lunedì 26 dicembre 2011

Pearl Jam Twenty (voto 8)

Parlare dei Pearl Jam per il sottoscritto è parlare di uno dei grandi amori della propria vita. La mia passione per il rock è nata ascoltando per la prima volta quel famoso capolavoro grunge che porta il nome di 'Nevermind' all'età di quattordici anni, comprato in un negozietto milanese che ora non esiste più. L'ascolto dell'album più entusiasmante dei Nirvana è stato un evento fondamentale che mi ha portato conseguentemente a conoscere i cuginetti di Seattle, ai quali il biondino suicida non ha mai riservato troppa simpatia se non nelle ultime fasi della sua vita. Alcune sue dichiarazioni e molto altro vengono riportate nel bellissimo documentario di Cameron Crowe 'Pearl Jam Twenty', il quale ripercorre dalla fine degli anni 80 a oggi le vicissitudini della più grande rock-band degli ultimi vent'anni, appunto. Crowe è un cineasta che ama raccontare la provincia americana e i suoi sogni come pochi altri, riuscendo nei suoi film sempre a cogliere quello spicchio springsteeniano di realtà ma anche di ottimismo. Ha regalato a Tom Cruise forse le più belle interpretazioni della sua carriera ('Jerry Maguire', 'Vanilla Sky'), si è messo a nudo in quel delizioso spaccato seventies che è 'Quasi famosi', ha dato a Orlando Bloom un motivo per continuare a recitare dopo i vari signori degli anelli (l'altrettanto delizioso 'Elizabethtown'). Un documentario sui Pearl Jam è, dunque, grasso che cola per uno come lui. E il risultato è meravigliosamente coinvolgente. Viene utilizzato diverso materiale storico di repertorio dei primi anni 90 che rende onore a quello che è stato il grunge, uno status esistenziale, una concezione di vita più che un genere musicale. Si parte dai Mother Love Bone e dalla morte del cantante Andy Wood, dal loro scioglimento e dalla costituzione dei Pearl Jam con il giovane Eddie Vedder, passando per la magica collaborazione con Chris Cornell nei Temple Of The Dog, per la causa contro Ticketmaster per l'eccessivo prezzo dei biglietti dei concerti, per la drammatica morte di nove fan durante il concerto di Roskilde nel 2000, e si arriva all'ultima tournèe di 'Backspacer'. La grandissima forza di questa operazione è quella di raccontare la nascita, l'affermazione e la sopravvivenza di un gruppo completamente autentico nonchè forse l'unico che sia stato in grado a durare nel tempo dopo la morte di Cobain. Il senso di fratellanza, di amicizia e di unione che ha portato a creare il debutto di 'Ten' dopo la morte di Wood viene grandiosamente reso con testimonianze emozionanti ed emozionate e con immagini di grandissima potenza. E poi, ovviamente, ci sono le canzoni e le esibizioni. 'Pearl Jam Twenty' ha tutto questo, un documento storico per nulla agiografico, anzi, è un inno alla realizzazione di un sogno che mostra entrambi i lati della medaglia, con rispetto ma, in particolar modo, con passione. Quella passione che porta ad innamorarsi dei Pearl Jam e ai Pearl Jam di continuare a esserci negli anni.

Emiliano Dal Toso

Le Idi Di Marzo (voto 8)

Uno degli attori americani su cui gli spettatori nostrani hanno delle opinioni a dir poco discordanti è sicuramente George Clooney. Secondo le sue fan più agguerrite è l'uomo più bello del Pianeta, alcuni non lo possono proprio sopportare, altri ancora non riescono a capacitarsi come sia potuto stare insieme alla stessa donna di Bobo Vieri per così tanto tempo. Tutti pareri condivisibili o meno. Nessuno di questi riguarda però la professione di George Clooney. Il suo esordio come regista risale ai primi anni del Duemila con il film "Confessioni di una mente pericolosa", il quale ottiene un discreto successo di critica e lo spinge a continuare la sua carriera dietro la macchina da presa. Oscillando tra cinema d'autore ("Good night and good luck") e flop inguardabili (" In amore niente regole") quest'anno a Clooney è stato affidato l'onore e l'onere di aprire la Mostra del Cinema di Venezia. Il risultato è stato tutt'altro che deludente, anzi, è stato quasi sorprendente. "Le Idi di Marzo" è un film come quelli che si facevano una volta. Partendo dal testo teatrale "Farraguth North" di Beau Willimon, la storia concentra la sua attenzione sulla figura di Stephen Myers, giovane pieno di buoni propositi che si dedica a seguire come addetto stampa la campagna per le primarie del governatore democratico dell'Ohio, Mike Morris. Nel suo percorso di formazione scoprirà che il mondo che lo circonda è pieno di squali, sciacalli e iene pronti a elevarlo ai massimi livelli ma anche a distruggerlo con la stessa facilità. Sembra banale ma il merito di quest'opera sta quasi tutto in una sceneggiatura solidissima, senza sbavature, e nel suo cast stellare che va da Marisa Tomei, passando per Paul Giamatti e Philip Seymour Hoffman, fino a Evan Rachel Wood, e culmina in un Ryan Gosling magnetico, doppiogiochista e impeccabile nella sua performance. Clooney ha fatto un film perfetto quindi? Decisamente no. Mettere a nudo la corruzione politica descrivendola come un Mondo spietato e crudele è originale quanto dire di aver scoperto l'acqua calda, il regista non si prende nessun rischio tecnico-professionale, non osa e mantiene tutto sotto controllo trasformando il film in un ingranaggio dai movimenti perfetti, quasi mai fuori luogo. "Le idi di Marzo" non è certamente un'opera sperimentale ma in fondo cosa c'è di sbagliato nello rispolverare le vecchie tradizioni? Il divo americano è  riuscito a mescolare in modo intelligente il mondo della finzione con il mondo della realtà, in un film che potrete apprezzare lasciandovi affascinare dalla magia che solo il buio della sala è in grado di ricreare.

