Ken il rosso, Ken il guerriero, Ken duro e puro. Per anni, il cinema di Loach è stato contrassegnato da nette prese di posizione a favore della classe proletaria, dei lavoratori, degli ultimi. Da qualche film a questa parte, però, il nostro Ken pare che abbia imparato la grande lezione della tragedia, secondo la quale non esistono nè buoni nè cattivi, esiste solo un bisogno cannibale di sopravvivenza. Così non ci sono più gli operai con i quali schierarsi in nome di di una alternativa, quella del socialismo democratico trotzkista. La gente comune, ora, è disposta ad andare in guerra, a uccidere e a farsi uccidere pur di un'arricchimento economico, non più in nome di un ideale, di una rivoluzione così come è stato raccontato negli indimenticabili 'Terra e libertà' e 'Il vento che accarezza l'erba'. Non c'è più un senso collettivo di classe, di solidarietà col quale farsi forza e sorreggersi, è sparita quella "riff raff" (gentaglia) che da sola contribuiva a dare un significato marxista alla parola esistenza. Anche nel precedente, adorabile 'Il mio amico Eric' il singolo era vittima di un senso di alienamento che lo costringeva a rifugiarsi nell'immaginazione di una materializzazione del proprio idolo calcistico per avere una spalla sulla quale sorreggersi. Addirittura, non esistono nemmeno più nel calcio le divisioni di classe. Ora, la "riff raff' può fare il tifo anche per lo United o per l'Everton in luogo del City o del Liverpool, una volta le squadre più amate dagli operai . E così, dopo il glaciale 'In questo mondo libero', Ken Loach non dipinge più eroi dei sobborghi ma uomini che credono solo in un tipo di giustizia, quella che si fa da soli. La vendetta ha sostituito la lotta ed è una constatazione dolentissima per chi ha sempre seguito il suo cinema. Da sempre rigoroso ma non didascalico, etico ma non moralistico. Batte sempre forte il cuore rosso quando mostra l'indicibilità dell'atto bellico. Batte sempre forte il cuore rosso quando non viene concessa alcuna pietà nei confronti degli agenti privati che trafficano in mercenari. Batte sempre forte il cuore rosso quando l'amicizia e l'amore prendono il sopravvento, quando ogni azione viene compiuta in nome del sentimento e non del denaro. Rimane guerriero indomito Ken nel momento in cui il bersaglio è la macchina capitalista, che produce orrore e differenze disumane. 'L'altra verità' non ha la forza devastante di 'Redacted' di Brian De Palma ma è tutt'altro che un'opera minore di Loach, un thriller asciutto e doloroso sorretto da una eccellente sceneggiatura del sempre fedele Paul Laverty.
venerdì 29 aprile 2011
lunedì 25 aprile 2011
Cappuccetto Rosso Sangue (voto 5)
C'è un filo conduttore che lega la filmografia di Catherine Hardwicke. Quel filo conduttore che, citando il rapper Fabri Fibra, ha a che fare con le "turbe giovanili". La regista americana non è mai riuscita a trovare la formula esatta per esprimere il disagio adolescenziale, i suoi film sono sempre affascinanti ma incompiuti. Il debutto di 'Thirteen' fu caratterizzato da un po' di superficialità e da troppa voglia di scandalizzare, l'ottimo 'Lords Of Dogtown' invece cadeva in un finale consolatorio. Il celeberrimo 'Twilight' è un'opera impregnata di un romanticismo esasperato ma anche una parabola caldissima sull'autocontrollo e sulle pulsioni sessuali frustrate. Inevitabile è il confronto tra 'Cappuccetto Rosso Sangue' e il suo predecessore. E' evidente che la Hardwicke abbia voluto insistere sulla formula che l'ha resa la regista di maggior successo di tutti i tempi ma stavolta mancano tutti quei fattori che rendevano 'Twilight' un film di grande impatto. Il triangolo amoroso di 'Cappuccetto Rosso Sangue' è interpretato da tre cani, i quali Pattinson e la Stewart al confronto sembrano Marlon Brando e Greta Garbo. 'Twilight' riusciva a trainare lo spettatore grazie alla bollente tensione erotica che flirtava tra i due protagonisti, certamente non grazie all'intreccio horror-fantasy del film. Nel momento in cui viene a mancare la parte più morbosa ed eccitante, la formula twilightesca perde completamente interesse. 'Cappuccetto Rosso Sangue' è un pastrocchio che forse potrà accontentare più il pubblico maschile pre-adolescenziale per i momenti orrorifici piuttosto che quello femminile, dato che non ci sono bollori ormonali da tenere a bada. Quello che va riconosciuto alla Hardwicke è la capacità di saper cogliere un'atmosfera kitsch-pop visivamente molto valida. La sua cifra stilistica è tutt'altro che superficiale e approssimativa, anzi, è tra i pochi registi degli anni zero che hanno provato a sfruttare inedite potenzialità espressive del mezzo cinematografico. Il risultato non è sicuramente quello ottenuto da Aronofsky o da Von Trier, ciononostante non si può dire che il cinema della Hardwicke non sia straordinariamente curato. Infine, se avessi una figlia quattordicenne non avrei problemi se la sua regista preferita fosse Catherine Hardwicke. Magari crescendo, potrebbe interessarsi al grande cinema d'avventura o al melodramma classico. Se, invece, preferisce 'Ho voglia di te tre metri sopra il cielo' non ci sono possibilità che possa sviluppare un gusto cinematografico e credo che avrei grossi problemi nel reputarmi un buon padre.
