultato essere il film più votato dagli amici e lettori del nostro blog. Bisogna dare atto che quest'anno è mancato uno schiacciasassi come è avvenuto l'anno scorso con Youth di Sorrentino. Loach ha prevalso con 6 segnalazioni, incalzato dalle 5 di Animali notturni e dalle 4 di Captain Fantastic e della sorpresa Veloce come il vento. Le delusioni? Soltanto 2 segnalazioni per il Tarantino di The Hateful Eight, 1 per il vincitore del premio Oscar Il caso Spotlight, nessuna per Revenant.

Alice Zentilomo
Aquarius
Neruda
Questi giorni

Alvise Wollner
Neruda
Io, Daniel Blake
Captain Fantastic

Angelica Gallo
Animali notturni
La mia vita da Zucchina
E' solo la fine del mondo

Angela Parolin
Io, Daniel Blake
Brooklyn
Animali fantastici e dove trovarli

Antonio Savino
La grande scommessa
The Hateful Eight
Snowden

Arianna Montanari
Mapplethorpe
Lo chiamavano Jeeg Robot
La pazza gioia

Damiano Panattoni
Brooklyn
Animali notturni
Veloce come il vento

Davide Giordano
Sing Street
Captain Fantastic
Hell or High Water

Fabio Beninati
Café Society
The End of the Tour
Neruda

Francesco Lamagna
Quo vado?
Babbo bastardo 2
Il caso Spotlight


Giovanni Dal Toso
The Neon Demon
Julieta
The Hateful Eight

Juxhin Myzyri
Sing Street
The Neon Demon
Mississippi Grind

Linda Pola
The End of the Tour
No Filter
La pazza gioia

Lorenzo Gramatica
It Follows
Animali notturni
Love

Manuela Santacatterina
Paterson
The End of the Tour
Captain Fantastic

Marco Dal Toso
Io, Daniel Blake
Café Society
Veloce come il vento

Marco Solè
Animali notturni
It Follows
Tutti vogliono qualcosa

Maria Laura Ramello
Captain Fantastic
E' solo la fine del mondo
Io, Daniel Blake

Marzia Carrera
Julieta
Fai bei sogni
Il condominio dei cuori infranti

Massimiliano Gavinelli
Io, Daniel Blake
Frantz
Veloce come il vento

Mattia De Gasperis
It Follows
Animali notturni
La grande scommessa

Mattia Palma
Ti guardo
La pazza gioia
Tutti vogliono qualcosa

Melis Rossi
Steve Jobs
Café Society
Fai bei sogni

Paolo Quaglia
Sully
My Way: The Rise and Fall of Silvio Berlusconi
Quo vado?

Simone Carella
Io, Daniel Blake
Frantz
Fai bei sogni

Umberto Villa
Veloce come il vento
L'ultima parola
Perfetti sconosciuti


6 Io, Daniel Blake
5 Animali notturni
4 Captain Fantastic, Veloce come il vento
3 Café Society, The End of the Tour, Fai bei sogni, It Follows, Neruda, La pazza gioia
2 Brooklyn, E' solo la fine del mondo, Frantz, La grande scommessa, Julieta, The Hateful Eight, The Neon Demon, Quo vado?, Sing Street, Tutti vogliono qualcosa
1 Aquarius, Questi giorni, La mia vita da Zucchina, Hell or High Water, Mississippi Grind, No Filter, Love, Paterson, Ti guardo, Steve Jobs, Sully, My Way: The Rise and Fall of Silvio Berlusconi, L'ultima parola, Perfetti sconosciuti, Snowden, Il condominio dei cuori infranti, Mapplethorpe, Lo chiamavano Jeeg Robot, Animali fantastici e dove trovarli, Babbo bastardo 2, Il caso Spotlight


I FILM DELL'ANNO DEGLI AMICI E LETTORI

2011 - Melancholia - Lars von Trier
2012 - Moonrise Kingdom - Wes Anderson
2013 - Django Unchained - Quentin Tarantino
2014 - The Wolf of Wall Street - Martin Scorsese
2015 - Youth - Paolo Sorrentino
2016 - Io, Daniel Blake - Ken Loach




venerdì 9 dicembre 2016

Top 20: La Superclassifica del 2016

20 - The Neon Demon - Nicolas Winding Refn
Il manierismo di NWR trova finalmente una sua ragion d'essere: questa volta il modello di riferimento è il Dario Argento di Suspiria, il ponte ideale per ritrarre un universo della moda abitato da corpi vuoti che camminano. Una forma che s'identifica perfettamente con il suo contenuto: come Spring Breakers è un film sulla consistenza della superficie, come Maps To The Stars sulla correlazione tra morte ed establishment. Visivamente, un pugno nello stomaco.

19 - Mississippi Grind - Ryan Fleck, Anna Boden
Ben Mendelsohn (un'altra prova enorme, dopo la serie Netflix Bloodline) e Ryan Reynolds (sorprendente, la sua miglior interpretazione) sono due scommettitori incalliti on the road che costeggiano il Mississippi, dove le autostrade sembrano non finire mai e le insegne indicano soltanto motel, taverne, bordelli o bingo e slot machines. E i registi Fleck e Boden, riflettendo sull'imprevedibilità del fato, inneggiano a quel briciolo di solidarietà umana che ci tiene in piedi.

18 - 1981: Indagine a New York - J.C. Chandor
Fino a che punto possono coesistere la rettitudine e un mondo sempre più orientato verso il mito dell'affermazione economica e la violenza? Un magnifico Oscar Isaac è il self-made man che non rinuncia al confronto e alla razionalità, e che ribadisce l'onestà come la base fondamentale del proprio successo. Attorno a sé, le regole della sopraffazione, della competizione e del sangue hanno preso il sopravvento.

17 - Sing Street - John Carney
Dublino, anni Ottanta e amori adolescenziali: un teen movie semplicemente perfetto, tra canzoni dei Cure e dei Duran Duran, pensando a The Commitments e al desiderio di fuggire verso quella Londra dove tutto è possibile. Tante gag infallibili sui tentennamenti degli anni più folgoranti, quelli dove si fanno le scoperte più importanti: il rock, la scelta di non omologarsi, il complicato universo femminile. E come in School of Rock si manda a fare in culo il potente.

16 - Microbo & Gasolina - Michel Gondry
Gondry continua a osservare la meccanica delle emozioni con una creatività che non appartiene a nessun altro cineasta del nuovo millennio. Questa volta si sofferma su un romanzo di formazione, un road movie adolescenziale agrodolce e magico che evita ricatti emotivi e sentimentalismi. E, con ironia e affetto, definisce l'amicizia come un incontro tra solitudini e anticonformismi per affrontare gli ostacoli della crescita e del tempo.

15 - Questi giorni - Giuseppe Piccioni
Una somma di piccole cose, un insieme di frammenti emotivi e incidenti che caratterizzano la vita di quattro ragazze autentiche, piene di sfumature. Snobbato e sottovalutato a Venezia 73, ma è il più bel film di Giuseppe Piccioni: nessun pericolo di giovanilismo e femminismo, nonostante si sfiorino tanti temi a rischio. Una sensibilità rara e preziosa: carinerie e macchiette sono lasciati al cinema italiano modaiolo che piace alla gente che piace.

14 - Mistress America - Noah Baumbach
Dopo Frances Ha e Giovani si diventa, Baumbach prosegue il ritratto di personaggi femminili sfaccettati e contemporanei, che si affannano goffamente per essere al passo coi tempi e che faticano a rinunciare ai propri obiettivi. Le donne del regista newyorchese - bellissime Greta Gerwig e Lola Kirke - sono come le sorelle di Hannah di Woody Allen: romantiche e imperfette, confuse e felici, ma nell'epoca dei social network.

13 - Batman v Superman: Dawn of Justice - Zack Snyder
Lo onorano nell'unico modo che sanno fare: come soldato. L'unico cinecomix dell'anno veramente politico, un kolossal capace di raccontare lo spirito del tempo attraverso un universo cupo e soffocante. Due supereroi sull'orlo di una crisi di nervi, che si fanno guerra tra di loro, disorientati e impotenti di fronte al Male. Cadendo sul campo di battaglia, i nostri miti si trovano costretti a celebrare il funerale di Dio.

12 - Animali notturni - Tom Ford
Un'opera viscerale sulla vendetta, sul ruolo dell'arte, e sulla potenza delle parole e della scrittura, dove Tom Ford si diverte con momenti di puro cinema, citando di tutto e di più, da Lynch a Sorrentino, da Tarantino a Hitchcock. Dalla Los Angeles più vacua e patinata al Texas più desolato e violento, un viaggio negli inferi dell'anima: lo sceriffo di Michael Shannon ruba però la scena a un sofferto Jake Gyllenhaal e a una stronza Amy Adams.

11 - Café Society - Woody Allen
Woody al suo meglio, dopo il brutto Irrational Man si abbandona alla Hollywood degli anni Trenta, ai primi amori, al passato che torna a bussare ma che non può essere recuperato. E all'accettazione di essere diventati come non avremmo mai voluto. L'alter-ego ora è Jesse Eisenberg, meravigliosamente ebreo, mentre la sua Annie è Kristen Stewart, sempre più brava e raggiante: come in Sils Maria, è un fantasma di cui non si può fare a meno.