Alvise Wollner



sabato 24 dicembre 2011

Finalmente la felicità (voto 5)

Partiamo da un presupposto: "Finalmente la felicità" non è di certo un film di alto livello. Non è nemmeno una commedia così riuscita o coinvolgente come i lavori che hanno segnato gli esordi di Pieraccioni. E' un film che possiede, e a sua volta provoca, una serie di sindromi. La prima sindrome che salta all'occhio dello spettatore ordinario è la cosiddetta: "Sindrome di Benigni", ovvero l'attore che con il suo nome può fare incasso al botteghino continua a far recitare gente incapace nei suoi film (come Nicoletta Braschi). I film di Pieraccioni sono, quasi sempre, recitati male e "Finalmente la felicità" non fa eccezione, anzi, è uno dei peggiori sotto questo punto di vista. La seconda sindrome riscontrabile nel film è la classica "Sindrome di Peter Pan". Il regista/attore aveva promesso di evolvere il suo personaggio con il passare degli anni, ma nell'ultimo film non c'è proprio niente di nuovo, Leonardo è il solito quarantenne single che non vuole crescere e si innamora di una sorella adottata a distanza, di vent'anni più giovane di lui (sic!). Terza sindrome è un effetto che riguarda non il film in sè, ma il giudizio che gli altri ne esprimono. La chiameremo "Sindrome di stroncatura". Ogni Natale, nel marasma di commedie fatte con lo stampo che escono nelle sale, ci deve essere almeno un film che viene stroncato più degli altri dalla critica. L'anno scorso era successo a "Natale in Sudafrica", distrutto per dare risalto a film come "Qualunquemente" e "La banda dei babbi natale" che lasciavano molto a desiderare sul loro livello qualitativo. Quest'anno sembra essere toccato a Pieraccioni finire sul banco degli imputati della critica. Si sono lette su di lui stroncature impietose e a volte anche cattive. Non mi sembra il caso di essere così accaniti, in fondo il film strappa delle risate in diversi momenti, non è una comicità intelligente ma piuttosto volgare; però, scenette come quella della mamma uccisa da Barbara Bouchet sono veramente ben riuscite. La "Sindrome Pieraccioni" riassume le tre sindromi precedenti, le ingloba e produce commedie perennemente simili le une con le altre con una colonna sonora di servizio, belle ragazze e il super modello di turno per accontentare il pubblico maschile e femminile, personaggi stereotipati e macchiettistici (Rocco Papaleo troppo esagerato e quasi mostruoso nel suo ruolo), una storia prevedibile con il lieto fine mieloso e ottimistico. La diagnosi finale è: un'altra stupida commedia italiana. Certo, se volete passare un'ora e mezza spensierata andate a vederla ma attenzione: il Cinema degno di questo nome è tutta un'altra cosa.

