venerdì 18 settembre 2020

Top 5: Settembre 2020

5 - Non odiare - Mauro Mancini (voto 7)
Dilemma morale, esistenziale per un intenso Alessandro Gassmann, medico ebreo che decide di non soccorrere un nazista di oggi, vittima di un pirata della strada. Ma il senso di colpa lo porterà ad avvicinarsi ai figli, rimasti senza genitori, e a percorrere un cammino di espiazione e di riscoperta della necessità degli affetti. Ottimo esordio, che coniuga nobiltà d'intenti e l'immediatezza di un racconto potente e accattivante, in cui Trieste non è un mero sfondo, ma il simbolo di un incontro necessario. 

4 - Little Joe - Jessica Hausner (voto 8)
Ironica, sottilissima riflessione sulla realtà percepita e sulla paranoia, stilizzata e iperrealista, in cui un bellissimo fiore rosso incide sull'umore e sui comportamenti delle persone che coabitano il suo ambiente. Autosuggestione oppure potere del progresso bio-ingegneristico? Ambiguità, ribaltamento dei punti di vista e un'estetica raggelata: la Hausner dirige uno sci-fi intellettuale e psicanalitico, che costringe a una reazione istintiva, nell'epoca del timore del contagio e dell'infezione.

3 - Assandira - Salvatore Mereu (voto 8)
Otto anni dopo Bellas Mariposas, Mereu torna a raccontare una Sardegna verace e sgradevole, persino respingente, rifuggendo dalla tentazione di abbellire luoghi che non hanno bisogno di essere magnificati. Un dramma famigliare e pessimista che degenera nel noir autodistruttivo, e che non vuole farsi piacere: nel nostro cinema, è difficile trovare un autore così disinteressato alla bella immagine, efficace e televisiva. Senza compiacimenti e senza cedere alla retorica dell'anticonformismo.

2 - Ema - Pablo Larrain (voto 9)
Trip femminista, caleidoscopico, incendiario del maestro Pablo, che firma una pellicola dallo spirito sovversivo e anarchico, ma utilizzando il linguaggio del videoclip e del messaggio pubblicitario. Qualcosa di nuovo, spiazzante, che deve essere assorbito prima di essere amato. Ed è anche uno specchio della condizione sociale del Cile di oggi, della sua cultura, dei suoi colori e delle sue musiche, con lo sfondo di una Valparaìso che rimarrà sempre il porto felice di dissidenti, poeti e puttane.

1 - La vita nascosta - Terrence Malick (voto 10)
Un Malick lirico, sontuoso, sorprendentemente lineare e narrativo, un'ode appassionata e commovente agli uomini retti, alla priorità dell'etica e della purezza della condotta morale. Uno sguardo straordinario sulla magnificenza e sull'impassibilità del miracolo della Natura, che resiste e perdura nonostante gli orrori della Storia. Mai così vicino alle vette sublimi e spirituali de La sottile linea rossa e The New World, il vecchio Terrence rimette al centro delle immagini la poesia bucolica e la ricerca di un umanesimo nascosto, che restituisce valore al significato della parola amore.





martedì 15 settembre 2020

Riflessioni Spiazzanti: Venezia 77

Molti timori sulle modalità dei controlli sanitari, e un po’ di perplessità sulla qualità effettiva delle opere presentate avevano anticipato la 77. Mostra del cinema di Venezia, tenutasi dal 2 al 12 settembre. Un’edizione che resterà memorabile e che è riuscita a vincere, invece, ogni tipo di scetticismo: non è un caso che la stampa estera, tra cui anche prestigiose riviste di settore come Variety, abbiano elogiato l’organizzazione impeccabile della manifestazione. Termoscanner all’ingresso dell’area dedicata, obbligo di mascherina durante le proiezioni, prenotazione del posto esclusivamente online mantenendo ogni volta lo schema dei posti “a scacchiera”: queste sono state alcune delle regole ferree che hanno consentito che non si creasse alcun pericolo di contagio, insieme alla disposizione eccellente di tutti i partecipanti, dagli addetti ai lavori al pubblico, che hanno dimostrato di amare il cinema al di là di ogni ostacolo e restrizione sociale. 

Ma la sfida più bella vinta dal direttore Alberto Barbera è stata quella di riuscire a proporre, anche quest’anno, una selezione di film importanti e stimolanti, degna di una mostra internazionale, capace di rappresentare l’eterogeneità di gusti e generi che attraversano ogni parte del mondo cinefilo. Non sono mancate polemiche relative ai premi assegnati dalla giuria presieduta da Cate Blanchett, eppure anche questo è stato un segnale di entusiasmo ritrovato, di voglia di confronto, da parte di tutti quegli appassionati di cinema che nei mesi di lockdown sono stati costretti a rinunciare a festival di rilievo come Cannes e Locarno, limitandosi a qualche “bisticcio” social sul valore delle produzioni rilasciate da piattaforme come Netflix e Amazon Prime. 

Il Leone d’oro è andato a Nomadland di Chloé Zhao, regista cinese trapiantata negli Stati Uniti, storia di una donna di mezza età – interpretata da un’intensa Frances McDormand - che, vittima del crollo economico di una città aziendale del Nevada, carica i bagagli nel suo furgone e si mette sulla strada alla ricerca di una vita al di fuori dalla società capitalista e dalla dittatura del benessere e del denaro. Una lente d’ingrandimento sui nomadi di oggi, ma anche un elogio nei confronti di una scelta esistenziale anticonformista, che fa ricordare i romanzi on the road dei poeti della beat generation. La Zhao è la quinta regista donna a vincere il Leone, dopo Sofia Coppola, Mira Nair, Agnès Varda e Margarethe von Trotta. 

Ma i film più potenti e innovativi arrivano da realtà cinematografiche diverse: in Nuevo Orden, meritato vincitore del Gran Premio della Giuria, il regista Michel Franco ritrae un Messico violento, disperato e devastato dal conflitto sociale, in cui la rivoluzione delle milizie proletarie viene a sua volta soverchiata da un colpo di stato militare; in The Disciple, vincitore del premio per la miglior sceneggiatura, Chaitanya Tamhane racconta il percorso artistico di un aspirante interprete della musica classica indiana che mira all’ascetismo, attraverso tappe spirituali e rituali sacri che richiedono una quotidianità che impone rinunce e sacrificio; in Laila in Haifa del maestro Amos Gitai, s’incontrano in un locale notturno israeliani e palestinesi, lontani dallo scontro politico e religioso, ma vicini per quanto riguarda la complessità delle esistenze personali e i demoni che accomunano uomini e donne; nell’onirico e affascinante In Between Dying, il regista azero Hilal Baydarov si rivela lo sguardo più coraggioso e sperimentale, seguendo i viaggi in moto e gli incidenti del giovane Davud, sospesi tra sogno e realtà.