10 - Fai bei sogni - Marco Bellocchio
Dopo Sangue del mio sangue, un altro film definitivo di Marco Bellocchio, altrettanto onirico ma in versione pop: dentro c'è tutto. Famiglia, religione, senso di colpa, salti nel vuoto. La sensazione è che il regista di Bobbio abbia una libertà artistica che nessun altro in Italia desidera, e rimodellando il libro di Gramellini realizza un capolavoro personale e dolente. Senza pazza gioia e senza perfetti sconosciuti, tra Belfagor e Superga, perché vivere aiuta a non morire (come in Frantz).

9 - Tutti vogliono qualcosa - Richard Linklater
Un college movie apparentemente innocuo, spigliato, divertente, un po' più intelligente della media. Fino al finale, quando Linklater lascia i puntini di sospensione, non chiude, e fa cominciare un altro film, fuori campo, quello del risveglio dopo il sogno. E così, retroattivamente, ci si accorge delle precisa capacità di un cineasta unico che racconta i dettagli della crescita e incasella i momenti di passaggio della vita con trasparente commozione. Frontiers are where you find them.

8 - It Follows - David Robert Mitchell
Senza esagerare, il miglior horror del nuovo millennio. Costruito sulla paranoia, sulle allucinazioni, sul senso di colpa connaturato all'inevitabilità della crescita, dell'attrazione fisica, delle prime esperienze sessuali. Mitchell si focalizza su uno stato d'animo generazionale e incornicia un mood soffocante e plumbeo, puntellato da una fotografia elettrica e notturna e dall'ambientazione di una provincia americana sempre più fuori dal mondo. Che cosa (non) significa avere vent'anni.

7 - Julieta - Pedro Almodovar
Dopo tre film anomali e poco riusciti, Pedro rispolvera il suo cinema di pura passione: non con un almodrama, ma con un drama seco. E riflette sulle vite che abbandoniamo e su quelle a cui dobbiamo affidarci per ripartire. Un'opera sui cambiamenti, sui punto e a capo, spesso dovuti all'ineluttabilità del fato che paghiamo con il senso di colpa. Meravigliosa Adriana Ugarte, nuova musa con gli occhi da cerbiatta.

6 - Genius - Michael Grandage
Semplice, classico, commerciale. Ma è grande cinema. Colin Firth e Jude Law nei loro ruoli più belli di sempre: il rapporto tra l'editore Maxwell Perkins e il geniale, caotico, umorale Thomas Wolfe commuove come nient'altro. La storia di una stima professionale e di un affetto umano reciproci, tipicamente maschili, che toccano corde sconosciute evitando le ambiguità della bromance. Uomini per cui le ossessioni prevalgono sulle responsabilità: non ci guarderemo indietro mai.

5 - The End of the Tour - James Ponsoldt
Folgorante gioco di specchi tra lo scrittore David Foster Wallace e il giornalista del Rolling Stone David Lipsky. Riflessioni dolorose di un'anima fragile su successo, depressione e relazioni umane, delineando i contorni di un'America innevata di fast food, televisione e grandi magazzini. Il distacco tra noi stessi e gli altri, tra noi stessi e la realtà: sono solo parole, ma fanno male e tramortiscono. Eccezionale Jason Segel in una prova di grande equilibrio.

4 - Veloce come il vento - Matteo Rovere
Emozioni fuorigiri, personaggi iconici e indimenticabili, una grande storia famigliare tipicamente italiana ma raccontata con l'adrenalina del miglior cinema americano di genere e senza la retorica e il familismo nostrani. Matilda De Angelis è una vera e propria scoperta, Stefano Accorsi balza in testa nella classifica degli idoli assoluti: dopo il Leonardo Notte di 1992, il suo Loris detto Ballerino entra con prepotenza nell'immaginario collettivo.

3 - Io, Daniel Blake - Ken Loach
I critici snob e a fine corsa lo hanno etichettato come il solito Loach, ormai anacronistico. Poi ha vinto la Palma d'oro, e si è dimostrato l'unico film necessario di questo 2016, l'unico che affronta la distanza sempre più netta tra il cittadino e le istituzioni - quella che ha portato a Brexit e Trump. Teniamocelo stretto il compagno Ken, altroché: il suo è un cinema che commuove, emoziona, scuote. Vibra. E utilizza la sfera privata per parlare delle contraddizioni della macchina pubblica.

2 - Steve Jobs - Danny Boyle
Terzo capitolo di Aaron Sorkin su uomini visionari e sulla contemporaneità, dopo The Social Network e Moneyball, Tre atti cinici, senza cuore, travolgenti. Una canzone rap tradotta in immagini, parole mitragliate, vere e proprie rasoiate che attraversano uno dei personaggi più controversi e decisivi per quello che siamo oggi. La vita è sempre dietro le quinte: sul palcoscenico va in scena solo una versione dei fatti, quella più commerciabile e concorrenziale.

1 - Frantz - Francois Ozon
Il capolavoro della filmografia fluviale di Ozon, per distacco. Un melodramma che ripensa Lubitsch (L'uomo che ho ucciso) e che guarda a Reitz e Haneke, ma che possiede una forza unica e struggente: una tensione di morte costante fa da sfondo a una delle più profonde e poetiche riflessioni sul suicidio. Ma il finale, magnifico, è un inno alla vita e alla inevitabile e dolorosa presa di consapevolezza della propria libertà. Perché vivere aiuta a non morire (come in Fai bei sogni). Memorabile.

ATTORE DELL'ANNO: Jude Law (Genius, The Young Pope)

ATTRICE DELL'ANNO: Kristen Stewart (Café Society, American Ultra)

I MIGLIOR FILM DE 'IL BELLO, IL BRUTTO E IL CATTIVO'
2011 - Il cigno nero - Darren Aronofsky
2012 - Un sapore di ruggine e ossa - Jacques Audiard
2013 - The Master - Paul Thomas Anderson
2014 - Boyhood - Richard Linklater
2015 - La scomparsa di Eleanor Rigby: Lei/Lui - Ned Benson
2016 - Frantz - Francois Ozon






giovedì 1 dicembre 2016

Flop Ten: I Bidoni del 2016

10 - The Accountant - Gavin O'Connor
Vi prego, basta con le incomprensioni. Ben Affleck è un attore scarso, punto. La scusa della fissità funzionale al ruolo non può durare per sempre. In questo confuso e inutilmente arzigogolato spy-action movie, un po' fumettaro ma non troppo, è un contabile autistico, perennemente sul filo del ridicolo, che lavora per i cattivi. Ma porta anche il bravo Gavin O'Connor sulla strada sbagliata, dopo gli eccellenti Pride and Glory e Warrior.

9 - The Birth of a Nation - Nate Parker
Il remake ancora più crudo e indignato di 12 anni schiavo, dove l'ostentata partigianeria del regista e attivista Nate Parker non permette di aggiungere elementi innovativi, al di fuori di una violenza estetica sempre più gratuita. Il buon cinema politico e morale è lontano, anche perché non mancano dosi indigeste di retorica. Ma il nervosismo obamiano di fine Impero gli ha permesso comunque di vincere il Sundance. Noi però preferiamo lo Spielberg pedagogico di Amistad e Il colore viola.

8 - Deadpool - Tim Miller
Mostruosa deriva fumettara in chiave volgar-demenziale. Pura tabula rasa intellettuale. Non c'è traccia di nulla, né la simpatia di un Kick-Ass (il protagonista interpretato da Ryan Reynolds è insopportabile), né la vaga idea di poter essere uno specchio dei tempi. E figuriamoci l'intelligenza di proporsi come la parodia dei cinecomics, che quest'anno hanno invaso il mercato in maniera particolarmente molesta.

7 - Masterminds - I geni della truffa - Jared Hess
Il film che certifica la morte del comico-demenziale, uno dei generi fondamentali del cinema americano degli anni Zero (Farrelly, Apatow, Phillips). Quattro talenti comici enormi che recitano svogliati in un film sgangherato che non fa mai ridere. Forse è la fine di un'epoca: mai come quest'anno ridere di pancia al cinema è stato tanto complicato. Si salva solo il Baron Cohen di Grimsby, il resto è da buttare.

6 - E' solo la fine del mondo - Xavier Dolan
Il ventisettenne regista canadese, dopo il capolavoro Mommy, sprofonda clamorosamente in un kitsch fine a se stesso, inanellando scelte finte e artefatte: dagli asfissianti primi piani sui volti a una scelta musicale totalmente stonata e incongruente; dalla quantità fluviale di parole che si vomitano addosso i personaggi a trovate registiche patetiche. Léa Seydoux, Marion Cotillard e Vincent Cassel sembrano le guest star di una narcisistica autoaffermazione di autorialità.

