sabato 24 febbraio 2018

Oscar 2018: Pronosticoni

MIGLIOR FILM

Emiliano Dal Toso: la sfida è tra La forma dell'acqua e Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Mi sembra molto aperta, darei un 50 per cento a ciascuno. Tra i due, però, preferisco decisamente il film di Martin McDonagh, quindi dico Tre manifesti a Ebbing, Missouri.

Massimiliano Gavinelli:
Tre manifesti a Ebbing, Missouri è l'unico candidato che non cerca di estremizzare la forma a discapito del contenuto e sarà l'umore dei giurati a decidere se ciò sia un bene oppure un male. Opto per la seconda opzione e dico La forma dell'acqua, insidiato da Dunkirk che tuttavia dovrebbe prendersi qualche soddisfazione in ambito tecnico.

MIGLIOR REGIA

E.D.T.: chi la meriterebbe? Paul Thomas Anderson, che ne Il filo nascosto dà una lezione di regia sofisticata, elegante, sempre funzionale al contenuto. Chi è il più bravo? Christopher Nolan, che in Dunkirk realizza un prodigio tecnico. Chi vincerà? Guillermo del Toro, perché la sensazione è che Hollywood sia rimasta fin troppo incantata dai trucchi de La forma dell'acqua.

M.G.: si sfidano la cura maniacale del dettaglio di Paul Thomas Anderson, la direzione puntuale degli attori di del Toro e la maestosa invasività corale di Nolan. Tre registi formidabili e tutti meritevoli. Secondo me vincerà Christopher Nolan per Dunkirk.

MIGLIOR ATTORE

E.D.T.: la verità è che Daniel Day-Lewis meriterebbe di portarsi a casa il quarto Oscar. Ne Il filo nascosto è impressionante. Sarebbe un'uscita di scena da fuoriclasse assoluto, come un calciatore che vince un Mondiale e poi decide di ritirarsi. Ma noi speriamo che Daniel ci ripensi: e allora, potrebbe essere l'anno di Gary Oldman che ne L'ora più buia è un Winston Churchill altrettanto incredibile.

M.G.: vincerà Gary Oldman grazie alla sua interessante opera di immedesimazione e trasformazione, nonostante a mio avviso lo meritino l'espressività, la puntualità e l'innata capacità di esprimere il mondo con una smorfia di Daniel Day-Lewis.

MIGLIOR ATTRICE

E.D.T.: si ripropone la gara tra La forma dell'acqua e Tre manifesti: Sally Hawkins contro Frances McDormand. Dovrebbe vincere quest'ultima, premiata finora un po' dappertutto. Il mio cuore però batte fortissimo per Margot Robbie in Tonya: semplicemente immensa. Mi sembrano più staccate Saoirse Ronan e Meryl Streep.

M.G.: non dovrebbe esserci gara, Frances McDormand è favorita ed è giusto che vinca. Attenzione a Sally Hawkins, estremamente brava e potente nel suo assordante silenzio. Poche chance per la Robbie nonostante lo spessore dato alla sua Tonya. Saprà rifarsi in futuro.

MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA

E.D.T.: la categoria in cui mi sento di espormi maggiormente, perché tifo dichiaratamente per Sam Rockwell e sono convinto che riuscirà a portarsi a casa la statuetta. Il suo Dixon è uno di quei personaggi per cui amiamo il cinema. Al limite del patetico la presenza in cinquina di Christopher Plummer per Tutti i soldi del mondo, che ha sostituito in extremis il bandito Kevin Spacey.

M.G.: Sam Rockwell merita la vittoria. Il suo personaggio è uno dei più indelebili dell'anno, fortemente empatico e a tratti poetico. L'unico che potrebbe fargli le scarpe è il suo compagno di set Woody Harrelson. Intensità batte anzianità: vince Sam Rockwell.

MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA

E.D.T.: forse la categoria più equilibrata, non mi sento di escludere nessuna candidata. Le più brave sono Allison Janney per Tonya e Lesley Manville per Il filo nascosto. Qui però potrebbe farsi sentire la quota black: corsa al fotofinish tra Octavia Spencer e la sorpresa Mary J. Blige? La Spencer però lo ha già vinto, e allora rischio la Blige per Mudbound.

M.G.: bel duello in questa categoria tra due ruoli di donne forti grazie alle proprie debolezze e deboli grazie alle proprie forze, al limite costante di un autocontrollo necessario e irrinunciabile: le bravissime Allison Janney di Tonya e Lesley Manville de Il filo nascosto. Tifo per la prima, ma vincerà la seconda.

MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE

E.D.T.:
per simpatia e amore nei confronti del film mi verrebbe da dire The Big Sick. Più razionalmente dico Tre manifesti a Ebbing, Missouri, già vincitore alla Mostra di Venezia.

M.G.: meriterebbe la statuetta The Big Sick, per brillantezza e freschezza dello script. Può vincere La forma dell'acqua, una storia tutt'altro che nuova per quanto ben scritta, ma sono convinto che alla fine vincerà Tre manifesti a Ebbing, Missouri e ne sarò felice.

MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE

E.D.T.: meriterebbe la rocambolesca, geniale, inquietante storia del fallimento di successo di The Room al centro di The Disaster Artist. Qui però i fan di Chiamami col tuo nome potrebbero esultare: attenzione però, perché l'Oscar va a James Ivory e non a Luca Guadagnino.

M.G.: vincerà meritatamente Chiamami col tuo nome. Occhio soltanto alla possibile sorpresa Mudbound.

MIGLIOR FOTOGRAFIA

E.D.T.: voto Dunkirk, per distacco.

M.G.: il prontuario di illuminotecnica di Dan Laustsen (La forma dell'acqua) batterà la sostanza visiva di Hoyte Van Hoytema (che in generale resta secondo me il più bravo dei due). Molto indietro il Maestro Roger Deakins (Blade Runner 2049), la cui improbabile e - per una volta - immeritata vittoria non sarebbe tuttavia una sorpresa.

MIGLIOR MONTAGGIO

E.D.T.: Dunkirk, non ci sono dubbi.

M.G.: Dunkirk stramerita la statuetta. Non dovrebbe avere rivali e se ce li dovesse avere (unico rivale, anche qui, La forma dell'acqua) sarebbe un vero e proprio furto.

MIGLIOR FILM STRANIERO

E.D.T.: una cinquina che delizia i palati più cinefili. I miei preferiti sono L'insulto e Una donna fantastica. Ho amato anche Loveless, seppur non penso sia il capolavoro di Zvyagintsev. Il mio timore è che possa vincere il sopravvalutato The Square, già Palma d'oro a Cannes.

M.G.: L'insulto è straordinario e deve vincere. Non vedo alternative.




venerdì 23 febbraio 2018

Top 5: Febbraio 2018

5 - The Post - Steven Spielberg (voto 7)
Uno Spielberg che più classico non si può, nostalgico dell'impegno anni Settanta: coppia di rassicuranti star, indignazione, ode alla libertà di stampa. Ma il rischio è che la nobilissima confezione parli al passato più di quanto sembra, risultando oggi anacronistica: il miglior fantasy del regista americano? Difficile però non ammirare la precisione stilistica e la limpidezza del discorso politico e retorico, prosecuzione ideale dei precedenti Lincoln e Il ponte delle spie.

4 - Final Portrait - Stanley Tucci (voto 7)
Un'analisi dettagliata dei meccanismi e dei piccoli passaggi emotivi che caratterizzano la nascita di un rapporto di stima e amicizia tra due uomini sicuramente lontani, per età e carattere, ma legati da un reciproco fascino nei confronti delle rispettive debolezze. Geoffrey Rush è magistrale, capace di restituire tutte le nevrosi e gli imprevedibili colpi di genio e follia di un individuo solitario, un po' scorbutico ma pieno d'ironia, che forse ha soltanto necessità di un conforto e un abbraccio maschile.

3 - Hannah - Andrea Pallaoro (voto 8)
Costruita interamente sulla straordinaria potenza espressiva di Charlotte Rampling, un'opera rigorosa e sensibile, che descrive con minuzia di particolari il dolore quotidiano di una donna rimasta sola, evitando scene madri e psicodrammi isterici. Un'idea di cinema forte e precisa, chiara e adulta, all'altezza del confronto con autori come Michael Haneke e Tsai Ming Liang. Assurdo che si punti il dito proprio contro questo cinema italiano, finalmente libero da compromessi.

2 - The Disaster Artist - James Franco (voto 9)
La miglior espressione del genio irrefrenabile e spesso disordinato di James Franco, nei panni di Tommy Wiseau, regista pretenzioso e privo di talento oltre che individuo a dir poco misterioso. Un'esilarante e intelligente, debordante prova sul confine sottile che separa successo e insuccesso, bellezza e bruttezza, riflettendo sulla contemporaneità: l'abbattimento delle scale di merito e di valore, che permette a chiunque di avere le luci della ribalta, perché il sapore del trash spesso è più gustoso.

1 - Il filo nascosto - Paul Thomas Anderson (voto 9)
Il più sottile e raffinato lavoro di PTA, che riconosce i limiti della Settima Arte di poter spiegare e rappresentare le dinamiche relazionali e la complessità degli esseri umani. L'inafferrabilità e l'invisibilità sono ciò che legano lo stilista Woodcock e la sua musa, vittima, moglie e poi carnefice Alma: l'amore non è uno scontro, ma la tessitura di un intreccio che non segue un percorso logico e razionale. Il capovolgimento dei ruoli è continuo e imprevisto, ma la forza ipnotica del regista, ormai alla stregua dei più grandi di sempre (Kubrick, Hitchcock, Bergman), non ha eguali. Funzionale il supporto delle musiche di Johnny Greenwood.



giovedì 22 febbraio 2018

Oscar 2018: Miglior Film

Il filo nascosto - Paul Thomas Anderson 9
Forse il più sottile e raffinato lavoro di PTA, che ammette i confini e i limiti della Settima Arte di poter spiegare e rappresentare le dinamiche relazionali e la complessità degli esseri umani. L'inafferrabilità è ciò che lega lo stilista Woodcock e la sua musa, vittima, moglie e poi carnefice Alma: l'amore non è uno scontro, ma la tessitura di un intreccio che non segue un percorso razionale. Il capovolgimento dei ruoli è continuo, ma la forza ipnotica del regista, ormai alla stregua dei più grandi di sempre, non ha eguali. Fondamentale il supporto delle musiche di Johnny Greenwood.

