martedì 16 luglio 2019

La Superclassifica del Decennio: 2010 - 2019

20 - Dolor y gloria - Pedro Almodovar, 2019
Trasparente e incredibile autobiografia di Pedro, che mettendo in scena la propria crisi artistica ritrova lo struggimento e le lacrime che incendiano il suo cinema: un colpo al cuore che travolge e ingloba ogni tema e aspetto del senso del regista spagnolo per l'arte e per la vita. Ricordo, sogno, emozione: l'atto creativo è il luogo dove finalmente i dolori trovano un bel posto. Banderas è di un equilibrio espressivo superlativo, il monologo di Alberto Crespo è entrato nella Storia.

19 - No - I giorni dell'arcobaleno - Pablo Larrain, 2013
Via la dittatura di Pinochet, avanzino la schiavitù del consumismo, il dominio delle pubblicità e della superficie. Neppure l'illusione di un mondo migliore può essere concepita senza un'abile strategia di marketing. Che grande film, finora il più importante della folgorante filmografia di un cineasta politico che penetra nelle pieghe del privato per raccontare il malsano corso della Storia. Lo sguardo è sempre complesso, obliquo e distorto, nemico delle convenzioni e delle facili letture.

18 - La casa di Jack - Lars von Trier, 2018
La summa poetica di Lars. Etichettato come provocatore, von Trier realizza il film definitivo sul dolente conflitto interiore tra autocontrollo e pulsione. Un'operazione di chirurgia all'interno delle contraddizioni dell'animo umano, capace di sviscerare ciò che nella vita di tutti i giorni è inaccettabile e scandaloso e di estirparlo abbattendo imposizioni etiche. Un nuovo inno all'umanesimo e un'altra beffarda e divina commedia di un illusionista finissimo e un cineasta fondamentale.

17 - Manchester by the Sea - Kenneth Lonergan, 2016
La forza insopprimibile del dramma famigliare. Amore, lutto, crollo, rinascita e romanzo di formazione: una formula classica ed eterna, che si regge sull'intensità degli interpreti, sulla narrazione e sulla sensibilità di una regia pulita, impeccabile, interessata innanzitutto al fattore umano. Ed è anche la fotografia rara di un'America proletaria e marginale, che combatte quotidianamente con solitudine e senso di colpa mentre i sogni si frantumano.

16 - Miracolo a Le Havre - Aki Kaurismaki, 2011
Sembra un mondo parallelo quello di Kaurismaki, un mondo costruito con i materiali nostri preferiti, la solidarietà, l'umanità, l'amicizia, l'amore. Un mondo pur sempre ancorato all'attualità e a una società capitalista, classista e razzista. Un mondo in cui gli umili e gli sconfitti si ritrovano insieme, coinvolti nella stessa barca a farsi forza reciprocamente, con l'orgoglio e la dignità di chi non rinuncerà mai alla propria direzione ostinata e contraria.

15 - La scomparsa di Eleanor Rigby: Lei/Lui - Ned Benson, 2014
L'elaborazione di un lutto, la fine di un amore e un doppio punto di vista, maschile e femminile. Un esperimento cinematografico magico, magistralmente incastrato, unico ma divisibile, differente tra le due parti per umori e temperature dell'anima. Alla fine, il Tempo è il vero grande protagonista. E specchiandoci nei conflitti di James McAvoy, piangiamo con una magnifica, dolente, inarrivabile Jessica Chastain.

14 - Io, Daniel Blake - Ken Loach, 2016
Teniamocelo stretto il compagno Ken, altroché: il suo è un cinema che emoziona, commuove, indigna, vibra. L'unica pellicola del decennio che merita davvero la definizione di necessaria. Perché affronta la distanza sempre più netta tra le istituzioni e il cittadino - quella che ha portato in Inghilterra alla Brexit e negli Stati Uniti a Donald Trump. E perché, come nessun altro, Loach sa manipolare la sfera privata per denunciare le contraddizioni della macchina pubblica.

