martedì 18 aprile 2017

Top 5: Aprile 2017

5 - Mal di pietre - Nicole Garcia (voto 7)
Trascinante e meravigliosa Marion Cotillard in questo melodramma che adatta il romanzo di Milena Agus ambientandolo nella Francia degli Anni Cinquanta, dove una donna in fermento ormonale e desiderosa di libertà è spinta al matrimonio con un operaio spagnolo, ma in una clinica per curare i calcoli renali conoscerà il vero amore. Poteva essere un grande film, ma la Garcia è timida e non affonda con il pathos necessario, rifugiandosi in uno stile patinato e un ritmo compassato.

4 - Il segreto - Jim Sheridan (voto 7)
Non è più lo Sheridan furioso di battaglie irlandesi, ma anche in questo adattamento del best seller di Sebastian Barry il regista si mette in gioco a cuore aperto, solidarizzando con le vicende del personaggio della bravissima Rooney Mara e puntando il dito contro la Chiesa cattolica e le sue interpretazioni opportunistiche della Bibbia. Nonostante qualche passaggio raffazzonato, la storia commuove e scuote come è lecito attendersi da un onesto melodramma.

3 - Victoria - Sebastian Schipper (voto 8)
Il film più riuscito che sinora sia stato realizzato con un unico piano sequenza. Certo, la scrittura non è sempre del tutto credibile ma la mano di Schipper è travolgente e immerge lo spettatore nel trip notturno vissuto da una ragazza spagnola a Berlino che esce da una discoteca techno e si fa coinvolgere da quattro ragazzi in una rapina in banca. Dalle quattro alle sei e venti del mattino succede di tutto: ma è un cinema sperimentale e febbrile che ipnotizza ed emoziona. Straordinaria la protagonista Laia Costa.

2 - L'altro volto della speranza - Aki Kaurismaki (voto 9)
Immenso Aki: un altro grandioso tassello di una filmografia dedicata esclusivamente agli ultimi, ai perdenti, ai ribelli e ai dimenticati. Si parla di nuovo di immigrazione e disperato bisogno di integrazione: perché nell'Europa di oggi è necessario. Lo stile è sempre unico, immediatamente riconoscibile, caratterizzato da quell'ironia secca e da quel minimalismo colorato che riesce a non diventare mai maniera. E un paio di sequenze sono da antologia della risata: la partita a poker, la birreria che si reinventa ristorante giapponese per essere alla moda.

1 - Personal Shopper - Olivier Assayas (voto 10)
Assayas riflette sull'immaterialità del nostro tempo, sugli schermi, le immagini e i riflessi che rispecchiano il nostro narcisismo e l'idea di mondo di cui siamo prigionieri: la messaggistica istantanea che si consacra come unico strumento di comunicazione, ed emozione. Il corpo di Kristen Stewart insegue un segno, una reazione proveniente da un Altrove, rivolgendosi sempre verso qualcosa che carnalmente non c'è più. Il film definitivo sulla nuova configurazione del nostro modo di (non) essere. Gli inganni della vita e del cinema alle estreme conseguenze: non esistono, ma siamo convinti che ci siano.




sabato 15 aprile 2017

Personal Shopper

L'interlocutore non c'è. L'americana Maureen vive a Parigi ed è una personal shopper, sceglie i vestiti per abbigliare una viziata celebrity che non vede mai. E' anche una medium che cerca di contattare il fratello gemello dall'aldilà, morto per la stessa patologia cardiaca che la obbliga a evitare emozioni forti. Ha un ragazzo lontano che sente soltanto via Skype. Quando lei parte per incontrarlo lui non si fa trovare. Chatta ansiosamente su uno smartphone con un anonimo che rappresenta tutto ciò che la circonda: forse è lui lo spirito di cui è alla ricerca. Forse non è nessuno. Dopo Sils Maria, un altro film di fantasmi e di presenze che si fanno assenze. Olivier Assayas riflette sull'immaterialità che caratterizza il nostro tempo, sull'asetticità dei luoghi che abitiamo ma che non viviamo. Gli schermi, le immagini, i riflessi sono dappertutto. E non fanno altro che rispecchiare noi stessi, il nostro narcisismo, l'idea di mondo di cui siamo prigionieri. Nessun desiderio senza proibizione: così, la nostra Maureen indossa gli abiti che non deve, ed esprime la propria sessualità masturbandosi sul letto della donna per cui lavora. Il corpo di Kristen Stewart insegue costantemente un contatto, non fa altro che attendere un segno, una reazione proveniente da un Altrove. Personal Shopper è lo spettro del virtuale che svuota la realtà, la messaggistica istantanea che si consacra come unico strumento di comunicazione, ed emozione. Attorno, il mondo si è trasformato in una scenografia, vissuto da individui che hanno smesso di confrontarsi e che si rivolgono sempre verso qualcosa che carnalmente non esiste più. Ed è proprio la nuova configurazione del nostro nuovo modo di (non) essere che inquieta e che è il vero elemento horror di un film che stuzzica con il giallo, con il thriller, con il paranormale, ma che non appartiene a nessun genere, e non può essere etichettato, esattamente come la sua protagonista. Come se il ruolo di attrice fosse stato definitivamente sostituito da quello di spettatrice, e le barriere tra realtà e finzione si fossero completamente abbattute. Gli inganni del cinema e della vita portati alle loro estreme conseguenze: non esistono, eppure siamo convinti che ci siano.

Emiliano Dal Toso