5 - La ragazza del treno - Tate Taylor
Un vero e proprio bestseller, che ha ripetuto il successo nelle librerie anche nelle sale cinematografiche. Mistero. Un noir scadente e dalla soluzione improbabile, che neppure la brava Emily Blunt in un ruolo potenzialmente di facile presa (bella donna, divorziata, alcolizzata) riesce a rendere avvincente. Ma ciò che lascia esterrefatti è la sommarietà della messinscena, modesta come le fiction tedesche di qualche anno fa del ciclo "Nel segno del giallo".

4 - Knight of Cups - Terrence Malick
Un'estenuante pubblicità di due ore, dove Christian Bale e le sue donnine bellissime e perfette si struggono annoiati per i loro tormenti sentimentali, mentre la macchina da presa fluttua nell'aria senza una direzione precisa e un'idea di cinema si rivela totalmente svuotata di ogni senso e interesse, non aggiungendo nulla a tutto quello che abbiamo già visto di Terrence Malick. Pieno di frasi casuali pseudo-filosofiche, irritanti e fasulle.

3 - Kiki e i segreti del sesso - Paco Leon
Perversioni e disordini sessuali raccontati in sketch eccessivamente verbosi e mai seducenti, spesso fin troppo paradossali. La morale finale è un invito a vivere la propria sessualità nella maniera più gioiosa e libera possibile. Come un Vanzina, ma senza neppure un po' di sana volgarità. Una lettura dei disturbi parafiliaci descritti nel DSM è senz'altro più divertente e istruttiva di una serie di barzellette sul sesso che non fanno mai ridere.

2 - La corrispondenza - Giuseppe Tornatore
Papabile candidato a film più brutto del nuovo millennio, ma gli risparmiamo il primo posto grazie a qualche scena meravigliosamente scult. Tornatore irriconoscibile. Dialoghi inconcepibili, riflessioni esistenzialiste che superano la soglia della farsa. La migliore offerta sembra di un altro regista, oppure appartenere a un'epoca remota. Jeremy Irons è tragico, ma Olga Kurylenko è la prova che per fare le attrici qualche volta è sufficiente essere soltanto molto belle.

1 - Revenant - Redivivo - Alejandro G. Inarritu
Il regista messicano ormai è avvolto dalla convinzione di essere il più grande di tutti i tempi e gira un western amorfo e inerme, senza pathos, senza sentimento, senza metafisica. Puro manierismo estetizzante e irritante, mai richiesto, mai funzionale alla narrazione. La sequenza di Leonardo DiCaprio che lotta con l'orso è tanto spettacolare quanto patetica, ma è soltanto l'inizio: l'attenzione va subito alle lancette dell'orologio. Una sonora patacca d'autore.


PEGGIOR ATTORE: Ben Affleck (The Accountant)

PEGGIOR ATTRICE: Olga Kurylenko (La corrispondenza)

I BIDONI D'ORO DE 'IL BELLO, IL BRUTTO E IL CATTIVO'
2011 - La pelle che abito - Pedro Almodovar
2012 - Le belve - Oliver Stone
2013 - Solo Dio perdona - Nicolas Winding Refn
2014 - 12 anni schiavo - Steve McQueen
2015 - Crimson Peak - Guillermo del Toro
2016 - Revenant - Redivivo - Alejandro G. Inarritu





lunedì 7 novembre 2016

Top 5: Novembre 2016

5 - Un mostro dalle mille teste - Rodrigo Plà (voto 7)
Un tipico cinema di denuncia, feroce e disilluso, che si scaglia contro un sistema sanitario simile a "un mostro con mille teste". Al centro, una famiglia medio-borghese all'apparenza perfettamente inserita nei meccanismi di una società che si rivela corrotta, indifferente, inefficiente. Tecnicamente, Rodrigo Plà è un regista "mostruoso": la costruzione delle scene non è mai banale ed è sempre funzionale alla narrazione.
 
4 - La verità negata - Mick Jackson (voto 7)
Storia di un paradosso giuridico: il negazionista dell'Olocausto David Irving cita per diffamazione la scrittrice e insegnante Deborah Lipstadt, costretta ad adoperarsi in tribunale per dimostrare le vergogne del nazismo. Non è l'ennesimo film sulla necessità della Memoria, ma un interessante riflessione sulle imperfezioni e le contraddizioni della macchina giudiziaria britannica. Perché è molto più difficile essere giusti piuttosto che essere buoni. Eccezionali Timothy Spall e Rachel Weisz.

3 - Sing Street - John Carney (voto 8)
Dublino, anni Ottanta e amori adolescenziali: un teen movie semplicemente perfetto, tra canzoni dei Cure e dei Duran Duran, pensando a The Commitments e al desiderio di fuggire verso quella Londra dove tutto è possibile. Tante gag infallibili sui tentennamenti degli anni più folgoranti, quelli dove si fanno le scoperte più importanti: il rock, la scelta di non omologarsi, il complicato universo femminile. E come in School of Rock, alla fine, si manda a fare in culo il potente.

2 - Animali notturni - Tom Ford (voto 8)
Dopo il sopravvalutato A Single Man, Tom Ford sorprende con un'opera viscerale sulla vendetta, sul ruolo dell'arte e sulla potenza delle parole e della scrittura, divertendosi con momenti di puro cinema, citando di tutto e di più, da Lynch a Sorrentino, da Tarantino a Hitchcock. Si passa dal kitsch della Los Angeles più vuota e patinata alla desolazione del Texas più violento, dove lo sceriffo del grandioso Michael Shannon ruba la scena a un sofferto Jake Gyllenhaal e a una bella e stronza Amy Adams.

1 - Genius - Michael Grandage (voto 9)
Semplice, classico, commerciale. Ma è grandissimo cinema. Colin Firth e Jude Law nei loro ruoli più belli di sempre: il rapporto tra l'editore Maxwell Perkins e lo scrittore geniale, caotico, umorale Thomas Wolfe commuove come nient'altro. La storia di una stima professionale e di un affetto umano reciproci, tipicamente maschili, che toccano corde sconosciute perché evitano le ambiguità della bromance. Uomini per cui sogni e ossessioni prevalgono sulle responsabilità: non ci guarderemo indietro mai.



giovedì 3 novembre 2016

Riflessioni Spiazzanti: Lo Specchio

Chiunque ami il cinema non può che esserne profondamente deluso. Il cinema non basta, non può bastare mai. Per vivere serve altro: una persona da amare e che contraccambi il nostro amore, un lavoro economicamente soddisfacente, magari dei figli da crescere. Come molte passioni, il cinema non è altro che un'illusione da consumare nell'immediato, qui e ora. Vivere in funzione del cinema è un errore, e chiunque lo abbia commesso o lo commetta mente a se stesso se è convinto di vivere davvero. Il cinema non cambia le vite di chi lo segue, né di chi è appassionato: la visione di un film non cambia la vita di nessuno, siamo noi che vorremmo che fosse così. Il cinema cambia le vite soltanto di chi lo fa, non di chi lo guarda: quelle di un regista, un attore, uno sceneggiatore, un produttore. Una vita trascorsa dentro una sala cinematografica è una vita sprecata sperando di immedesimarsi in qualcuno che recita una parte comunque più entusiasmante della nostra quotidianità. Il cinema è un sedativo per non soffrire troppo, un calmante, un sollievo temporaneo che rischia di dare dipendenza. E detto onestamente, quando si guardano troppi film, sono molti di più quelli che annoiano rispetto a quelli che colpiscono. A chiunque sia capitata la disgrazia di appassionarsi al cinema e di diventare un cinefilo gli sarà successo almeno una volta di innamorarsi di un'attrice: non soltanto l'atto di amare qualcun altro risulta spesso e volentieri patetico agli occhi degli altri, figuriamoci se è rivolto nei confronti di qualcuno che non ci conosce e che vediamo soltanto su uno schermo. Con l'esplosione popolare delle serie, il rischio di alienarsi dalla realtà, dalla vita vera, è sempre più diffuso: una piattaforma come Netflix, dove è possibile accedere a un'offerta fin troppo eterogenea e variegata, non può che sollecitare il desiderio di rifugiarsi nelle storie di altri, per sopperire alla mancanza di un'esistenza davvero interessante. E dopo non aver avuto niente di meglio da fare che guardare le tre stagioni di Black Mirror, mi sono convinto che questa serie in fondo non parli dei rischi dell'avanzamento tecnologico ma del vuoto pneumatico mentale, emotivo e sentimentale che caratterizza ogni essere umano privo di contatto fisico, carnale e materiale con ciò che lo circonda. Il cinema non è altro che la base di un'alterità che si è poi evoluta verso la tabula rasa intellettuale dei videogiochi, dei tamagochi, dei messaggini e dei social network. Le emozioni più grandi della mia vita le ho provate chattando a sedici anni con il profilo Messenger di una ragazza, che era ed è una persona meravigliosa. Oggi, spio le foto su Instagram di una ragazza altrettanto straordinaria. Ma dopo il documentario su Rocco Siffredi pensi che niente sia più autentico del porno.