13 - Frantz - François Ozon, 2016
Il capolavoro della filmografia fluviale di Ozon. Un melodramma all'apparenza nostalgico e calligrafico, tra Lubitsch, Reitz e Haneke, ma che possiede una forza di racconto unica e struggente: una tensione di morte costante fa da sfondo a una delle più poetiche e profonde riflessioni sul suicidio. Eppure il finale, magnifico, è un inno alla vita e alla dolorosa e inevitabile presa di consapevolezza della propria libertà. Perché vivere aiuta a non morire.

12 - Un sapore di ruggine e ossa - Jacques Audiard, 2012
Senti i sospiri, le lacrime e la rabbia dei protagonisti di Audiard. Glieli senti addosso. Senti i magoni, i batticuori, i graffi nell'anima. Sulla pelle. Stringere i denti, e poi ripartire. Il grande Jacques è così: ti stringe per il collo e ti molla soltanto quando hai raggiunto il limite. Che vuoi farci. La Cotillard più bella di sempre nella sua interpretazione più appassionata e sanguinosa. Basterebbe questo. Ma c'è molto altro. Riassumendo in un concetto solo: il cinema.

11 - Dogman - Matteo Garrone, 2018
Il pugno nello stomaco di Garrone. Una sintesi implacabile di tenerezza e crudeltà, romanticismo e cinismo: il destino degli sfortunati è la miseria. Lontano dagli stereotipi e dal sensazionalismo pulp, affettuoso nei confronti di un protagonista memorabile ma senza concedere alternative di fuga alla sua gabbia esistenziale. Senza epica e retorica, ma partendo da un particolare episodio di cronaca nera e diventando un panorama sulle condizioni instabili e precarie dell'essere umano.

10 - The Wolf of Wall Street - Martin Scorsese, 2013
Un party edonista e autodistruttivo di tre ore, sniffando cocaina, fumando crack, giocando al tiro al bersaglio con i nani, spendendo e scopando senza limiti e freni inibitori. Tra i migliori cinque film di Scorsese di tutti i tempi, perché nessun altro riesce a ritrarre la vitalità e la gioia di chi si sta fottendo il mondo raccontando nello stesso tempo la miseria della natura umana. Beffardo, inquietante, senza tregua. Una tragedia contemporanea che si vede e si vende come una commedia di cialtroni.

9 - Joker - Todd Phillips, 2019
La performance estrema e perversa di Joaquin Phoenix incarna un'insanità mentale che oltrepassa i limiti della comprensione psicanalitica. Ma il suo Arthur Fleck è anche l'emblema dell'individuo calpestato e ignorato dalla società americana di oggi, il reietto che diventa suo malgrado il simbolo di un odio di classe che non ha coordinate né modelli di riferimento. Il capolavoro pop che uccide i suoi padri, i cinecomix e Martin Scorsese, ripartendo dalle umiliazioni della strada e registrando un sentimento confuso che è alla radice dei mostri del populismo dei nostri giorni.

8 - Civiltà perduta - James Gray, 2017
Nell'ossessione di Percy Fawcett di proclamare la scoperta della città di Z nel cuore della foresta sudamericana e di provare l'esistenza di una civiltà sconosciuta risiede tutto ciò che non possiamo lasciare indietro: il senso del cinema come sentimento fuori dal tempo, che prescinde da ogni catalogo, manuale, contestualizzazione. E un finale tra i più grandiosi di sempre: la morte non si vede, circola sospettosa, suggerendo che non sia un arrivo ma un'altra partenza, forse quella definitiva per la realizzazione del nostro inquieto vagare.

7 - The Social Network - David Fincher, 2010
Il film simbolo dei primi vent'anni del terzo millennio. Una sceneggiatura a orologeria, incalzante, cinica. Un film di oggi e sull'Oggi, sulla velocità, sull'insensibile frenesia, sulla schiuma dei giorni. Ma, soprattutto, su un'amicizia tradita. Non basteranno mai milioni di amici virtuali quando la solitudine è parte di noi, e il primo amore è molto più di un'ossessione: un fantasma che non scompare, un profilo social impossibile da cancellare.