lunedì 18 aprile 2011
Lo stravagante mondo di Greenberg (voto 6)
Ammetto che si tratta del primo film che vedo di Noah Baumbach, regista indipendente conosciuto per 'Il calamaro e la balena' e 'Il matrimonio di mia sorella'. Ho saputo anche da poco che si tratta del co-sceneggiatore dei film di Wes Anderson, uno tra i miei registi preferiti in assoluto. Il ruolo di protagonista di Ben Stiller mi ha spinto a non perdere questa commedia amarognola e piuttosto anticonvenzionale. E' senz'altro uno dei ruoli più complessi e difficili che l'attore abbia dovuto affrontare. Il personaggio di Roger Greenberg è un paranoico ossessivo, da poco uscito da una clinica psichiatrica. Adoro quando gli attori comici vestono questo tipo di personaggi perchè riescono a dare quell'impronta clownesca che solo chi sa far ridere riesce a rendere meravigliosamente tragica. Il più grande tra tutti per me è stato Jim Carrey con 'The Truman Show' e 'Man On The Moon' ma ho amato tantissimo Adam Sandler in 'Ubriaco D'Amore' e Will Ferrell in 'Vero come la finzione'. Stiller offre un'interpretazione devastante, al livello di quelle offerte dagli attori sopra citati. Baumbach, però, ha un passo non certo scoppiettante, direi proprio lento. 'Lo stravagante mondo di Greenberg' è costituito da diverse scenette molto verosimili che, però, non vanno a parare da nessuna parte. Non c'è uno slancio narrativo per tutte le due ore. Ci sono bellissimi dialoghi, personaggi interessantissimi e veri ma manca la scintilla che possa rendere 'Lo stravagante mondo di Greenberg' una commedia davvero indimenticabile. Sono molto curioso di recuperare gli altri film di Baumbach perchè è evidente che ci sia una capacità unica di caratterizzare i personaggi, sarebbe bello fossero supportati anche da qualche evento narrativo rilevante. Questo succede nei capolavori di Anderson, da 'I Tenenbaum' a 'Il treno per il Darjeeling', per quanto lo stesso Anderson sia molto più interessato allo stile, alla profondità emotiva che ai colpi di scena. Però, Baumbach esaspera lo stile andersoniano e rischia di rendere un film godibile un po' troppo pesante. Anche il grandissimo Rhys Ifans ('Notting Hill', 'I love Radio Rock') è un po' sottoutilizzato e non voglio pensare a cosa di tanto grandioso avrebbe potuto tirar fuori Anderson da un duetto di Ifans con Stiller. 'Greenberg' mi fa conoscere un autore che sa parlare di emozioni e di disagi e di nevrosi, che però dovrebbe ripassarsi qualche Billy Wilder per capire che una commedia senza un buon ritmo è come stare con la stessa bella donna per tutta la vita. Dopo un po', la noia arriva.