Emiliano Dal Toso





mercoledì 19 ottobre 2016

Top 5: Ottobre 2016

5 - Piuma - Roan Johnson (voto 7)
Uno dei "casi" dell'ultima Mostra di Venezia, accusato di eccessiva leggerezza per partecipare in concorso a uno dei due festival più importanti del mondo. Di per sé, è un film godibile, tenero, una commedia italiana con un ritmo frizzante, a tratti irresistibile (imperdibili i duetti tra il protagonista Luigi Fedele e il papà Sergio Pierattini). Roan Johnson ha studiato bene molte commedie indie americane di inizio millennio (Juno, Little Miss Sunshine, Molto incinta). Raggiante Blu Yoshimi.

4 - Deepwater - Peter Berg (voto 7)
Cronaca di un disastro annunciato, quello della piattaforma petrolifera che esplose nel 2010 in pieno oceano, causando la morte di undici operai e uno dei più gravi disastri ambientali della storia americana. Dopo l'ottimo Lone Survivor, Peter Berg si conferma preciso e impeccabile nella ricostruzione dei fatti e nella costruzione della tensione, evitando retorica e ovvietà, ma senza ignorare l'umanità del personaggio di Mark Wahlberg, sempre grandioso in questo genere di pellicole.

3 - Lo and Behold - Werner Herzog (voto 7)
L'Herzog documentarista si interroga sul nostro mondo, ormai sempre più connesso, sempre più dipendente da internet e dalla sua accessibilità. Il cineasta tedesco non trae conclusioni definitive, però il risultato complessivo è sicuramente più inquietante che ottimista: arriverà anche il giorno in cui una squadra di calcio di robot riuscirà a vincere il campionato del mondo. Siamo in una fase di transizione, l'avanzamento tecnologico e la rete comporteranno persino ripercussioni teologiche.

2 - Neruda - Pablo Larrain (voto 8)
Un biopic anticonvenzionale, un'opera nerudiana nello stile e nella poetica. Flirtando con diversi generi, che spaziano dal noir al western, Larrain racconta una caccia all'uomo, quella dell'immaginario ispettore Peluchonneau (un magnetico Gael Garcia Bernal) nei confronti del poeta e senatore comunista Pablo Neruda. Suggestivo, discontinuo, onirico: un'allucinazione, un trip lisergico tra festini erotici e paesaggi metafisici. 

1 - Io, Daniel Blake - Ken Loach (voto 9)
Teniamocelo stretto il compagno Ken: il suo è un cinema che emoziona, commuove, indigna. Vibra. Loach utilizza la sfera privata per parlare delle contraddizioni della macchina pubblica, entrando nel cuore e nella gola dello spettatore. Al Festival di Cannes è stato riconosciuto con la Palma d'oro il valore di una pellicola bella, dolorosa, attuale, diversamente da quei critici ormai imbolsiti che hanno etichettato come "film-comizio" un'opera che racconta il nostro presente e la nostra realtà, con il linguaggio migliore del cinema: semplice, diretto, popolare.



venerdì 30 settembre 2016

Top 5: Settembre 2016

5 - Elvis & Nixon - Liza Johnson (voto 7)
Brillante incontro tra Kevin Spacey/Richard Nixon, ma sempre in zona House of Cards, e Michael Shannon/Elvis Presley, due star destrorse ed egocentriche, che simpatizzano ironizzando sui Beatles. La Casa Bianca non è poi così diversa dalla Graceland del Re di Memphis. Siamo nel 1970 e per entrambi sta per cominciare un brusco declino, ma il film vuole concentrarsi soltanto sul brio di una sceneggiatura tanto semplice quanto divertente.

4 - The Beatles: Eight Days A Week - Ron Howard (voto 7)
Pareva che dovessimo essere di fronte al documentario definitivo sul quartetto di Liverpool, ma così non è. Ron Howard assembla tanto prezioso materiale d'archivio e realizza quello che è lecito aspettarsi da un buon documentarista e da un fan appassionato, dedicandosi soprattutto alla fortissima amicizia che legava il gruppo. Certo, nelle mani di un Julien Temple il risultato sarebbe stato diverso, ma ci si entusiasma per la mezz'ora live di bonus allo Shea Stadium.

3 - Questi giorni - Giuseppe Piccioni (voto 8)
Il miglior film italiano a Venezia 73: snobbato e sottovalutato. E invece è un raro e prezioso racconto di formazione, un on the road femminile che evita ogni rischio di giovanilismo e femminismo. Una somma di piccole cose, un insieme di frammenti emotivi e di incidenti che caratterizzano la vita di quattro ragazze autentiche, piene di sfumature. Piccioni pensa alla verità di quello che racconta: carinerie e macchiette sono lasciati al cinema che piace alla gente che piace.

2 - Café Society - Woody Allen (voto 8)
Woody al suo meglio, dopo il brutto Irrational Man sceglie di giocare in casa e si abbandona alla Hollywood degli anni Trenta, ai primi amori, al passato che torna, ma che non può essere recuperato. E all'accettazione di essere diventati come non avremmo mai voluto. Il suo alter-ego, questa volta, è il meravigliosamentee ebreo Jesse Eisenberg, mentre la sua musa è la radiosa Kristen Stewart, sempre più brava: come in Sils Maria, un fantasma di cui non vogliamo fare a meno.

1 - Frantz - Francois Ozon (voto 10)
Per chi scrive, il capolavoro di Venezia 73. E, senza dubbio, il miglior film di Francois Ozon. Un melodramma che ripensa Lubitsch (L'uomo che ho ucciso) e che guarda a Reitz e Haneke, ma che possiede una forza unica e struggente: una tensione di morte costante fa da sfondo a una delle più profonde e poetiche riflessioni sul suicidio. Ma il finale, magnifico, è un inno alla vita e alla necessaria e dolorosa presa di consapevolezza della propria libertà. Memorabile.




giovedì 22 settembre 2016

Pagellino Concorso Venezia 73

Frantz - Francois Ozon 10
Perché vivere aiuta a non morire.

Jackie - Pablo Larrain 10
Per Natalie, Camelot, le luci spente e il caffè alla mattina.

Nocturnal Animals - Tom Ford 9
Per l'elegante vendetta e per lo sceriffo di Michael Shannon.

The Light Between Oceans - Derek Cianfrance 9
Per il faro che separa gli oceani della vita.

Questi giorni - Giuseppe Piccioni 8
Perché sembra un road movie generazionale, ma è una somma di piccole cose.

Une Vie - Stéphane Brizé 7
Perché "la vita non è mai tutta buona o tutta cattiva come si dice".

Piuma - Roan Johnson 6
Perché è pieno di difetti ma si fa volere bene.

La La Land - Damien Chazelle 6
Perché è frastornante e vuole vincere facile.

Voyage Of Time: Life's Journey - Terrence Malick 6
Perché Malick sta delirando, conservando però un suo fascino perverso.

The Woman Who Left - Lav Diaz 6
Perché una scena potrebbe durare tre minuti o tre ore e non cambierebbe niente.

On The Milky Road - Emir Kusturica 4
Perché Kusturica è diventato la parodia di se stesso.

El Cristo Ciego - Christopher Murray 4
Perché è semplicemente brutto.

Les Beaux Jours D'Aranjuex - Wim Wenders 4
Per il fiume inutile, estenuante di parole al vento, e per l'inutilità del 3D.

The Bad Batch - Ana Lily Amirpour 3
Perché è pretenzioso e programmaticamente (s)cult, ma non diverte neppure.

NON VISTI

El Ciudadano Ilustre - Mariano Cohn, Gaston Duprat

La Region Salvaje - Amat Escalante

Brimstone - Martin Koolhoven

Arrival - Denis Villeneuve







lunedì 12 settembre 2016

Riflessioni Spiazzanti: Venezia 73

Sono sempre i frammenti quelli che restano nel cuore. Basta un semplice passaggio, una battuta, un'immagine, perché possa scattare - anche d'improvviso - il colpo di fulmine nei confronti di un film. Ne ho avuto nuovamente la conferma durante questa Mostra di Venezia: non possiamo prescindere dalle nostre vite. soprattutto quando abbiamo a che fare con il trasporto emotivo che ci provoca un'opera cinematografica, influenzando inevitabilmente il giudizio nei suoi confronti. Il senso di colpa e l'elaborazione della perdita sono alcune suggestioni dei film in concorso che ho amato di più: in Frantz di Francois Ozon, la bravissima Paula Beer (vincitrice del Premio Mastroianni) perde il fidanzato in guerra ed è destinata a una cocente delusione sentimentale; in Jackie di Pablo Larrain, la meravigliosa Natalie Portman si tormenta per non essere stata disposta a sacrificarsi, opponendosi ai proiettili diretti verso il marito; in The Light Between Oceans di Derek Cianfrance, un dolente Michael Fassbender è devastato dall'idea che il figlio che sta crescendo non è il suo, identificandosi con il dolore della vera madre a cui è stata negata la gioia della maternità. Sono tutti personaggi che, a un certo punto, accarezzano l'idea del suicidio, ma poi la respingono: in Frantz, addirittura, la Beer viene salvata da un tentativo di annegamento, ma proprio quell'esperienza le darà la forza di reagire a ulteriori dolori; in Jackie, la Portman si interroga sulla sua condanna di donna vedova, proiettandosi verso un futuro in cui le invidie e le gelosie nei suoi confronti saranno sostituite dalla pena e della compassione; in The Light Between Oceans, Fassbender decide di esiliarsi dall'umanità, accettando il ruolo di guardiano del faro, ma l'amore lo costringerà a dover sopportare altre sofferenze. Eppure, la Beer e la Portman affermano che "il suicidio è un atto vile", e arrivando a questa conclusione ritrovano "la voglia di vivere"; Fassbender, invece, attende con fiducia il giorno in cui la bambina che ha cresciuto tornerà a trovarlo. E così, Ozon, Larrain e Cianfrance - seppur nei loro toni cupi e crepuscolari - emozionano con melodrammi diversissimi nello stile, ma accomunati dalla consapevolezza che vivere aiuta a non morire. Le parole del prete di John Hurt in Jackie riassumono bene questo umore: Quando cerchi il senso delle cose, arriva sempre il momento in cui ti rendi conto che non c'è risposta. O lo accetti o ti suicidi. Oppure, semplicemente, smetti di fare domande.