Tre manifesti a Ebbing, Missouri - Martin McDonagh 9
In un paesino del Missouri razzista e indifferente, la tragedia si stempera improvvisamente con la risata, così come la commozione si nasconde anche dietro personaggi imbastarditi e senzadio, che si affannano per combattere contro un Male invisibile, ma forse sono soltanto alla ricerca di speranza e amore. Martin McDonagh è il miglior erede dei fratelli Coen, guarda a Fargo ma senza scimmiottarlo e permette a un terzetto d'attori inarrivabile (McDormand, Rockwell, Harrelson) di puntare all'Oscar.

Dunkirk - Christopher Nolan 7
L'autore Nolan non c'è più, lascia spazio ormai al tecnico prodigioso e all'architetto d'immagini: per vivere l'esperienza della guerra sul grande schermo, Dunkirk potrebbe non avere rivali nella storia del cinema. Ma poi che cosa resta? Niente di più di un grandioso intrattenimento: che sia poco o tanto, dipende dall'umore e dall'aspettativa di ciascuno. Un trip sonoro ancor più che visivo, un'opera dalla forma impeccabile, costruita ad arte, senza pathos ed epica.

L'ora più buia - Joe Wright 7
Enorme Gary Oldman nei panni di Winston Churchill durante la graduale presa di consapevolezza dell'impossibilità di negoziare la pace con "quell'imbianchino" di Hitler. Potere alla parola, scritta e parlata: la regia di Wright pecca di un eccesso di teatralizzazione ma sa costruire anche sequenze d'antologia, come quella nella metropolitana. L'odio contro il nazismo scorre potente nelle vene: in questo caso, un film giustamente non pacifista.

The Post - Steven Spielberg 7
Uno Spielberg che più classico non si può, nostalgico dell'impegno degli anni Settanta: coppia di rassicuranti star, indignazione, ode alla libertà di stampa. Ma il rischio è che la nobilissima confezione parli al passato più di quanto sembra, risultando oggi anacronistica: il miglior fantasy del regista americano? Difficile però non ammirare la precisione stilistica e la limpidezza del discorso retorico e politico, in linea con i precedenti Lincoln e Il ponte delle spie.

Chiamami col tuo nome - Luca Guadagnino 6
Nessuno come Guadagnino riesce a far vivere i luoghi e gli ambienti, a dargli un ruolo attivo e un significato sensuale: la provincia di Crema e la ricostruzione d'epoca meriterebbero da soli la visione. Ma la seconda parte del film non è narrativamente all'altezza della prima: l'evoluzione della storia d'amore non sorprende, e la patina indie è sempre dietro l'angolo. Osannato oltremisura anche da chi aveva massacrato Io sono l'amore e A Bigger Splash: come spesso accade, la verità sta nel mezzo.

La forma dell'acqua - Guillermo del Toro 6
Una storia d'amore tenerissima dai toni favolistici per una pellicola esteticamente straordinaria, ma dove non convince appieno l'elogio poetizzante della diversità. Probabilmente nelle mani del Tim Burton di un tempo sarebbe stato un capolavoro struggente con la giusta dose di sporcizia emotiva, in quelle di Guillermo del Toro è soltanto un ottimo prodotto ben confezionato, che può ingannare lo stesso pubblico che si è fatto incantare dalle ruffianerie di La La Land.

Lady Bird - Greta Gerwig 6
Mi è sempre piaciuta tanto Greta Gerwig, come attrice e personaggio, ma dal suo esordio dietro la macchina da presa era lecito aspettarsi qualcosa di più. Il suo romanzo di formazione ed emancipazione sentimentale è senz'altro sincero, privo però di una propria originalità e di uno sguardo davvero personale: gradevole, come tanti altri film indipendenti americani con gli stessi temi e le stesse sfumature. A brillare è soprattutto la sempre più matura Saoirse Ronan. 

Scappa - Get Out - Jordan Peele 5
Uno dei casi cinematografici della scorsa stagione americana, etichettato addirittura come film simbolo della fase post-obamiana, forse perché il regista Peele è noto per essere un eccellente imitatore dell'ex presidente. In realtà, la lettura politica dei sottotesti è fin troppo generosa: di per sé, è un horror curioso nella prima parte, maldestro e a tratti patetico nella seconda. Potrà essere attuale l'idea di partenza, ma lo sviluppo lascia francamente perplessi.