mercoledì 31 agosto 2011

This Is England (voto 9) IL FILM DEL MESE

Deriva dall'urgenza la sensibilità del cinema inglese nel raccontare le proprie periferie, tracciando quadri realistici di personaggi ai limiti della sopravvivenza caratterizzati dall'impossibilità di sentirsi parte di qualcosa che abbia a che fare con una struttura statale, nella quale il cittadino è parte attiva e voce responsabile di un disagio o di un malessere. 'This Is England' di Shane Meadows racconta che questo non accade. Nell'Inghilterra thatcheriana dell'estate del 1983, mentre nelle Falkland si combatte una guerra paradossale, alcuni ragazzi si ritrovano in gruppetti nei quali ognuno cerca di fare quel che si può. Qualcuno ascolta reggae, qualcun altro si fa le canne, altri si truccano o si tatuano. Tutti quanti si radono i capelli a zero. Loro si chiamano skinhead e il loro senso comunitario è talmente forte che anche un ragazzino dodicenne può far parte della banda e assumere un posto privilegiato all'interno di un tentativo di fuga dalla desolazione di una classe dirigente completamente incapace di ascoltare/interpretare: chi sono gli inglesi e in cosa credono? La degenerazione è rappresentata da Combo, il co-protagonista del film, appena uscito di galera, ultra-nazionalista, razzista, iracondo e umorale. Ma anche lui è soggetto a reazioni di umanità, ad esempio quando la ragazza della quale è innamorato lo rifiuta oppure nel rapporto col piccolo Shaun, paterno e affettuoso. Meadows evita qualsiasi demonizzazione dei suoi personaggi, rifiuta qualsiasi tipo di giudizio di fronte ai loro estremismi ma non cede neanche ad ambiguità di carattere ideologico. Non esiste comunicazione tra l'Inghilterra e la gente che la abita. Le periferie di Nottingham potrebbero essere quelle di qualsiasi altro posto, l'unica inglesizzazione si manifesta nell'idealizzazione della bandiera di San Giorgio, prima strappata e custodita e poi gettata in mare. 'This Is England' è una meravigliosa testimonianza di un certo modo di vivere gli anni 80 che racconta una comunità capace di spunti creativi e alternativi. Eccezionale, a tal proposito, l'utilizzo delle musiche che vanno dallo ska alla ballata romantica. Così come è splendido l'utilizzo contrappuntistico della colonna sonora di Ludovico Einaudi. Un cinema capace di raccontare la Storia e il Presente ma soprattutto di essere rappresentativo dello stato sociale ed emotivo del proprio paese. Qualcosa che nell'Italia degli ultimi venticinque anni non si è mai visto, eppure gli spunti non devono essere mancati. Se hai voglia di piangere o di menare le mani, puoi contare su di me. Bello e Cattivo.

lunedì 29 agosto 2011

Old Pleasures: La Mosca

Mi piacerebbe concludere questa carrellata estiva di vecchi film facendo qualche riflessione su uno dei capolavori del maestro David Cronenberg, arrivato al venticinquennale ma che non ha un perso un briciolo della sua forza raccapricciante. Da almeno un decennio, una gran parte di trasposizioni di fumetti descrive la mutazione dell'uomo come punto di partenza per  la formazione di un supereroe, sebbene spesso accompagnata da numerosi ostacoli emotivi e psicologici. Dagli X-Men a Capitan America passando per l'Uomo Ragno, il (buon) cinema american-popolare ha raccontato l'evoluzione di personaggi le quali trasformazioni del corpo vengono sfruttate per imprese fuori dalla normalità, mettendo l'accento soprattutto sui benefici del cambiamento fisico. Recuperando un film estremo e disperato come 'La Mosca', è interessante notare come la poetica della mutazione venga analizzata negli aspetti meno edificanti. Mutazione come autodistruzione, innanzitutto. Il protagonista, interpretato da un eccezionale Jeff Goldblum, rimane vittima della sua stessa ambizione a causa di un banale incidente che lo costringe ad assumere in maniera progressiva i connotati di un insetto. Dopo venticinque anni, il film rimane un pugno nello stomaco, un horror nel quale le intuizioni narrative si reggono su un sottile filo di inquietudine e di repulsione. Ancora oggi, lo spettatore è costretto a riflettere sulla diversità relazionandola al proprio limite di accettazione. Nello stesso tempo, il film è tipicamente cronenberghiano nella perdita di controllo dell'uomo in luogo del mostro che, in maniera più o meno consapevole, abita dentro di noi. Dall'altra parte, il genio di Cronenberg risplende anche nel raccontare una storia d'amore che, fino all'ultima scena, non viene annullata dalla trasformazione da essere umano a creatura mostruosa. Aspettando il nuovo 'A dangerous method', 'La mosca' è un salutare ripasso della poetica di Cronenberg ma anche un ottimo punto di partenza per conoscere il cinema del maestro canadese.