Alvise Wollner

giovedì 22 dicembre 2011

Christmas Movie: Una Poltrona Per Due

"Pensavi che mi fossi dimenticato la gratifica natalizia? Eccoti cinque dollari." "Grazie, con questi ci vado al cinema. Da solo."
Vaffanculo al Natale. Vaffanculo a Mediaset e alla sua programmazione televisiva che ogni anno ripropone in prima serata spacciandola come una commedia "per tutta la famiglia" uno dei film più fieramente rossi che siano mai stati girati da un regista americano nonchè uno dei miei dieci capolavori preferiti di ogni tempo. 'Una poltrona per due' è rosso ma di quel rosso profondo che ha a che fare con i colori della rivoluzione, dell'anticapitalismo e dell'anticlassismo piuttosto che con quello babbonatalizio delle palline da mettere sull'albero. Il compagno John Landis gira col pugno alzato dalla prima all'ultima sequenza, innevando ogni gag, ogni invenzione comica di un sottotesto politico decisamente schierato. Il fatto che 'Una poltrona per due' abbia la leggerezza e la grazia della miglior tradizione della commedia americana non fa altro che testimoniare il genio e l'abilità narrativa di un regista strepitoso. Ecco chi era John Landis. L'uomo che ha lanciato nell'olimpo degli dei della comicità John Belushi e che ha rivelato la forza dirompente di un caratterista come Eddie Murphy. L'attore afroamericano non ha mai ritrovato nella sua carriera un ruolo così meravigliosamente congegnato e trascinante come quello del senzatetto che diventa un genio della finanza. Così come Dan Aykroyd si ricorda soprattutto per 'The Blues Brothers' e per questo personaggio teneramente ingenuo e inconsapevole, molto di più che per 'Ghostbusters' nel quale Bill Murray avrebbe rubato la scena anche a Marlon Brando. 'Una poltrona per due' rappresenta il graffio punk di un raffinato umorista nei confronti del sistema economico occidentale e va contestualizzato in una America nella quale il partito repubblicano di Ronald Reagan ha appena sbaragliato i democratici di Jimmy Carter. Quel conservatorismo che ha fatto sì che i ricchi diventassero sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, che le differenze sociali acquisissero distanze abissali viene completamente abbattuto e devastato all'interno di una sceneggiatura clamorosa nella quale i banchieri sono sodomizzati da gorilla e un maggiordomo, una prostituta e un homeless ribaltano i meccanismi del sadismo sociopolitico. Non c'è miglior vendetta del finale in cui le due marionette si ritrovano al posto dei burattinai e l'unica fine possibile per i due fratelli capitalisti non può che essere impietosa e fatale. La lievità, la forza popolare della comicità contenitrice di contenuti rivoluzionari e beffardi sono la spina dorsale di un capolavoro degno di essere posto al fianco delle filmografie di Frank Capra, Billy Wilder e Peter Bogdanovich. L'irrefrenabile continuità dei numeri comici sedimentati su motivi classisti e razziali appare ancora oggi senza eguali, in equilibrio miracoloso tra demenzialità e sarcasmo. Ecco chi era John Landis e Buon Natale a tutti quanti.

Emiliano Dal Toso

martedì 20 dicembre 2011

Christmas Movie: L'Ultimo Capodanno

Quando ero più giovane, l'abuso di droghe leggere non aveva ancora iniziato a provocarmi crisi di panico, anzi, esaltava la mia euforia. In quel periodo, un paio di sere, intorno alle cinque del mattino, mi è capitato di vedere questo film. Oggi lo rivedo per poterne inserire una recensione più o meno ragionata in questa rubrica natalizia. Il film racconta storie diverse che si intrecciano all'interno dello stesso edificio durante la notte di capodanno. Persone diversissime con storie altrettanto diverse e indipendenti tra di loro, sommano le piccole e grandi complicazioni delle loro piccole vite in una escalation irreversibile di caos e distruzione in cui tutti finiscono per trovarsi coinvolti. Una famigliola felice, tre ladri, due giovani scapestrati a caccia di emozioni nuove, una coppia che scoppia e altre strane situazioni. Tanto strane quando paradossalmente verosimili. Marco Risi (sì, suo padre si chiama Dino) raccoglie attorno a sé un cast lunghissimo; attingendo dal sottobosco cinematografico italiano che sta sul confine tra fiction e cinema vero, riesce a selezionarne gli elementi migliori, creando una piccola opera corale e grottesca. Consigliatissimo agli amanti del genere, piacevole per tutti gli altri. Finale assurdo.