6 - Boyhood - Richard Linklater, 2014
Il coming-of-age definitivo, che prende di petto il desiderio di identificazione dello spettatore, domandandosi se il cinema possa essere uno specchio fedele dell'esistenza, oppure se le necessità di sintesi debbano prendere il sopravvento. Un miracolo affidato all'ignoto, alla Storia che deve ancora essere scritta, ma che lascia spazio all'emozione: le giornate di Mason possiedono il dono magico dell'autenticità, del futuro e della lacrima trattenuta.

5 - Spring Breakers - Harmony Korine, 2012
Quanta bellezza ancora da vedere. La celebrazione assoluta dell'estetica, della consistenza della superficie, che meglio non può esser rappresentata che dalle adolescenti in fiore sopravvissute ma deformate cerebralmente dal terrorismo intellettuale della patina e del pop. Visivamente epocale, un capolavoro senza cuore, una sinfonica celebrazione del Niente. Il nostro immaginario passa inevitabilmente da qui, da Everytime di Britney Spears, dalle armi, dal sesso, niente è vero, tutto lo è.

4 - Personal Shopper - Olivier Assayas, 2016
Schermi, immagini, riflessi, fantasmi che rispecchiano il nostro narcisismo social e l'idea di mondo di cui siamo prigionieri: la messaggistica istantanea si consacra come unico strumento di comunicazione, ed emozione. Il corpo di Kristen Stewart insegue un segno, una reazione, rivolgendosi sempre verso qualcosa che non ha carne, è immateriale. Gli inganni della vita e del cinema portati alle estreme conseguenze: non esistono, ma siamo convinti che ci siano.

3 - La vita di Adele - Abdellatif Kechiche, 2013
Il regista più grande, il film più bello. L'amore, il sesso, il sudore, le lacrime. Il dolore, la vita. Abdel Kechiche filma i nostri giorni, ponendo la macchina da presa al livello della carne e del fiato. Colmo e ripieno di odori e di sapori, di gioie e di sofferenze. Erotico e anti-retorico. La ricerca della verità e della libertà dello sguardo nella massima espressione. Bisogna soltanto ringraziarlo. Un nemico della morale e dell'ipocrisia. Un fuoriclasse.

2 - Il cigno nero - Darren Aronofsky, 2010
Meravigliosamente conturbante, torbido e avvolgente. Aronofsky e il corpo: un capitolo a sé della storia del cinema. Il corpo di Natalie Portman parte come un sogno e termina come un incubo. Bellissimo e ossessionato. Il sangue, la perdita di controllo, il demone sotto pelle. Osa Aronofsky, come pochissimi, forse come nessuno. Un manifesto sulla disintegrazione dei sogni. Tra Hitchcock e Polanski: il lato oscuro non è mai stato così eccitante e autodistruttivo.

1 - The Master - Paul Thomas Anderson, 2012
Come hai fatto a trovarmi. Anime perse. PTA riflette sul significato di sette, movimenti e personaggi che si propongono di dare conforto, offrire un abbraccio a chi ha perduto ogni punto di riferimento. Un capolavoro sulla fede, sugli appigli a cui si aggrappa chi tenta di reagire allo sconforto e alla disperazione. Oppure è soltanto un film su due maschi, soli e spaesati, che si riconoscono e provano a mantenersi in piedi. Non vale: Joaquin Phoenix è grande. Phil è semplicemente lassù, immenso, insuperabile, immortale. 