domenica 7 agosto 2011

Old Pleasures: Taxi Driver

Cosa si potrebbe scrivere di nuovo su un film sul quale è già stato detto tutto, un capolavoro che ancora oggi è considerato all'unanimità una delle opere più importanti nella storia del cinema? Probabilmente niente, forse però è interessante concentrarsi sulla rappresentazione del protagonista Travis Bickle interpretato da un indimenticabile Robert De Niro. La notte, l'alienazione, la solitudine, le esplosioni di violenza sono le condizioni esistenziali del "taxi driver" Travis, il quale si trascina a scatti verso una disperata incoronazione di anti-eroe suburbano. Martin Scorsese descrive le sue azioni con grande abilità evitando ogni tipo di eccessiva mitizzazione: lo spettatore non è mai portato ad esaltarsi ma soltanto a comprendere la sua evoluzione da uomo comune a potenziale criminale. Lo sguardo freddo e distaccato, il ritmo mai frenetico e compulsivo tratteggiano autenticamente un personaggio vittima e irrimediabilmente perdente, sebbene riconosciuto come eroe dagli organi istituzionali in un apparente happy ending con una dolorosa riflessione sull'impossibilità di un qualsiasi riscatto sociale all'interno di una società sempre più estremizzata e radicalizzata nel contrasto tra politici e derelitti, tra ipocrisia e frustrazione. E così Travis Bickle, benchè non finisca schiacciato dagli eventi, è rimasto un personaggio molto meno idealizzato rispetto a tanti altri del cinema americano.

Old Pleasures: Fargo

In un piccolo paese di provincia del Minnesota, può accadere che l'apparente serenità naufraghi in una spirale di violenza nella quale l'uomo non è mai parte attiva degli eventi ma anche quando agisce è sempre un individuo idiota, mai in grado di autocontrollo e di razionalità. 'Fargo' è un noir con i toni cinici e grotteschi del disumano, un film terribile e bellissimo che scava all'interno degli orrori della provincia in uno scenario innevato e desolante nel quale tra pub, bordelli e motel non è possibile una via di fuga. Sorretto da un cast in stato di grazia, 'Fargo' è una tappa fondamentale nel discorso dei Coen sul non-senso della vita. Il personaggio del meraviglioso William H. Macy è la maschera di un orrore interiore che non si tiene a bada mentre i due disgraziati delinquenti sono cristallizzati da una sgangheratezza che ha soltanto nell'evento tragico e anti-umano il suo punto d'arrivo. Si ride nero in 'Fargo', a denti stretti, senza avere coraggio di simpatizzare per i protagonisti nè di condannarli. I Coen constatano l'impossibilità di trovare un perchè malgrado la poliziotta Frances McDormand dia l'illusione che la sola dignità possa prevalere sull'impenetrabile vuoto pneumatico dell'esistenza.



