sabato 22 luglio 2017

Top 5: Luglio 2017

5 - Parliamo delle mie donne - Claude Lelouch (voto 7)
Johnny Hallyday, fotografo e bastardo donnaiolo, decide di ritirarsi in Alta Savoia e si innamora dell'agente immobiliare. Ma, senza le sue figlie, non è vera felicità. Per un'ora e mezza è un Lelouch gradevole e divertente, poi crolla in un finale incomprensibilmente drammatico. Ma un momento solo vale il prezzo del biglietto: quando il protagonista e il suo migliore amico, sdraiati sul loro divano da borghesi, guardano in tv Rio Bravo e cantano For my rifle, my pony and Me.

4 - Una vita - Stéphane Brizé (voto 7)
Una fedele, rigorosa ed esteticamente impeccabile traduzione cinematografica del romanzo capolavoro di Guy de Maupassant del 1883. Un racconto di formazione sempre autentico e doloroso, dove la protagonista Jeanne si trova a dover fare i conti con lo sgretolamento della propria idea dell'amore. Una lezione sull'essenzialità di riuscire ad acquisire la giusta distanza per sapersi difendere dalle delusioni. Bravissima Judith Chemla.

3 - Codice criminale - Adam Smith (voto 7)
Lasciatevi trasportare dallo spirito anarchico e fuorilegge di questa storia famigliare un po' incivile e disordinata: Michael Fassbender, uno dei divi assoluti di questo decennio, in un ruolo primitivo e animalesco, fisico e passionale, padre affettuoso e abile scassinatore; uno sguardo sugli ambienti inedito e anticonvenzionale; l'elogio degli Irish Travellers, veri e propri Robin Hood di oggi che rifiutano lo stile di vita contemporaneo, vestono tute da ginnastica e praticano la boxe a mani nude.

2 - The War - Il pianeta delle scimmie - Matt Reeves (voto 7)
Il capitolo conclusivo di una delle saghe più cupe e riuscite del nuovo millennio. Peccato per un Woody Harrelson ormai macchietta di se stesso e per un tono apocalittico eccessivamente insistito, ma quello che conta sono le scimmie che resistono alla brutalità, alla violenza e alla mediocrità dell'essere umano: Cesare è la vera icona rivoluzionaria del nostro tempo. Più vicino ad Apocalypse Now che ai vecchi film di Schaffner e Burton.

1 - Civiltà perduta - James Gray (voto 10)
Nell'ossessione di Percy Fawcett di proclamare la scoperta della città di Z nel cuore della foresta sudamericana e di provare l'esistenza di una civiltà sconosciuta risiede tutto ciò che non possiamo lasciare indietro: il Cinema come sentimento eterno, che prescinde da ogni etichetta, catalogo, manuale, contestualizzazione. E neppure nel finale di un film così perdente e sognatore si ottiene una chiusura del cerchio: la morte non si vede, circola sospettosa, suggerendo che non sia un arrivo ma un'altra partenza, forse quella definitiva per la realizzazione del nostro inquieto vagare.







mercoledì 5 luglio 2017

Civiltà perduta

Sembra incredibile che oggi il cinema di James Gray possa esistere, essere prodotto ed essere realizzato. Ed è meraviglioso che possa essere ammirato su un grande schermo: vedere in un cinema nel 2017 un film come Civiltà perduta è un ultimo atto romantico, un gesto ribelle, un momento fuori dal tempo che appartiene a quegli spazi della nostra vita che abitano in una terra di nessuno. Nell'ossessione del protagonista Percy Fawcett di proclamare la scoperta della città di Z nel cuore della foresta sudamericana e di provare l'esistenza di una civiltà sconosciuta risiede tutto ciò che non possiamo lasciare indietro: il Cinema come opera eterna, che prescinde da ogni etichetta, classifica, catalogo, manuale, contestualizzazione. Questa è la grandezza dei capolavori impossibili, imperfetti e sbagliati, perché non si regolano in funzione di un pubblico, una moda, uno zeitgeist. A tal proposito, non può non venire in mente I cancelli del cielo di Michael Cimino, il più grande fallimento commerciale di tutti i tempi. Eppure, quanto amore esiste in questa idea di cinema. Un'idea che combatte contro la stessa inesorabilità del Tempo: non è certamente casuale che in Civiltà perduta si superino con naturalezza mesi e anni e ci si trovi catapultati con poco preavviso in diversi luoghi e continenti. Perché l'ossessione e il sentimento sono eterni e nomadi, e non hanno un luogo dove stabilirsi, sistemarsi, costruire un progetto, una famiglia. E gli affetti di Fawcett, la moglie e i figli, sono costretti a essere spesso abbandonati, sacrificati, oppure non hanno altra scelta che la collaborazione e l'unione all'ossessione di Percy, quella che lo tiene in vita e che gli permette una quotidianità domestica, una relativa e parziale serenità famigliare. Moriremmo uomini felici se dovessimo aver speso la nostra permanenza terrena all'insegna dello stesso sogno di James Gray e di Percy Fawcett: significherebbe aver viaggiato con il cuore e la testa tutti i giorni, cercando di raggiungere quel miraggio in cui siamo profondamente certi abiti il senso della nostra irrequieta esistenza. Purtroppo, non basta niente, nulla che non sia l'incontro con la nostra città di Z. Neppure nel finale di questo film così consapevolmente perdente e sognatore si ottiene una chiusura del cerchio: la morte non si vede, circola sospettosa come in tutti gli altri frammenti, suggerendo che non sia un arrivo ma un'altra partenza, forse quella definitiva per la realizzazione del nostro inquieto vagare.

Emiliano Dal Toso