Giancarlo Mazzetti


lunedì 19 dicembre 2011

Christmas Movie: Mamma Ho Perso L'Aereo

Il Natale si sta avvicinando, inesorabile e magico come ogni anno. La neve ricopre strade, case e alberi. Le luci sono accese, sfavillanti, nella grande casa della famiglia McCallister a Chicago. Un vociare festoso e chiassoso pervade le stanze, domani tutti partiranno per Parigi, ma nella fretta si dimenticheranno a casa il piccolo Kevin, otto anni. Nel frattempo due malviventi da strapazzo proveranno a svaligiare la bianca villetta, ma se ne pentiranno amaramente. Una delle commedie cult degli anni Novanta parte da uno spunto narrativo molto semplice, o meglio, parte da una sensazione. Una sensazione che tutti noi abbiamo provato almeno una volta nella vita: quella di aver dimenticato qualcosa dopo essere partiti per un lungo viaggio. Chi di noi non ha mai detto: "Ho come la sensazione di essermi dimenticato qualcosa, ma non ricordo cosa." Certo se si lascia a casa lo spazzolino è un conto, ma lasciare solo durante le vacanze di Natale il proprio figlio di otto anni è tutta un'altra storia. "Mamma ho perso l'aereo" si basa sulla pura impossibilità di quello che lo spettatore vede sullo schermo. Tutte le azioni che i protagonisti compiono durante il corso del film, non potranno mai succedere nella vita reale. Lo si capisce nel folgorante dialogo che Kevin ha con il direttore e la cassiera del supermercato in cui va a fare la spesa. Davanti alla raffica di domande che i due gli pongono lui risponde pacato: "Oh andiamo signori, ho otto anni come posso essere venuto fin qui da solo??" Quando il film uscì nelle sale cinematografiche, vent'anni fà, nessuno aveva previsto il successo mondiale che la pellicola avrebbe riscosso e ancora oggi gli esperti USA stanno cercandone le ragioni. Un po' come successe in Italia con "Il ciclone" di Leonardo Pieraccioni. La forza di questa strepitosa commedia non è da ricercare nel suo miscuglio di buffoneria violenta, nella farsa slapstick o nel saccarosio tipico della commedia familiare. Quello che la rende speciale è l'aver reso realistica una storia assolumente impossibile, capace di far rimanere lo spettatore incollato alla sedia per un'ora e quaranta. Il film fu scritto dal produttore John Hughes e diretto, con indiscutibile mestiere, dal veterano Chris Columbus. I tempi comici sono perfetti, le battute brillanti e folgoranti, il cast è superlativo e su tutti emerge il fenomeno Macaulay Culkin, il biondo bambino prodigio che verrà travolto da un successo troppo grande per la sua giovane età. Ne venne quasi subito fatto un sequel, girato a New York, di discreta fattura, e ancora oggi i due film sono un classico della programmazione televisiva durante le vacanze di Natale. Un film insomma da vedere e rivedere, in famiglia o con gli amici, per la sua capacità di non passare mai di moda. "Mamma ho perso l'aereo" è una commedia per famiglie senza la famiglia e  ci dice che la vita va affrontata con il sorriso e con la spiazzante semplicità che solo i bambini riescono ad avere. Forse è proprio questa la chiave del suo successo.

Alvise Wollner

sabato 17 dicembre 2011

Christmas Movie: Vacanze Di Natale 95

Sono contento che Emiliano mi abbia chiesto di scrivere di Vacanze Di Natale '95, in primo luogo perchè sono un appassionato del genere, e poi perchè voglio bene a Emi e so che il film in questione è uno dei suoi preferiti della serie. Stringiamo sulla trama. Siamo ad Aspen, Colorado, la Cortina U.S.A., coi i suoi arricchiti e i suoi troioni. Christian vuole riconquistare la moglie americana che lo ha piantato perchè esasperata dalla sua passione per il gioco d'azzardo. Nel tentativo, ovviamente si fa perdonare, ma poi si sputtana tutti i soldi con un certo Paolone, il quale è disposto ad annullargli il debito se il nostro gli concederà sua moglie. Massimo è in vacanza con la figlia, Cristiana Capotondi versione superteen, che lo ha trascinato ad Aspen nella speranza di incontrare Luke Perry, in questo frangente nel ruolo di se stesso, all'epoca grande idolo sexy delle ormonose di tutto il mondo per il suo personaggio Dylan nella serie Beverly Hills, che noi tutti ricordiamo. Oggi verosimilmente trenta chili di più, il fegato di un'oca francese e le narici bruciate. Vabè. Comunque, come al solito le due storie si intrecciano e arrivano le fantastiche gags che tutti sappiamo ("Tutte troie, tutte troie", "Sto a cercà mi moje ch'è 'n pezzo de fica e ho trovato te che sei 'n frocio chi'i baffi", and much more). 1995. Il periodo storico è quello di un'Italia non ancora consapevolmente berlusconiana, semmai post-craxiana, che poi è qualcosa di tanto simile, in realtà. Un periodo che tra alcuni anni la storiografia accrediterà come uno dei più difficili del secolo scorso per questo Paese. Però echi di quella attualità non ce ne sono nel film, al massimo ancora un vago senso di anni Ottanta, che però sono andati da mò. Da questo punto di vista si può dire che VdN95 non ha bisogno di ancoraggi al presente, è buono sempre; molte delle cagate che fanno Max e Christan fanno ridere oggi e faranno ridere anche tra quarant'anni, in maniera universale. Ecco perchè il film, e tutto il filone, sono decontestualizzabili e destrutturabili. Quanti di noi vanno su youtube a vedere singole scene e si spanciano... E quelle scene sono validissime anche da sole, anche senza conoscere l'anno di uscita del film, o il resto della trama. Il clan degli sceneggiatori e del regista pesca nella commedia latina classica col tema dello scambio (lo "scangio" direbbe il maestro Camilleri) e con gli equivoci, come spesso fatto prima e dopo questo film. E qui bisogna dire che in altri titoli l'operazione è riuscita meglio (capolavoro assoluto in tal senso: Natale a Rio). Comunque, nella circostanza specifica, grandissimo Christian e grandissimo Massimo, alla pari. Mai capite le critiche a questo cinema. Due riflessioni. 1) Il perchè del successo di questo film e degli altri della serie. Non credo che questi film avrebbero successo in Francia. Non credo che gli italiani siano più stupidi dei francesi. Semplicemente gli italiani sono dotati di una autoironia granitica, che quella non la tiri giù neanche a picconate. Ci piace vederci presi in giro, rielaboriamo, ci ridiamo su, serenamente. E questo è molto bello, e questo cinema fa tutto questo. 2) I cinepanettoni (mi fermo a Rio, gli ultimi fanno obiettivamente schifo) sono film onesti, non hanno pretese, fanno quello per cui sono stati fatti e basta. Zero interpretazioni, quello che c'è te lo prendi; e d'altra parte sei andato a vederli apposta. Ripeto, mai capite le critiche a questi film. Non si legge Fabio Volo per poi dire: «Certo che però Dostoevskij era meglio». Dopo essere stato con una puttana non le si dice: «Maccàzzo, vuoi essere pagata?!»

