lunedì 29 aprile 2013

Riflessioni Spiazzanti: Il Pianto

Molte volte mi è capitato di guardare un film che non mi entusiasmasse particolarmente ma, ciononostante, di commuovermi all'improvviso. Recentemente mi è successo nel finale di 'Vita di Pi' di Ang Lee, quando il protagonista è costretto a dire addio a Richard Parker, la tigre che ha dovuto ammaestrare durante gli incredibili giorni passati su una zattera in mezzo all'oceano. E' una scena struggente, magnifica, credo la più emozionante che abbia visto sul grande schermo negli ultimi anni. E' solo un piccolo tassello di qualche minuto di un blockbuster di due ore, che, per il resto, è abbastanza godibile, più che altro grazie allo straordinario utilizzo degli effetti speciali. Anzi, la prima parte, ambientata in India, è alquanto indigesta. Ad ogni modo, non potrò mai dimenticare 'Vita di Pi' perchè è uno dei rarissimi casi in cui un'opera cinematografica mi abbia concretamente fatto scendere una lacrima. La prima volta fu a sei anni per 'Cool Runnings - Quattro sottozero' per la scena in cui i bobbisti giamaicani concludono la gara portando sulle spalle il loro vecchio bob scalcagnato. Crescendo, ho pianto sicuramente per la morte di Tom Hanks in 'Philadelphia' e per il commiato tra Kikujiro e Masao ne 'L'estate di Kikujiro'. Non mi ricordo bene a che punto, ho pianto anche per '30 anni in 1 secondo' con Jennifer Garner. Boh, non so perchè. Non mi sono mai fatto commuovere da Steven Spielberg, per quanto lo rispetti. 'The Wrestler'? Bellissimo, groppo in gola pesante, ma non mi sembra di aver pianto. Almodovar è un caso particolare, perchè di solito guardo i suoi film quando il mio stato d'animo è già sfigogrigio (per citare l'eccelso poeta che scrive gli oroscopi sulla 'Gazzetta Dello Sport') e, quindi, non vale. Insomma, questo per dire che negli ultimi tempi ho pensato al fatto che della bellezza oggettiva di un film, in fondo, non me ne frega niente. Vorrei emozionarmi sempre così tanto come in quei pochi istanti di 'Vita di Pi', anche se il resto del film mi fa cagare.

Emiliano Dal Toso





domenica 7 aprile 2013

Come Un Tuono

'Come un tuono' è un film che ha a che fare con le botte che prendiamo nella vita. Che non sono mai abbastanza, e dalle quali non possiamo assolutamente difenderci. Non possiamo programmarcela, la vita. E' un film che sa di polvere, dal primo magnifico piano sequenza con Ryan Gosling di spalle che sta andando a sfidare la sorte fino all'ultimo fotogramma di un figlio che corre con la moto per quelle maledette e sconfinate strade americane di provincia, che non danno soddisfazione mai ma non permettono altro che inseguire i nostri sogni persi. Derek Cianfrance supera il livello del precedente, e comunque ottimo, 'Blue Valentine', che parlava d'amor perduto e di ferite dell'anima. In 'The Place Beyond The Pines' (poetico titolo originale) si parla di eventi imponderabili, di difficili condizioni economiche, sociali, esistenziali, si parla di stringere i denti, e comunque non si sa se ce la fai, perchè il riscatto non è certezza ma è uno stato della mente, forse l'unico che ti permette di andare avanti. Ogni nostra azione, volontaria o involontaria, ha una sua conseguenza. Non c'è niente da fare, seppur imperfetto, noi amiamo questo cinema duro, passionale, che pone le basi del suo esistere su quell'idea, su quel miraggio che le emozioni e il gusto della narrazione siano per gli amanti quello che è il pane per gli affamati, quello che è l'amore per i sognatori. Perchè qualcosa la vogliamo far succedere, anche se sbagliata, anche se ci fa star male. E allora al diavolo ogni giudizio critico, ci entusiasmano addirittura per la monoespressività dell'amatodiato Gosling, che si mette a rapinare le banche per far crescere il figlio che fino all'altro ieri non sapeva di avere. Godiamo quando Bradley Cooper si trova a essere eroe per caso, suo malgrado, con il senso di colpa che lo devasta, con l'ideale di giustizia che deve essere tradito perchè altrimenti soccombi, perchè altrimenti ti mettono i piedi in testa, perchè altrimenti tanto vale farla finita. Che cosa resta. Di nuovo, sembra suggerirci il finale, resta il brivido dell'avventura, del viaggio, della strada. Alla ricerca di qualcosa che probabilmente non esiste. Per non toglierci la dignità, perchè abbiamo il dovere di prenderci tutto ciò che possiamo, seppur non abbastanza. Per farlo nostro, in nome dell'amore di chi c'ha creduto. Nel nome di un cinema che è illusione e romanzo, esattamente come lo sono i giorni nostri, tutti quanti passati a prendere a calci il muro e dopo, solo dopo, a rialzarci.

Emiliano Dal Toso