Emiliano Dal Toso



mercoledì 24 agosto 2016

Top 5: Agosto 2016

5 - Ghostbusters - Paul Feig (voto 7)
Con l'intelligenza di un J.J. Abrams più iconoclasta, Paul Feig individua il punto d'incontro tra remake e reboot, declinandolo al femminile. Volendo, il film potrebbe sollecitare discussioni su razza e genere: si ride, ed è quello che conta. Simpatiche tutte le protagoniste (compreso il "segretario" Chris Hemsworth), ma Kristen Wiig è una spanna sopra, un'autentica fuoriclasse. Da vedere evitando, quindi, il confronto con l'originale.

4 - Un padre, una figlia - Cristian Mungiu (voto 7)
Il rumeno Mungiu riflette sulla forma mentis di corruzione e interessi personali che si è appropriata non soltanto degli apparati statali ma anche dei comportamenti degli onesti cittadini. Da una parte, la volontà di un padre disposto a tutto pur di garantire alla figlia un futuro migliore in un Paese diverso dalla Romania; dall'altra, la constatazione di un modus operandi che è ormai l'unico sistema per ottenere servizi e assistenza. Un panorama, tutto sommato, non così diverso da Mafia Capitale.

3 - Mia madre fa l'attrice - Mario Balsamo (voto 7)
Affettuosissimo e commovente omaggio di Mario Balsamo alla propria mamma Silvana Stefanini, un tempo attrice di un cinema che non esiste più. Un documentario personale ed emozionale, originale, che riflette sulla difficoltà di essere i figli unici di una madre tanto amorevole quanto ingombrante. E l'autore-protagonista autoanalizza la propria condizione con ironia e intelligenza, e con un mood allo stesso tempo toccante e scanzonato.

2 - L'effetto acquatico - Solveig Anspach (voto 8)
Una delle commedie sentimentali più divertenti degli ultimi anni. Il goffo e imbranato Samir s'innamora dell'insegnante di nuoto Agathe e finge di non saper nuotare per prendere lezioni da lei alla piscina comunale. Ma Agathe scopre l'inganno e parte per l'Islanda: Samir la segue, spacciandosi questa volta per un istruttore israeliano. Il protagonista Guesmi è formidabile, Florence Loiret Caille incantevole, e l'acqua si rivela un veicolo per l'amore piuttosto resistente: che gioiellino.

1 - Il drago invisibile - David Lowery (voto 8)
Se questo è cinema per bambini, lunga vita al cinema per bambini. Elliot è la nostra parte buona, quella che riesce a tenerci per la retta via quando tutto sembra smarrirsi: il dolore della perdita non sarebbe tollerabile senza un angolo di mondo raro, prezioso e magico. Un film dal sapore classico, che ci ricorda la funzione pedagogica della Disney: anche da piccoli, non sempre abbiamo voglia di ridere. Ritorno nel mondo e accettazione: gli stessi temi di Room, spiegati in modo più semplice.



mercoledì 27 luglio 2016

Consigli per Netflix: 10 Serie da non perdere

Bloodline - Glenn Kessler, Todd A. Kessler, Daniel Zelman
Un grande, dolente, romanzo americano, dai tempi più dilatati rispetto a molte serie, interessato soprattutto alle psicologie dei personaggi, ai loro demoni interiori. Sangue inteso come legame famigliare, ma anche come inevitabile conseguenza del Fato: rimorsi, rancori, sensi di colpa che arricchiscono ogni episodio di una tensione costante, destinata a esplodere. Sullo sfondo, il paradiso (perduto) delle Florida Keys. Memorabili Ben Mendelsohn e Linda Cardellini. Voto 9

Flaked - Will Arnett
Una comedy dalle sfumature drammatiche scritta su di sé da Will Arnett, simpatico cialtrone ex alcolizzato che cerca di avere una seconda possibilità dalla vita elargendo consigli per Venice Beach a individui in difficoltà esistenziale. Si ride, si sogna la California e si riflette sugli ingannevoli percorsi dei rapporti d'amicizia: niente di indimenticabile, ma, senza accorgersene, si finisce per voler bene a tutti i personaggi. Voto 7

Freaks and Geeks - Paul Feig, Judd Apatow
Eroico recupero di Netflix, che rilancia la prima e unica stagione della serie cult del 1999, ignorata all'epoca e mitizzata con il tempo, dopo l'esplosione della bromantic comedy: ci sono Jason Segel, James Franco e Seth Rogen poco meno che ventenni negli anni Ottanta, e molto altro. Diciotto episodi irresistibili, esilaranti e agrodolci che forse erano la risposta più realistica agli adolescenti di Dawson's Creek. Un punto cruciale per l'evoluzione della comicità made in Usa del nuovo millennio. Voto 9

Love - Judd Apatow
Tenera, credibile analisi di una costruzione di un amore un po' goffo e improbabile nell'era digitale. La bella Gillian Jacobs è una tipica trentenne di oggi, sfrontata e grezza, mentre Paul Rust uno sfigato vecchio stampo, sensibile e imbranato, che finisce per essere cool, come tutti gli eroi della commedia di Judd Apatow, nella loro versione più romantica possibile: sono sempre le incomprensioni e le piccolezze a rendere le cose preziose. Voto 8

Marseille - Florent Siri
Colpi bassi e vendette nella corsa per la poltrona a sindaco di Marsiglia tra Gérard Depardieu e Benoit Magimel, prima alleati e poi avversari interessati più ad affossarsi che a vincere. Un crime politico serrato e avvincente, tragico e shakespeariano, che descrive una Francia spaccata in due e particolarmente spaesata, governata da una classe politica corrotta e avvelenata. Sesso, droga, violenza, Islam: un calderone fin troppo pieno ma senza dubbio godibile. Voto 8

Master of None - Aziz Ansari
Le confessioni di Aziz Ansari, trentenne americano medio di origini indiane, newyorchese interessato a tutto ma che non eccelle in niente: un attore mediamente bravo, un amico mediamente affidabile, un figlio e un fidanzato mediamente amorevole. E per questa medietà, per questo disincanto di fondo, la serie è uno dei manifesti generazionali più convincenti di oggi. Seppur con diversi slanci di poesia: il sesto episodio chiamato Nashville sembra Frank Capra. Voto 8

Narcos - Carlo Bernard, Chris Brancato, Doug Miro
Un capolavoro assoluto, dopo True Detective un altro esempio di grande cinema a tutti gli effetti, un film di dieci ore che assomiglia al miglior Michael Mann o al miglior Martin Scorsese. Wagner Moura è Pablo Escobar, mito, icona, leggenda, narcotrafficante: una caccia all'uomo descritta come un'ossessione e, nello stesso tempo, l'analisi di una scollatura sempre più netta tra il popolo e le istituzioni. Impeccabile nella ricostruzione, rigoroso nell'utilizzo di documenti d'archivio alternato a scene d'azione dal ritmo infernale: una produzione entusiasmante. Voto 10

Peaky Blinders - Steven Knight
L'Inghilterra degli anni Venti - violenta e violentata dall'orrore della prima guerra mondiale, perennemente in conflitto con l'IRA, e costantemente scossa dai tumulti di anarchici e comunisti - dal punto di vista di una famiglia criminale, guidata dall'intelligenza e dalla scaltrezza del leader Thomas Shelby (Cillian Murphy, nel ruolo che vale una carriera). Ma anche i più duri cedono alle tentazioni d'amore. Un mood umido, sporco, alcolico, supportato da una colonna sonora portentosa. Grande serie. Voto 9

Stranger Things - The Duffer Brothers
Chi è all'allergico all'universo degli anni Ottanta ne stia lontano: è la serie con il maggior numero di rimandi, omaggi e citazioni che sia mai stata realizzata. I Goonies, E.T., Incontri ravvicinati, Stand By Me, Donnie Darko, Twin Peaks, Super 8, War Games, addirittura Under the Skin: frullateli e otterrete Stranger Things. Ma dopo il sospetto di programmaticità dei primi episodi, l'emozione e la commozione prendono il largo: in fondo, è un altro struggente romanzo di formazione, che si focalizza sul momento in cui amore e morte entrano con prepotenza nelle nostre vite. Voto 9

Wet Hot American Summer: First Day of Camp - Michael Showalter, David Wain
Una pura idiozia con alcuni passaggi di totale genio, altri di completo imbarazzo: in pratica, è il sequel di un film demenziale del 2001 sulla vita di un campeggio estivo. La trovata non-sense è che gli attori di allora, invecchiati (male) di quindici anni, sono gli stessi di oggi e recitano insieme ad adolescenti fingendo di essere loro coetanei. Un trionfo di hippie-freak-debosciati, che spesso non ha neppure una direzione ma riesce comunque a far scatenare qualche risata. Imperdibili i due episodi con Michael Cera nei panni dell'avvocato Johnny Piscione. Voto 7




domenica 24 luglio 2016

Chi l'ha visto? Top 5: Gli Inediti 2015-2016

5 - Lamb - Ross Partridge 
Può un uomo di mezza età stringere una forte relazione d'amicizia e complicità con una ragazzina di undici anni senza essere sospettato di pedofilia? Questa è la domanda che si pone il regista e attore Ross Partridge, e la risposta è un road movie provocatorio ma sensibile, tenero, a tratti poetico. Merito anche della bravissima protagonista Oona Laurence. Visto al Torino Film Festival 2015.