Ivan Brentari

venerdì 16 dicembre 2011

Midnight in Paris (voto 7)

Con questa recensione iniziano una serie di collaborazioni da parte di alcune delle più grandi menti della mia generazione.

Alcuni studiosi di filosofia sostengono che, effettuate le dovute riduzioni, la storia del pensiero si potrebbe sostanzialmente ridurre alla contrapposizione tra chi è platonico e chi è aristotelico; questi sarebbero due modi fondamentali di concepire il mondo a cui nessuno può sottrarsi. Allo stesso modo, io (più modestamente) credo che il mondo del cinema si divida tra le persone a cui piace Woody Allen e quelli a cui non fa alcun effetto. Per quanto mi riguarda, appartengo sicuramente al primo gruppo, ma con moderazione: non ho mai trovato spiacevole un film di Allen, ma non ho mai gridato al capolavoro (anche se con Match Point ci sono andato vicino); diciamo che la scala all'interno del quale lo colloco è tra il carino e il molto carino, con tutte le sfumature intermedie. In quest'ottica, Midnight in Paris è piuttosto carino. Parlando degli utimi suoi lavori, meglio di Scoop e Vicky Cristina Barcelona, ma meno bello di Sogni e delitti. Il film contiene un solo vero grande concetto (e del resto quando si ha una media di 1,17 film all'anno negli ultimi ventinove anni, non è che se ne possano mettere molti di più), che è la seguente domanda: quando crediamo che potremmo vivere un'esistenza migliore se vivessimo in un altro luogo, o in un altro tempo, ci illudiamo? La risposta del cineasta è incerta, perché incerto è il vagare dell'uomo in questo mondo. Se Adriana (Marion Cotillard) sceglie di inseguire l'illusione, l'uomo contemporaneo sa che non cambierà nulla e deve rinunciare al cambiamento radicale. Tuttavia egli, Gil (Owen Wilson), non può accettare di rinunciare completamente al tentativo e finisce, pur restando nel suo tempo, col rimanere a Parigi. In Gil convivono il pessimismo più radicale della teoria razionale (che emerge nella sua reazione alla decisione di Adriana) e il sottile ottimismo latente dell'agire umano, che in fondo non è in grado di rinunciare del tutto alla speranza. Il finale, apparentemente lieto, si rivela a mio avviso come il segnale di un circolo vizioso al quale siamo condannati: speranza nell'amore, delusione nella vita, diperazione, di nuovo speranza e così' via. Bravo Wilson, bella Marion Cotillard. Bruttissima Carla Bruni.

Giancarlo Mazzetti



mercoledì 14 dicembre 2011

I Film Dell'Anno Degli Amici e Lettori

Potremmo essere noi quello sbaglio.
Per un soffio, il film preferito dagli amici e lettori risulta essere Melancholia (bella rivincita dopo l'esclusione, sofferta, dalla Superclassifica), che con 5 voti prevale su The Artist e Midnight in Paris (4 preferenze). Con 3 voti troviamo The Tree Of Life e Il Cigno Nero, mentre con 2 ci sono Carnage, This Is England, Il Discorso Del Re, Habemus Papam e Faust. Seguono tredici film con 1 voto, ovvero le chicche, quelli che pochi fortunati hanno visto ma che valgono altrettanto.