Old Pleasures: Buongiorno, Notte

'Buongiorno, notte' è un film ambizioso, a tratti sbagliato ma con una intuizione decisiva, che considero la principale chiave di lettura dell'opera di Marco Bellocchio. "Anche l'immaginazione fa parte del reale" sostiene Paolo Briguglia in una delle principali scene e il doppio finale di 'Buongiorno, notte' è l'emblema di quanto il cinema possa essere una forma espressiva in grado di riscrivere la Storia, anticipando di un bel po' di anni l'operazione tarantiniana di 'Bastardi Senza Gloria'. Da una parte, dunque, l'evento storico: l'uccisione di Aldo Moro; dall'altra, invece, Aldo Moro libero come se quello che gli è accaduto fosse stato soltanto un'allucinazione e la realtà vissuta e non quella immaginata fosse quella in cui passeggia con somma tranquillità per la strada. Bellocchio suggerisce che il cinema può ribaltare l'evento storico ma mantenere una propria credibilità se la proposta è quella di una immaginazione che produce una realtà alternativa e non quella di una immaginazione fine a se stessa, risultato di un cabaret visionario del regista. E' una forza gigantesca quella del cinema concepito come mezzo per rendere reale ciò che non è accaduto. E così, dopo la visione di un film discontinuo ma a tratti entusiasmante come 'Buongiorno, Notte', lo spettatore può fantasticare se non addirittura credere al fatto che Aldo Moro sia sopravvissuto e stia ancora oggi passeggiando per le vie di Roma.

Emiliano Dal Toso



Sorelle Mai (voto 1)

'Sorelle Mai' è un'operazione inqualificabile. Lo spettatore è vittima di un delirio di onnipotenza del regista Marco Bellocchio, il quale pretende che le vicissitudini della sua famiglia possano essere motivo di interesse per un pubblico che, a ragione, ha disertato il film nelle sale. Se da un lato può essere apprezzabile lo spunto di omaggiare la propria terra d'origine, dall'altro 'Sorelle Mai' non è molto diverso da quello che potrebbe offrire un filmmaker alle prime armi che, muovendosi tra i propri luoghi natii, riprende le discussioni di mamma, zie e nonni. E' vero che 'Sorelle Mai' è il risultato di un lavoro svolto con i ragazzi aspiranti registi di FareCinema ma per quale motivo allo spettatore, che spende ormai otto euro per un film al cinema, questo dovrebbe interessare? L'unica ragione plausibile per cui 'Sorelle Mai' è uscito nelle sale può rintracciarsi nell'onda Amarcord iniziata da Tornatore con 'Baarìa' e proseguita da Virzì con 'La prima cosa bella', grandi registi che hanno sentito l'urgenza di raccontare le proprie "sanguinose" radici dando però la possibilità a chi guarda di riconoscersi nei protagonisti e immedesimarsi in storie, ricordi che riguardano ognuno di noi. Per 'Sorelle Mai' non può essere giustificabile nemmeno l'ipotesi documentaristica perchè non svolge quella funzione meramente informativa che potrebbe offrire, invece, un onesto programma televisivo di approfondimento geografico su Bobbio. E, invece, siamo costretti a seguire i mutui da pagare e i pestaggi subiti dal figlio PierGiorgio ed è davvero sprecata la figlia Elena, che sarebbe potuta essere la protagonista di un bel racconto di formazione se solo l'egocentrismo smisurato del regista non avesse portato ad autocompiacersi (gli spezzoni de 'I pugni in tasca' non hanno altro significato) e a girare per il parentado e per il grande amico Gianni Schicchi invece che per il pubblico. Infine, sono del tutto immotivate le presenze della Finocchiaro e della sempre splendida Alba Rohrwacher che provano a dare un minimo di contributo artistico all'operazione ma che rimangono schiacciate da un quadretto famigliare banale e troppo poco interessante. A fare bella figura resta comunque Bobbio, paese nel quale l'ex grande regista Marco Bellocchio organizza ogni estate un bel festival di cinema italiano.