4 - Taj Mahal - Nicolas Saada
Stacy Martin, dopo la giovane Joe di Nymphomaniac, è una ragazza francese di buona famiglia intrappolata in una stanza del Taj Mahal Palace Hotel a Mumbai durante l'attacco terroristico del novembre del 2008. Teso, avvincente thriller nello stile realistico di Paul Greengrass. Uscito soltanto in Francia poche settimane dopo la strage al Bataclan, merita di essere recuperato. Visto alla Mostra di Venezia 2015.

3 - Right Now, Wrong Then - Hong Sang-soo
Pardo d'oro al Festival di Locarno del 2015, è un gioco narrativo di straordinaria intelligenza e ironia, dove la stessa storia viene raccontata due volte in maniera diversa, cambiando dettagli, carattere dei personaggi e colori emotivi. Non un semplice esercizio di stile, ma la prova di una capacità di cogliere sfumature e temperature dell'anima con rara sensibilità. 

2 - The Ecstasy of Wilko Johnson - Julien Temple
La storia unica e incredibile di Wilko Johnson, ex chitarrista dei Dr. Feelgood, a cui viene diagnosticato un cancro incurabile: lui reagisce andando in tour per un'ultima volta. Perché vivere aiuta a non morire. I puzzle musicali di Julien Temple sono tra i punti più alti del cinema contemporaneo: un frullato di citazioni ed entusiasmante storytelling, debordante di punk e anticonformismo. Visto al Torino Film Festival 2015.

1 - Love - Gaspar Noé
Non è un porno, ma un altro tentativo di un poeta nichilista come Gaspar Noé di superare i limiti della Settima Arte, di andare oltre, riprendendo corpi che si masturbano e scopano: una visione soffocante e meravigliosa, recitata da attori che non sono professionisti del settore e concedono carne e fiato, passione e paranoia, droghe, gelosia e autodistruzione. Un altro trip ipnotico, dopo Enter the Void. Un'altra dichiarazione d'amore per la libertà d'espressione.

GLI INEDITI DE 'IL BELLO, IL BRUTTO E IL CATTIVO'

2011 Thirst - Park Chan-wook
2012 Take This Waltz - Sarah Polley

2013 Starlet - Sean Baker
2014 The Spectacular Now - James Ponsoldt
2015 Enemy - Denis Villeneuve
2016 Love - Gaspar Noé



venerdì 8 luglio 2016

Top 5: Luglio 2016

5 - Cattivi vicini 2 - Nicholas Stoller (voto 7)
Ancor più caotico e anarchico del suo predecessore, questo sequel è un puro trionfo di risate slapstick, per merito soprattutto di quel magnifico corpo comico che è Seth Rogen, in grado di sopperire alla mancanza di battute con una fisicità dirompente. La variazione femminile sul tema della confraternita è indovinata e non deluderà gli amanti del genere. 

4 - Tokyo Love Hotel - Hiroki Ryuichi (voto 7)
Solitudini e anime perse che si ritrovano nell'Atlas, albergo dell'amore di Kabukicho, quartiere a luci rosse di Tokyo: prostitute, troupe di film porno, amanti clandestini e adolescenti in fiore. Ma non c'è sensazionalismo né moralismo, soltanto tanto affetto per un'umanità sperduta ma ancora capace di inaspettati slanci di romanticismo. E lo sguardo è lieve, fluido, leggiadro.

3 - Tom à la ferme - Xavier Dolan (voto 8)
Il giovane Xavier, prima di Mommy, mostra già una notevole maturità registica (nel lavoro con gli spazi, con il sonoro, negli improvvisi sbalzi di tensione) e una dimestichezza impressionante con le dinamiche psicologiche dei personaggi. Continui ribaltamenti di ruolo, complessi edipici, sindromi di Stoccolma, omosessualità esplicita e latente: et voilà il Dolan Touch.

2 - Mississippi Grind - Ryan Fleck, Anna Boden (voto 8)
Ben Mendelsohn (un'altra prova enorme, dopo il Danny di Bloodline) e Ryan Reynolds (nella sua miglior interpretazione) sono due giocatori di poker, due scommettitori incalliti on the road che costeggiano il Mississippi, dove le autostrade sembrano non finire mai e le insegne indicano soltanto motel, taverne, bordelli o bingo e slot machines. E i registi, riflettendo sull'imprevedibilità del fato, inneggiano a quel briciolo di solidarietà umana che tiene in piedi il mondo.

1 - It Follows - David Robert Mitchell (voto 9)
Senza esagerare, il miglior horror del nuovo millennio. Costruito sulla paranoia, sulle allucinazioni, sul senso di colpa connaturato all'inevitabilità della crescita, dell'attrazione fisica, delle prime esperienze sessuali. Mitchell si focalizza su uno stato d'animo generazionale e incornicia un mood soffocante e plumbeo, puntellato da una fotografia elettrica e notturna e dall'ambientazione di una provincia americana sempre più fuori dal mondo. Che cosa (non) significa avere vent'anni.



giovedì 7 luglio 2016

Cronaca nera, segreti di Stato e miti cinefili. Intervista allo scrittore Ivan Brentari

Ivan Brentari, ventotto anni, ha appena pubblicato 'L'insolita morte di Erio Codecà' (Sperling & Kupfer) insieme ad Aldo Giannuli, un giallo storico basato su fonti d'archivio originali. I temi? Segreti industriali, grandi aziende e spie, contrabbando e principi che volano da finestre di alberghi romani. La scrittura di Ivan è colta e avvincente, precisa e sfaccettata. Questo libro accompagna il lettore all'interno di uno dei misteri più oscuri del nostro Paese. E con una struttura narrativa che si avvicina molto a quella cinematografica.

Partiamo da L'insolita morte di Erio Codecà. Come ti sei avvicinato a questa vicenda e perché hai deciso di raccontarla?

Aldo Giannuli, esperto di storie segrete d'Italia, mi ha proposto di collaborare a questo progetto. Abbiamo cercato insieme di ricostruire attraverso l'assassinio di Erio Codecà, un alto dirigente della Fiat, avvenuto nel 1952, il clima della Guerra Fredda in Italia: abbiamo utilizzato documenti autentici per riportare i fatti avvenuti, ma ci siamo divertiti a raccontare questo "cold case" con le indagini di un bizzarro cenacolo di investigatori dilettanti. La loro vicenda si svolge nel 1999 ma, con una narrazione volutamente cinematografica, si aprono diversi flashback su episodi che spaziano dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, dalla Romania alla Costa Azzurra.

Proprio questo sguardo cinematografico è uno dei punti di forza del libro. Credi che sia importante avere un approccio orizzontale tra diverse forme artistiche?

Chiunque abbia scritto dalla seconda metà del Novecento è stato influenzato dal cinema. C'è sempre stata un'osmosi tra queste due maniere di comunicare. Personalmente, ho sempre apprezzato molto i film di Elio Petri, da Todo modo a La classe operaia va in paradiso, anche se il mio preferito in assoluto è l'Antonioni di Blow Up: anche lì c'è un soffio noir e prevale l'idea che la verità per essere trovata debba essere ricercata, malgrado spesso non sia possibile.

Due anni fa hai pubblicato la biografia di Giuseppe Sacchi, segretario della Fiom negli anni Sessanta e deputato comunista. Che cosa ti ha colpito di questo personaggio e che cos'ha rappresentato per te quest'incontro?

Sacchi è nato nel 1917, tra di noi ci sono settant'anni di differenza ma si è trattato dell'incontro politicamente più importante della mia vita, oltre che umanamente. Ha diretto le più rilevanti lotte metalmeccaniche del dopoguerra ed è uno dei padri dello Statuto dei lavoratori. Ci siamo visti proprio recentemente alla festa nazionale della Fiom a Milano dove ho partecipato a un reading insieme a Wu Ming 2.