Alvise Wollner

The Tree Of Life:
Universale
The Artist: Magistralmente Nostalgico
Una Separazione: Tremendamente Umano

Andrea De Poli
The Tree Of Life:
Unico e Inimitabile
The Artist: Coraggioso, Ben Ritmato e Frizzante
Melancholia: Prorompente

Angelica Gallo

Midnight In Paris:
Poetico
Melancholia: Pura Arte
Almanya: Inaspettato

Filippo Festuccia
Il Discorso Del Re:
da ogni punto di vista (trama, recitazione, comparto tecnico), il film migliore della stagione, Colin Firth immenso.
I Tre Moschettieri: così trash che scavalla e diventa strepitoso, a modo suo la perfetta sintesi di cosa è Hollywood (e la cultura pop) oggi.
Midnight In Paris: Allen colpisce ancora, non solo un gran film ma la fotografia di un'età d'oro.

Francesco Bagnoli
Il Cigno Nero:
una dose di Aronofsky in vena per incubi bellissimi.
Habemus Papam: umorismo surreale miscelato a drammi esistenziali e condito da cinismo. Abbiamo Nanni.
Warrior: vite parallele: i migliori gladiatori bevono Coca Cola. E questa è Sparta.

Jacopo Conti
Habemus Papam:
pungente, piacevole e corretto. L'ironia di Moretti è ai massimi livelli, perfettamente amalgamata ad una ricostruzione realizzata con precisione (sottolineata, tra l'altro, da esponenti del Vaticano stesso). Peccato per il finale in sospeso.
The Tree Of Life: molto pretenzioso, forse troppo. Finisce con l'essere un film doppio: una parte - quella legata al microcosmo familiare - bellissima, con un ottimo Brad Pitt; l'altra - quella riferita all'infinito, allo spazio e alla dimensione onirica - più potente dal punto di vista dell'immagine ma meno puntuale e, forse, eccessiva.
Carnage: il teatro dentro il cinema. Due coppie di genitori si incontrano per discutere di un litigio tra i rispettivi figli; dall'iniziale falsa formalità dei rapporti, gradualmente, ci si ritrova dentro una isterica e amaramente divertente lite vera e propria. Consigliato agli amanti dei dialoghi di qualità.

Juxhin Myzyri
Midnight In Paris:
Rinocerontesco
Enter The Void: Extra-Vagante
Il Cigno Nero: Sottocutaneo, Ossessionante

Linda Grazia Pola
Il Cigno Nero:
Terribilmente Profondo
This Is England: Agrodolce
Carnage: Geniale

Luca Recordati
The Artist:
Lo Splendore
Melancholia: L'Angoscia
Faust: La Cupezza

Martina Pattonieri

L'Ultimo Terrestre:
l'incapacità di comunicare dell'uomo moderno come tesi di partenza per un film imperfetto ma incredibilmente sincero, surreale e spiazzante. La rappresentazione della natura umana, anche e soprattutto quella brutta, gretta e borderline, porta lo spettatore a confrontarsi con se stesso e con la società marcia in cui vive. Alcune sequenze e dialoghi (grazie Herlitzka) puramente geniali.
Melancholia: cinema come terapia per le nostre innate fobie e ansie, Lars ci ha abituati così. E qui si soffre, ci si angoscia e ci si deprime per tutta la durata della pellicola. Un film che vale la pena d'essere visto anche solo per gli incredibili tableau vivant iniziali e per il finale apocalittico. Cinema puro e fragile, bello.
L'Amore Che Resta: la morte che attrae e repelle, una storia d'amore impossibile, breve quanto intensa, tra due adolescenti fuori dal comune. La riflessione di Gus Van Sant si concentra sul legame ancestrale di amore e morte, ed emerge attraverso un fitto intreccio di simboli e citazioni che percorrono immagini e parole. I dialoghi scarni e taglienti fendono le scene pulite, geometricamente perfette, sullo sfondo di un freddo autunno americano.

Massimiliano Gavinelli
The Artist:
Il Nuovo Paradigma Di "Gemma"
Ruggine: Impeccabilmente Perfetto
Melancholia: Le Visioni Di Un Folle Esteta

Marco Sereno Dal Toso
This Is England:
Anticonformista e Realistico
I Primi Della Lista: Fantasioso e Garbato
Il Ragazzo Con La Bicicletta: Duro e Commovente

Melis Rossi
Miracolo a Le Havre:
Essenziale
Non Lasciarmi: Disturbante
Il Discorso Del Re: Perseverante

Paolo Quaglia
Faust:
cinema ai livelli più alti con contaminazioni di poesia.
Che Bella Giornata: lo spaccato sociale in chiave ironica dei primi anni zero.
Midnight In Paris: La Malinconia




lunedì 12 dicembre 2011

La Superclassifica Dell'Anno - 2011

Non l'hai messo dentro finchè non l'hai messo dentro.
Il momento è arrivato. E' vero che deve ancora uscire Clooney ma io uno che ha condiviso la stessa donna con Bobo Vieri non posso che squalificarlo a priori, se va bene posso metterlo fuori concorso. Ovviamente, ci sono delle esclusioni dolorosissime ma l'annata è stata ottima.