venerdì 12 luglio 2019

Guarda Giacinti

Il gol è l'orgasmo del calcio.
Eduardo Galeano

Sono le 12.30 di una domenica di gennaio, non ho intenzione di fare altro che non sia guardare partite di calcio. Fuori piove, rimango in pigiama, mi viene in mente che Sky non trasmette più l'anticipo di mezzogiorno. Ho disdetto Dazn da poco per risparmiare dieci euro al mese. Devo attendere le tre del pomeriggio e l'unica offerta della tv a pagamento è Milan - Sassuolo di calcio femminile, giocata sotto la neve, praticamente senza pubblico. Si sentono le voci delle allenatrici e i commenti dei pochissimi tifosi sugli spalti. Rimango infastidito dalla concitazione della telecronista con cui commenta il primo gol del Milan, gridando il nome di <<Valentinaaaa Giacintiiiiiii!!!!>> come se Carlo Pellegatti esultasse per una vittoria in semifinale di Champions. Passano pochi minuti e il Milan è già sul 4-0. Pura fantascienza, penso. Credibilità zero. La stessa Giacinti sbaglia il quinto gol in maniera madornale, sola a un metro dal portiere avversario. Il calcio femminile non fa per me. Sdraiato sul divano, scorro nevroticamente la bacheca degli eventi su Facebook per cercare un'alternativa domenicale. Cambio canale, ovvio, e metto in sottofondo la Euro Top Chart di Mtv Music. Arrivano le 14.15 e non ho ancora combinato niente, devo aspettare quarantacinque minuti per l'inizio delle partite, la musica pop-trap di oggi intanto ha superato la mia soglia di sopportazione. Più per noia che per curiosità, mi ricollego con le ragazze di Milan - Sassuolo. <<Ancora leiiiiiii, Valentinaaaa Giacintiiiiiii!!!!>>. Il Milan ha appena segnato il 5-2. Mi incuriosisco: vado su Wikipedia per capire chi sia l'autrice della doppietta e scopro che è già stata per due volte capocannoniere della serie A e che è attualmente in testa nella classifica marcatori. Ha segnato 86 volte su 96 presenze nel Mozzanica e 21 su 22 nel Brescia. Nel Milan viaggia a una media di un gol a partita. Le metto il Like su Facebook e decido di avventurarmi su Instagram. Decido di seguirla.

Mi immagino come possa essere la prima volta di un ragazzo che gioca a calcio con Valentina Giacinti. Rievoco quei primi giorni di settembre che anticipano l'inizio della scuola e mi configuro un campetto di calcio di qualche sperduta provincia bergamasca. Si ritrovano in dieci: nove uomini e una donna. <<Va beh, lei sta con voi>> decide il più bullo. Valentina è in squadra con un panzone destinato chiaramente a fare il portiere, con uno smilzo con la maglia dell'Inter che rimane fermo in difesa, con uno basso e tozzo che indossa una maglietta stretta di una palestra di Bergamo e con un tizio silenzioso la cui scritta di Montolivo sulle spalle tradisce un tifo romantico e malinconico per l'Atalanta. <<Io mi muovo in attacco>> sentenzia determinata Valentina. Il finto palestrato si gira con una smorfia verso il difensore dell'Inter, che allarga perplesso le braccia. Il ciccione in porta scorreggia. Inizia la partita. Passaggio in profondità di Montolivo per Valentina, che segna subito. L'azione successiva è simile: Vale ruba la palla a un avversario, ne scarta un altro, la passa a Monto che le restituisce il favore. Lei è veloce, gli altri non lo sono. Doppietta. Il bullo bestemmia in dialetto, uno degli altri ride istericamente e tenta di far ricadere la colpa sul portiere, prendendolo per il culo. Vale dà il cinque al nano palestrato, fa il pollice in alto all'interista e al panzer, sorride a Monto che si avvicina a lei tentennando un abbraccio con l'insicurezza di sé di chi potrebbe sembrare una persona riflessiva, così come un serial killer. Si limiterà a dirle un timido "grande" e a darle una debole pacca sulla schiena. Valentina non può vederlo ma dentro a Montolivo, il tizio che le ha fatto i due assist, si è appena aperto un cratere devastante che il ragazzo faticherà a rimarginare per tutti gli anni delle superiori. Il giorno dopo, per tutti quanti, comincia la scuola.

