Partiamo da un presupposto: "Finalmente la felicità" non è di certo un film di alto livello. Non è nemmeno una commedia così riuscita o coinvolgente come i lavori che hanno segnato gli esordi di Pieraccioni. E' un film che possiede, e a sua volta provoca, una serie di sindromi. La prima sindrome che salta all'occhio dello spettatore ordinario è la cosiddetta: "Sindrome di Benigni", ovvero l'attore che con il suo nome può fare incasso al botteghino continua a far recitare gente incapace nei suoi film (come Nicoletta Braschi). I film di Pieraccioni sono, quasi sempre, recitati male e "Finalmente la felicità" non fa eccezione, anzi, è uno dei peggiori sotto questo punto di vista. La seconda sindrome riscontrabile nel film è la classica "Sindrome di Peter Pan". Il regista/attore aveva promesso di evolvere il suo personaggio con il passare degli anni, ma nell'ultimo film non c'è proprio niente di nuovo, Leonardo è il solito quarantenne single che non vuole crescere e si innamora di una sorella adottata a distanza, di vent'anni più giovane di lui (sic!). Terza sindrome è un effetto che riguarda non il film in sè, ma il giudizio che gli altri ne esprimono. La chiameremo "Sindrome di stroncatura". Ogni Natale, nel marasma di commedie fatte con lo stampo che escono nelle sale, ci deve essere almeno un film che viene stroncato più degli altri dalla critica. L'anno scorso era successo a "Natale in Sudafrica", distrutto per dare risalto a film come "Qualunquemente" e "La banda dei babbi natale" che lasciavano molto a desiderare sul loro livello qualitativo. Quest'anno sembra essere toccato a Pieraccioni finire sul banco degli imputati della critica. Si sono lette su di lui stroncature impietose e a volte anche cattive. Non mi sembra il caso di essere così accaniti, in fondo il film strappa delle risate in diversi momenti, non è una comicità intelligente ma piuttosto volgare; però, scenette come quella della mamma uccisa da Barbara Bouchet sono veramente ben riuscite. La "Sindrome Pieraccioni" riassume le tre sindromi precedenti, le ingloba e produce commedie perennemente simili le une con le altre con una colonna sonora di servizio, belle ragazze e il super modello di turno per accontentare il pubblico maschile e femminile, personaggi stereotipati e macchiettistici (Rocco Papaleo troppo esagerato e quasi mostruoso nel suo ruolo), una storia prevedibile con il lieto fine mieloso e ottimistico. La diagnosi finale è: un'altra stupida commedia italiana. Certo, se volete passare un'ora e mezza spensierata andate a vederla ma attenzione: il Cinema degno di questo nome è tutta un'altra cosa.
Alvise Wollner
Alvise Wollner
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