12 - One Day/Zack And Miri Make A Porno - Lone Scherfig/Kevin Smith

I due lati della medaglia. Amore e amicizia nelle loro derive melodrammatiche e dementi. La forma è agli antipodi ma la sostanza, il cuore è solo uno. One love.

11 - L'Ultimo Terrestre - Gian Alfonso Pacinotti

Primo tempo da 10, secondo da 5. Il volto allucinato e alienato dell'incredibile Gabriele Spinelli è quello di un Paese sputtanato e collassante. Se ancora non mi ammazzo è grazie al cazzo.

10 - Midnight In Paris - Woody Allen
Un inaspettato colpo d'ala. Woody trova il suo miglior alter-ego di sempre e torna ad affondare la commedia con la lama. Nostalgico, consapevole, per nulla rassicurante. What A Wonderful World.

9 - L'Amore Che Resta - Gus Van Sant

Mal di pancia e batticuore. Gus conclude il suo discorso su adolescenza e morte con una grazia autunnale e malinconica, cupissima e tenera. I will follow you into the dark.

8 - Warrior - Gavin O'Connor

Botte, santi panettoni. L'opera lirica più adrenalinica, il cinema più classico, coinvolgente ed entusiasmante possibile. Tom Hardy è una forza della natura. Eat you alive.

7 - The Artist - Michael Hazanavicius

Dove tutto ebbe inizio. Una spallata alle noiosissime tre dimensioni, andava bene anche se non fosse stato un film così brillante e irresistibile. Ma lo è. One Step Beyond.

6 - Habemus Papam - Nanni Moretti
La grande fuga. Moretti è una spanna sopra, un'altra categoria. Visionario, profondo, esilarante. Sono il migliore, me lo dicono sempre tutti.

5 - Il Ragazzo Con La Bicicletta - Fratelli Dardenne
Solo contro tutti. I Fratelli Dardenne smussano la loro pesantezza e regalano cinema puro e incontaminato. Leggiadro, autentico, struggente. Somewhere I Belong.

4 - This Is England - Shane Meadows

Shane Meadows, uno di noi. Il racconto di chi siamo, da dove veniamo e a cosa non andiamo incontro. Il rumore punk della fratellanza e del rifiuto. Nel silenzio un urlo che stordisce.

3 - A Dangerous Method - David Cronenberg

Destabilizzante. Conosco più gente che ha rifiutato questo film di quanta abbia votato Berlusconi. Nevroticamente erotico e anticonvenzionale. Have you ever been hated or discriminated against? I Have.

2 - Miracolo a Le Havre - Aki Kaurismaki
Poesia allo stato brado. Kaurismaki si fa beffa dello schifo intorno e pugnala il cinismo con la gioia di vivere e il rock dell'uomo della strada. You Shook Me All Night Long.

1 - Il Cigno Nero - Darren Aronofsky

Fuori di testa. Darren Aronofsky è fuori di testa. La forza immaginifica del cinema sporcata e violentata sulle punte sanguinanti della donna più bella del mondo e dei suoi incubi e delle sue ossessioni e niente è più vero. Se la mia pelle è in fumo, la tua soffoca.

Attore Dell'Anno: Owen Wilson (Come lo Sai, Libera Uscita, Midnight In Paris)

Amabile. Un uomo amabile che suscita simpatia naturale, al quale vorresti raccontare le cazzate e le delusioni. Quando un sorriso racconta un mondo.

Attrice Dell'Anno: Natalie Portman (Il Cigno Nero)

Il corpo. La vittima sacrificale perfetta per il genio debordante di un pazzo strepitoso. La donna più bella del mondo e la sua interpretazione violenta, indelebile.







Le Delusioni Dell'Anno - 2011

E' tempo di relax, è tempo di Santori.
Anticipo un po' i tempi ma d'altronde forse questo è il principale motivo per cui ho aperto sto robo. Da qui a Natale mi sbizzarrisco con classifiche e film natalizi. E, inoltre, annuncio clamorosamente che ci saranno collaborazioni. Ripeto, collaborazioni. Cominciamo con le cacate.

3 - This Must Be The Place - Paolo Sorrentino
Sorrentino resta il miglior regista italiano oggi ma il suo debutto internazionale è troppo programmatico e paraculo. Che ci vuole ad andare in America e a parlare di rockstar depresse e di lobby ebraiche? Una descrizione della provincia americana già vista mille volte, un Sean Penn alquanto indigesto. Dai Paolo, la prossima volta andrà meglio, anche senza i Talking Heads.