I Wu Ming sono uno dei casi letterari degli ultimi anni. Che cosa pensi dei loro progetti e che cosa apprezzi del loro lavoro?

I Wu Ming lavorano molto sulla Storia e con le storie. Quello che, in piccolo, abbiamo provato a fare io e Giannuli. L'armata dei sonnambuli è uno dei romanzi italiani più riusciti degli ultimi anni. Con Giovanni Cattabriga (Wu Ming 2) e la Fiom di Milano stiamo lavorando a un progetto in comune: qualche anno fa ritrovai in un archivio dei racconti che venivano da un concorso letterario del '63 indetto dalla Fiom di cui proprio Giuseppe Sacchi era all'epoca segretario. Nella giuria c'erano anche Luciano Bianciardi e Umberto Eco. Oggi, a cinquant'anni di distanza, un laboratorio di scrittura collettiva tenuto da Giovanni ha prodotto degli altri racconti. Il nostro obiettivo è portare queste storie di diverse epoche sulla carta.

Hai scritto anche una raccolta di racconti (Quindici brevi, due lunghi, quattro medi e uno brutto), dove spiccano riferimenti musicali e calcistici, da Memphis Slim a Mario Balotelli.

Sì. è vero. Balotelli mi è sempre stato simpatico. Mi piace il fatto che abbia un grande talento ma lo abbia dissipato: è un po' il fascino dell'imperfezione che io spesso e volentieri subisco. Il blues, invece, è una delle mie passioni e mi piace perché è una musica semplice e il ritorno alla semplicità dovrebbe essere una regola valida per tutte le arti. Il problema è che questa regola è molto difficile da rispettare e bisogna essere molto bravi per farlo.

Emiliano Dal Toso



lunedì 4 luglio 2016

Serie: Billions

Da un punto di vista giuridico, l’insider trading è la compravendita di titoli di una determinata società da parte di soggetti che, per la loro posizione all’interno di essa o per la loro professione, sono a conoscenza di informazioni riservate non di dominio pubblico. Queste informazioni concedono la possibilità di posizionarsi su un livello privilegiato rispetto a investitori concorrenti, risparmiatori o consumatori. Questa pratica, in Italia, viene accomunata al reato di aggiotaggio, mentre negli Stati Uniti soltanto dagli anni Settanta è stata sanzionata dalla Corte Suprema, includendola tra le frodi che riguardano la compravendita di valori mobiliari. Cinematograficamente, l’insider trading è il principale spunto narrativo di Billions, serie americana attualmente in onda su Sky Atlantic, che trasmette ogni martedì due episodi in prima visione. L’ottimo successo avuto negli Stati Uniti dalla prima stagione ha reso possibile che venisse rinnovata per una seconda.
Il protagonista è Paul Giamatti (La versione di Barney, 12 anni schiavo), uno degli attori americani più versatili di Hollywood, dalle magnifiche sfumature tragicomiche, forse troppo spesso sottoutilizzato in ruoli secondari, di contorno. In Billions interpreta l’avvocato Chuck Rhoades, un irreprensibile procuratore distrettuale del Southern District di New York: un vero e proprio uomo di diritto, secondo cui la legge deve sempre e comunque avere la precedenza sull’aspetto umano e privato. Il suo antagonista è l’attore britannico Damian Lewis, volto noto per gli amanti di serie tv per Homeland, nei panni di Bobby Axelrod, un importante magnate, piuttosto popolare per essersi fortunosamente salvato dagli attentati dell’undici settembre;  un miliardario su cui però si cela, appunto, lo spettro di frode per insider trading. Rhoades non si è quasi mai occupato di questo genere di reati, forse per timore di mettersi contro il mondo dell’alta finanza; ma il dilemma più affascinante che pone questo avvincente e formalmente elegantissimo legal-drama scritto da Brian Koppelman, David Levien e Andrew Ross Sorkin è un altro. La moglie di Rhoades (la splendida Maggie Siff vista in Mad Men e Sons of Anarchy), infatti, lavora per Axelrod, è una consulente a pagamento e svolge anche un particolare ruolo da personal coach per i suoi uomini. L’avvocato si trova, così, di fronte a un bivio: istintivamente, non avrebbe alcun dubbio a portare avanti le indagini. Ciononostante, appare palese sin dalla prima scena che Chuck Rhoades  non sia poi così cristallino, abbia più di qualche scheletro nell’armadio, e sia un individuo sessualmente perverso, appassionato praticante di pissing e sadomaso. E così, come nelle più entusiasmanti serie americane degli ultimi anni, il bene e il male si inseguono e si confondono, i lati oscuri emergono gradualmente e senza soluzione di continuità. Sullo sfondo, domina una New York di piani alti e di guerre tra la magistratura e uomini ricchi e potenti, diversa dagli intrighi politici della Washington di House of Cards, ma altrettanto sgradevole e corrotta.
La forza di Billions consiste nella cura dei dettagli (anche giuridici) e nella credibile caratterizzazione dei personaggi. Dopo il suicidio di un amico del padre in procinto di essere condannato, Rhoades avverte i suoi collaboratori: “Continuate a perseguire i reati con forza, non vacillate.” E gli autori si divertono a provocare questa etica, conducendola fino all’esasperazione: il diritto deve e può essere sempre perseguito, ignorando affetti ed effetti personali? E la legge è davvero uguale per tutti, oppure un po’ più uguale per alcuni?


Emiliano Dal Toso



martedì 21 giugno 2016

Top Ten: Classifica Primo Semestre 2016

10 - The Neon Demon - Nicolas Winding Refn
Il manierismo di NWR trova finalmente una sua ragion d'essere: questa volta il modello di riferimento è il Dario Argento di Suspiria, il ponte ideale per ritrarre un universo della moda abitato da corpi vuoti che camminano. Una forma che s'identifica perfettamente con il suo contenuto: come Spring Breakers è un film sulla consistenza della superficie, come Maps To The Stars sulla correlazione tra morte ed establishment. Visivamente, un pugno nello stomaco.

9 - 1981: Indagine a New York - J.C. Chandor
Fino a che punto possono coesistere la rettitudine e un mondo sempre più orientato verso il mito dell'affermazione economica e la violenza? Un magnifico Oscar Isaac è il self-made man che non rinuncia al confronto e alla razionalità, e che ribadisce l'onestà come base fondamentale del proprio successo. Attorno a sé, le regole della sopraffazione, della competizione e del sangue hanno preso il sopravvento.

8 - Microbo & Gasolina - Michel Gondry
Michel Gondry continua a osservare la meccanica delle emozioni con una creatività che non appartiene a nessun altro cineasta del nuovo millennio. Questa volta, si sofferma su un dolente romanzo di formazione, un teen-road movie magico e semplice che evita ricatti emotivi e sentimentalismi. E, con ironia e affetto, definisce l'amicizia come un incontro tra solitudini e anticonformismi per affrontare gli ostacoli della crescita e del tempo.

7 - Mistress America - Noah Baumbach
Dopo Frances Ha e Giovani si diventa, la conferma del talento di Noah Baumbach di ritrarre personaggi femminili sfaccettati e contemporanei, che si affannano goffamente per essere al passo coi tempi e che faticano a rinunciare ai propri obiettivi. Le donne del regista newyorchese sono come le sorelle di Hannah di Woody Allen: romantiche e imperfette, confuse e felici, ma nell'epoca dei social network.

6 - Batman v Superman: Dawn of Justice - Zack Snyder
Lo onorano nell'unico modo che sanno fare: come soldato. L'assalto frontale della DC Comics alla leggerezza e alla solarità della Marvel, un kolossal capace di raccontare lo spirito del tempo attraverso un mondo cupo e soffocante. Due supereroi sull'orlo di una crisi di nervi, che si fanno guerra tra di loro, disorientati e impotenti di fronte al Male. Cadendo sul campo di battaglia, i nostri miti si trovano costretti a celebrare il funerale di Dio.

5 - Veloce come il vento - Matteo Rovere
Emozioni fuorigiri, personaggi iconici e indimenticabili, una grande storia famigliare tipicamente italiana ma raccontata con l'adrenalina del miglior cinema americano di genere e senza la retorica e il familismo nostrani. Matilda De Angelis è una vera e propria scoperta, Stefano Accorsi balza in testa nella classifica degli idoli assoluti: dopo il Leonardo Notte di 1992, il suo Loris detto "Ballerino" entra con prepotenza nell'immaginario collettivo.

4 - Tutti vogliono qualcosa - Richard Linklater
Un college movie apparentemente innocuo, godibile, divertente, più intelligente e meno nostalgico della media. Fino al finale, quando Linklater lascia i puntini di sospensione, non chiude, e fa cominciare un altro film, fuori campo, quello del risveglio dopo il sogno. E così, retroattivamente, ci si accorge della precisa capacità di un cineasta che sa raccontare i dettagli della crescita e incasellare i momenti di passaggio della vita con una sensibilità commovente. Frontiers are where you find them.