Valentina Giacinti si racconta in un'intervista sul suo profilo Instagram: <<Da piccola mi è capitato tante volte di sentirmi dire che il calcio non è uno sport per le donne. Quando giocavo insieme ai maschi il mio obiettivo era farli ricredere. Spesso quando giocavo contro di loro mi piaceva fare tanti gol, per fargli capire che anche le donne potevano giocare. Il calcio ti dà tanto e richiede tanto tempo, ma l'emozione di fare un gol il sabato e di portare a casa una vittoria ripaga tutto il sacrificio che si fa durante la settimana>>. Guardando le partite dell'Italia femminile agli ultimi Mondiali mi sono entusiasmato. Non mi capitava da un po'. La responsabile è Valentina Giacinti, perché nel suo gol contro la Cina c'è tutto quello che amo di più del gioco d'attacco. Il pressing ossessivo sull'esterno cinese le permette di recuperare palla e di allungarsi sulla destra. Non c'è superiorità numerica, perché le cinesi in area sono comunque quattro. Non le resta che passare il pallone alla compagna di reparto e buttarsi in area sperando che arrivi poi un cross dalla fascia opposta. Il pallone le arriva molto sporco, figlio di un brutto passaggio di Barbara Bonansea che viene deviato di fortuna da una cinese, e di una ribattuta del portiere sul tiro della nostra mezzala. Valentina c'è, perché è più veloce della marcatrice. Valentina sente quel pallone. Valentina segna. Davanti a Italia - Cina mi tornano in mente le sue parole di Instagram. Per conquistare il rispetto dei maschi, Valentina Giacinti non avrebbe mai potuto accontentarsi di giocare bene. Per giocare con i maschi, devi segnare. Dopo che l'ho vista con il Milan nelle ultime partite di campionato e con la Nazionale, mi sono convinto che lei si muova con l'idea che sia sempre una lotta di genere. Come se le avversarie fossero uomini. Qualcosa di simile a una lotta di classe, con il pallone. Senza dubbio - che si tratti di un campetto della Val Cavallina, di uno stadio di provincia oppure dei Mondiali - il suo è un movimento politico.

Ho pensato a Inzaghi. Penso a Cutrone perché gioca "tarantolata" come lui, ma Giacinti tecnicamente è molto più forte. Scopro con un pizzico di delusione che da bambina tifava Juventus e che i suoi calciatori preferiti sono Bobo Vieri e Alvaro Morata. Recupero un bell'aneddoto: quando da bambina le regalavano le bambole, strappava subito le teste e le prendeva a calci. Nell'intervista dopo Italia - Cina si commuove, perché il nonno che l'ha sempre incoraggiata a diventare una calciatrice non c'è più. In Splendori e miserie del gioco del calcio Eduardo Galeano scrive: "Per fortuna appare ancora sui campi di gioco, sia pure molto di rado, qualche sfacciato con la faccia sporca che esce dallo spartito e commette lo sproposito di mettere a sedere tutta la squadra avversaria, l'arbitro e il pubblico delle tribune, per il puro piacere del corpo che si lancia verso l'avventura proibita della libertà". Gli ultimi in Italia a provarci sono stati Antonio Cassano e Mario Balotelli, perché covavano l'autentica intenzione di distruggere il sistema dall'interno. Ne sono stati risucchiati e hanno finito per autodistruggersi. Per uscire dallo spartito, allora, bisogna guardare altrove: nella tenacia, nella determinazione, nella necessità del gol per ribaltare gli ordini, le gerarchie e le prospettive. Ripartire da capo, semplicemente. Tabula rasa. Per rinnovarsi e avere una spinta propulsiva, il calcio non può prescindere dal sentimento della lotta. Davanti a quel Milan - Sassuolo di una mattina di gennaio pensavo di annoiarmi, ma stava nascendo una nuova consapevolezza. Guardare giocare Valentina Giacinti è bellissimo. Fare il tifo per lei è una cosa bellissima.

Emiliano Dal Toso