2 - Ladri Di Cadaveri - John Landis
Il genio della comicità demenziale e caustica scoppiato, scoppiatissimo. Uno di quei casi nei quali l'imbarazzo prevale sulla onesta, semplice bruttezza. Gags e situazioni comiche fuori tempo massimo, anacronistiche, di chi si è perso completamente cosa sia successo da 'Tutti pazzi per Mary' in poi. Un commiato doloroso di uno dei più grandi registi di sempre.

1 - La Pelle Che Abito - Pedro Almodovar
Siamo alla farsa. Pedro prende l'insana decisione di parodiare il suo cinema e ogni passaggio, ogni frammento diventa involontariamente esilarante. L'indiscreto fascino per l'orrore di un meraviglioso autore sull'orlo di una crisi di nervi. Peccato davvero, anche perchè Elena Anaya è una chica niente male ma Banderas, invece, è aldilà del bene e del male.

Peggior Attore: Antonio Banderas (La Pelle Che Abito)
Aldilà del bene e del male. Una sola espressione in un film del tutto sbagliato e paradossale.

Peggior Attrice: Paola Cortellesi (Nessuno mi può giudicare)
Una delle grandi incomprensioni del cinema italiano. Una buona comica scambiata per la Julia Roberts de borgata.




giovedì 1 dicembre 2011

Miracolo a Le Havre (voto 10) IL FILM DEL MESE

Come d'incanto, il cinema torna prepotentemente a regalare opere grandiose, destinate a durare e a fare la Storia. Come d'incanto, assistiamo a qualcosa che in modo indelebile segnerà le nostre esistenze, qualcosa sulla quale tornerà la nostra memoria per riassaporare i colori, le suggestioni e le emozioni che incendiano l'ultimo lavoro del regista finlandese Aki Kaurismaki, 'Miracolo a Le Havre'. Siamo di fronte al terzo grande capolavoro del nuovo decennio, dopo 'The Social Network' e 'Il Cigno Nero'. Se questi due sono espressioni della realtà circostante, degli incubi e delle ossessioni, delle relazioni virtuali e ipotetiche che caratterizzano il nostro vivere odierno, il film di Kaurismaki rappresenta la realtà come vorremmo che fosse, nella nostra utopia con la quale siamo cresciuti e che ha formato i nostri sogni, i nostri amori, le nostre speranze ultime a morire. Sembra un mondo parallelo quello raccontato da Aki, un mondo costruito con i materiali nostri preferiti, la solidarietà, l'umanità, l'amicizia, l'amore. Un mondo, però, fortemente ancorato all'attualità e all'antropologia che costituiscono la spina dorsale della società capitalista e classista: l'immigrazione, l'emarginazione sociale, la povertà sono la base narrativa del cinema di Kaurismaki. Il fatto che Aki abbia smussato tutte le imperfezioni ermetiche e non sempre intelleggibili delle sue opere precedenti ('L'uomo senza passato', 'Le Luci Della Sera'), abbia sostituito la riflessione esistenzialista con quella utopistica (e non favolistica, come ho letto in diversi commenti) e si sia completamente abbandonato a un ideale assoluto, testimoniato dal cognome del protagonista, non è un caso. Non è un caso che nel momento storico della presa di consapevolezza dell'abbandono di ogni impegno socio-politico, nel momento storico in cui i punti di riferimento per un mondo migliore sono Obama e Steve Jobs, Kaurismaki si sia voluto rifiutare in maniera categorica di aderire anche solo narrativamente a un compromesso così demolente. 'Miracolo a Le Havre' è, sotto tutti i punti di vista, una vera opera rock, concepito così come lo urla Jack Black in 'School of Rock': la vendetta nei confronti del potente. E, infatti, sono meravigliosamente coerenti, vivi, energici, puri i cinque minuti abbondanti che il regista dedica per riprendere l'esibizione di Little Bob, un ex cantante in declino che potremmo ritrovare tranquillamente sbronzo nel bar sotto casa. L'universalità è un'altra componente fondamentale di 'Miracolo a Le Havre': una storia che poteva essere raccontata da Chaplin e che si sarebbe potuta ambientare a Le Havre così come a Lampedusa, così come in tutti quei luoghi nei quali la nostra essenza di "gente di passaggio" viene nitidamente fotografata. Non ci sono parole per esprimere in maniera sufficiente la grandezza, l'importanza del doppio colpo di scena finale, che ribalta ogni possibilità di cinismo e di fatalismo. Anche i personaggi apparentemente cattivi sono coloro i quali respingono, senza remore, tutto ciò che è disumano. E, alla fine, gli umili e gli sconfitti si ritrovano insieme, coinvolti nella stessa barca a farsi forza reciprocamente, con l'orgoglio e la dignità di chi non cederà mai all'eventualità di una società che non ama. Bello e fuori dal tempo.

Emiliano Dal Toso