3 - Julieta - Pedro Almodovar
Dopo tre film anomali e poco riusciti, Pedro rispolvera il suo cinema di pura passione: non con un almodrama, ma con un drama seco. E, tranne qualche tema fin troppo risaputo (il sesso che lenisce il dolore), riflette sulle vite che abbandoniamo e su quelle a cui siamo costretti ad affidarci per ripartire. Un'opera sui cambiamenti, sui punto e a capo, spesso dovuti all'ineluttabilità del fato che paghiamo con il senso di colpa. Meravigliosa Adriana Ugarte. 

2 - The End of the Tour - James Ponsoldt
Folgorante gioco di specchi, stima reciproca e invidie tra lo scrittore David Foster Wallace e il giornalista David Lipsky. Riflessioni dolorose di un'anima fragile e geniale su successo, depressione e relazioni umane, delineando i contorni di un'America innevata di fast food, televisione e grandi magazzini. Il distacco tra noi stessi e gli altri, tra noi stessi e la realtà: sono solo parole, ma fanno male e tramortiscono.

1 - Steve Jobs - Danny Boyle
Terzo capitolo di Aaron Sorkin su uomini visionari e sulla contemporaneità, dopo The Social Network e Moneyball. Tre atti shakespeariani, cinici, senza cuore, travolgenti. Una canzone rap tradotta in immagini, parole mitragliate, vere e proprie rasoiate che attraversano uno dei personaggi più controversi e decisivi per quello che siamo oggi. La vita è sempre dietro le quinte: sul palcoscenico va in scena solo una versione dei fatti, quella più commerciabile e concorrenziale. 



Cannes e Dintorni 2016 - Parte Seconda: The Salesman, Neruda, Juste La Fin Du Monde

Non è stata una delle edizioni più esaltanti di Cannes e Dintorni quella di quest'anno. Troppi i grandi nomi assenti, presenti invece in Concorso: Olivier Assayas, Jim Jarmusch, Park Chan-wook, Jeff Nichols, solo per citare i più amati dal sottoscritto. Difficile, quindi, valutare le scelte della giuria presieduta da George Miller. Non ci hanno convinto certamente quanto la Palma d'oro né il Premio per la miglior sceneggiatura né quello per il miglior attore, assegnati entrambi a 'The Salesman' (voto 5) di Asghar Farhadi. La narrazione del regista iraniano di 'Una separazione' e 'Il passato' si è ormai standardizzata: Emad e Rana, una coppia di intellettuali di Teheran, sono costretti a trasferirsi in un appartamento precedentemente abitato da una prostituta, e un cliente di quest'ultima entra in casa e violenta la donna. Farhadi sottolinea insistentemente la formazione culturale dei due protagonisti: attori in procinto di mettere in scena 'Morte di un commesso viaggiatore', lui in particolare è anche un insegnante amatissimo dai suoi studenti, brillante e autorevole. Dopo il fattaccio, il film diventa un prevedibile viaggio negli inferi di Emad, che rivela un carattere inquisitorio, assalitore, vendicativo. Troppo forzato il parallelismo tra vita e teatro e, soprattutto, troppo ovvia la trasformazione di un personaggio costruito a tavolino, che appare soltanto un pretesto per riflettere su una cultura della violenza insita in ogni dimensione sociale. C'è da chiedersi, invece, come sia possibile che non fosse in Concorso ma "solo" nella Quinzaine des Réalisateurs 'Neruda' (voto 8) di Pablo Larrain. Un biopic anticonvenzionale, non un film su Pablo Neruda ma un'opera nerudiana nello spirito e nella poetica. L'impressione è di una pellicola enormemente ambiziosa, nello stile e nei contenuti: il regista cileno si lascia andare, a tratti, a un eccesso di manierismi e di barocchismi, compensati però da alcuni passaggi di puro cinema, capaci di flirtare con generi come il noir, il thriller politico e il western. Il film racconta di una caccia all'uomo: quella dell'ispettore Oscar Peluchonneau (interpretato da un magnetico Gael Garcia Bernal) nei confronti del poeta e senatore comunista. E la carta vincente risulta essere proprio l'assunzione del punto di vista di un uomo di stato, il suo flusso di coscienza dettato dal suo ruolo e dal desiderio di arrestare Neruda per conoscerlo. Suggestivo, discontinuo, onirico: un'allucinazione, un trip lisergico tra festini erotici e paesaggi metafisici. Delude, purtroppo, enormemente 'Juste La Fin Du Monde' (voto 4) di Xavier Dolan, incomprensibilmente premiato con il Grand Prix. Il ventisettenne regista canadese, dopo tanti bei film e un capolavoro emozionale come 'Mommy', adatta una piéce di Jean-Luc Lagarce e sprofonda clamorosamente in un kitsch fine a se stesso, inanellando una serie di scelte finte e artefatte: dagli asfissianti primi piani sui volti dei personaggi a una scelta musicale totalmente stonata e incongruente, questa volta per nulla funzionale (i Blink 182! Dragostea Din Tei!); dalla quantità fluviale di parole che si vomitano addosso i protagonisti a trovate registiche quasi imbarazzanti (il rossastro delle immagini nel finale per rimarcare la violenza emotiva a cui stiamo assistendo). Incredibilmente sprecato il cast di attori: Léa Seydoux, Marion Cotillard e Vincent Cassel sembrano le guest star di una narcisistica autoaffermazione di autorialità.

Emiliano Dal Toso



giovedì 16 giugno 2016

Cannes e Dintorni 2016 - Parte Prima: I, Daniel Blake, Bacalaureat, Sieranevada

Lunga vita a Cannes e dintorni, che ci permette di recuperare dopo poche settimane alcuni dei film presentati sulla Croisette, il nome del viale che costeggia il litorale della città della Costa Azzurra. Un'edizione caratterizzata da numerose polemiche, con buona parte della critica radical-chic inferocita per l'assegnazione dei premi da parte della Giuria presieduta dall'australiano George Miller. La Palma d'oro è andata a 'I, Daniel Blake' (voto 9) di Ken Loach: per molti, una decisione presa per non scontentare nessuno, un compromesso per dare risalto agli intenti nobili del film piuttosto che alla sua effettiva qualità. Beh, teniamocelo stretto il cinema del compagno Ken: il regista britannico è ancora l'unico cineasta in grado di coniugare l'impegno civile con una narrazione e un linguaggio popolari e universali. Il suo è un film che emoziona, commuove, indigna. Vibra. L'odissea di un uomo umile, con seri problemi di salute, che lotta contro la burocrazia statale per ottenere l'indennità di malattia o, perlomeno, il sussidio di disoccupazione è raccontata con un'energia e una lucidità che dovrebbero essere la colonna vertebrale di un'opera cinematografica: come spesso accade nel cinema di Loach, non mancano momenti più rilassanti e leggeri, ma risultano funzionali a coinvolgere e scuotere lo spettatore che altrimenti si troverebbe di fronte a un manifesto politico. E invece Ken utilizza la sfera privata per parlare delle contraddizioni della macchina pubblica, entrando nella gola e nel cuore di chi guarda. Per questo ho trovato davvero surreali le accuse di "film-comizio" proprio da parte di quei critici che fino a pochi anni fa esaltavano gli ingredienti di Loach: complimenti a Miller e agli altri giurati che se ne sono infischiati delle mode e hanno riconosciuto il valore di una pellicola bella, dolorosa, attuale. Uno dei due vincitori del premio per la miglior regia, 'Bacalaureat' (voto 7) di Cristian Mungiu, invece pecca un po' di coinvolgimento emotivo. L'autore rumeno riflette sulla forma mentis di corruzione e interessi personali che si è ormai appropriata non soltanto degli apparati statali ma anche dei comportamenti degli onesti cittadini. Nuovamente, l'obiettivo è raccontare un dramma famigliare per porre una lente di ingrandimento sulla Romania di oggi. Una Romania che, a dire il vero, non ci sembra tanto diversa dagli scandali dell'Italia, a cominciare da Mafia Capitale. Mungiu sembra indeciso tra due storie che fanno fatica a coniugarsi: quella di un padre disposto a tutto pur di garantire un futuro migliore in un altro Paese; e quella che denuncia un modus operandi che ha vinto e rappresenta ormai la normalità per ottenere servizi e assistenza. Il risultato è così un ibrido tra racconto morale e analisi sociale che non porta fino in fondo i suoi spunti di partenza. Meglio comunque Mungiu di 'Sieranevada' (voto 4) del connazionale Cristi Puiu. Tre ore lunghissime, interminabili, verbosissime di kammerspiel, in cui una famiglia allargata di Bucarest si ritrova per commemorare il patriarca da poco scomparso. Tre ore dove non accade praticamente nulla, al di fuori di molto poco interessanti dialoghi su politica interna e politica estera che si alternano a qualche scheletro nell'armadio, a qualche fantasma del passato e alle solite immancabili questioni di corna. La scelta suicida di Puiu è di adottare uno sguardo molto distaccato, evitando chissà perché di voler entrare in empatia con i personaggi. Lo spettatore si trova così costretto ad assistere a una pesantissima riunione di famiglia, dove non può neppure esprimere il suo dissenso o, almeno, inventarsi una scusa per alzarsi da tavola.

Emiliano Dal Toso