Habemus Papam (voto 9) IL FILM DEL MESE
Si può dire tutto su Nanni Moretti ma non che non sia il miglior autore italiano di oggi. Disprezzato dai destrorsi, da chi lo considera un intellettuale di sinistra tutto fumo e niente arrosto e inviso, poi, anche a molti suoi "ex compagni" che lo vedono come un borghese radical-chic. Bene, avranno pure ragioni i suoi critici, peccato che molte delle accuse che gli vengono rivolte non abbiano molto a che fare con il suo cinema. Nanni, infatti, è sempre stato uno dei registi più originali e visionari nel panorama italiano, argutissimo, ironico e amaro nel raccontare i vizi e le nevrosi di uno spaccato d'Italia. Da 'Io sono un autarchico' a 'Il Caimano', i colpi di genio e le battute cult hanno sempre caratterizzato il suo modo di vivere il cinema, molto più dell'approccio impegnato, il quale invece fa più parte del personaggio Moretti extra-cinematografico. 'Habemus Papam' è un'opera tipicamente morettiana ed è un altro bellissimo film. La Chiesa fa soltanto da sfondo a un racconto di grandissima sensibilità umana, una toccante parabola sulle responsabilità, sui rimpianti e sulla fuga. Michel Piccoli è un gran vecchio straordinario, maschera grandiosa di insicurezze e di passioni inespresse. Nanni non è interessato a una critica sul sistema ecclesiastico. Anche le strepitose e comicissime scenette cardinalizie, sono costruite con garbatezza e ironia all'interno di una comunità formale, eppure incredibilmente umana e infantile. Non mancano i momenti da portare nell'immaginario collettivo, dalle partite di pallavolo al finto papa che si strafocchia di cibo in attesa che il vero papa torni al suo posto. Il personaggio di Piccoli è un punk che non ammette repliche, un attore fallito che a ottantacinque anni è ancora pronto a mettersi in gioco, a ribellarsi e a voler vivere. Il suo grande rifiuto è la celebrazione del libero arbitrio, della libertà di scelta, forse la più grande espressione di umanesimo che sia mai stata creata. E Nanni facendoci ridere molto spesso, ci suggerisce che dietro a ogni costume, a ogni formalismo ci sono carne e fiato, dubbi e insicurezze. Uno dei migliori film italiani degli ultimi anni e uno dei più belli dell'unico autore in Italia che può permettersi di raccontare quello che vuole, mettendo però sempre l'uomo al centro del suo discorso esistenzial-politico.
domenica 10 aprile 2011
Kick Ass (voto 9)
"Nella vita sono mai stato un supereroe? Ho avuto solo tanta buona volontà e una capacità incredibile di saper prendere calci"Ciascuno di noi, almeno per un periodo della sua vita, ha pensato di voler diventare un supereroe piuttosto che una rockstar. Ciascuno di noi ha avuto un angolo personale incompreso nella sua cameretta, nel quale si è rifugiato per leggere fumetti o per ascoltare i suoi album del cuore. 'Kick Ass' è un film pulp e iperviolento che parla di sogni, di passioni e di giochi. Il protagonista Aaron Johnson (qui davvero convincente dopo il deludente John Lennon di 'Nowhere Boy') è il classico geek americano, goffo e inadeguato, che addirittura si finge gay per conquistare la ragazza che ama. Grazie ai nuovi mezzi di comunicazione e a una impavidità senza pari, riesce a diventare un supereroe dal nome di Kick Ass (letteralmente, calcio nel culo). Non è molto rilevante, però, il fatto che lo diventi perchè ciò su cui il regista Matthew Vaughn mette l'accento sono i suoi tentativi tragicomici e assolutamente improbabili per dare vita ai suoi sogni e alle sue ingenue fantasie. 'Kick Ass' è il ribaltamento della realtà, l'opposto della verosimiglianza ma nello stesso tempo è ciò che di più autentico potesse esprimere un film tratto da un fumetto. Le vere e proprie carneficine messe in atto dalla piccolissima e meravigliosa Chloe Moretz sono la definitiva vendetta dell'infanzia nei confronti del mondo degli adulti, volgare e televisivo. E' una violenza liberatoria e rivoluzionaria espressa in maniera inevitabilmente eccessiva. Sarebbe divertente la definizione di un teen movie diretto da Tarantino ma la sensibilità poetica e umana di 'Kick Ass' mi fanno pensare ancor di più a Wes Anderson che gira il remake di 'Spiderman'. Se da grandi poteri derivano grandi responsabilità, da nessun potere non dovrebbe derivare alcuna responsabilità eppure non è così, purtroppo o per fortuna. Gli eroi del film di Vaughn fanno conto soltanto sul loro ingegno, sulla loro irruenza e cattiveria, non hanno nè batmobili nè ragnatele che escono dalle dita. Quelle vengono lasciate alle collezioni di albi sugli scaffali. Ogni luogo del film è un mattatoio nel quale le ragioni per uccidere sono solo individuali, il riscatto sociale e la vendetta. Non esistono ideali assoluti nelle loro azioni, esiste però la voglia di fuggire e di giocare. 'Kick Ass' non è un inno alla violenza. La violenza espressa è del tutto irreale e assurda perchè non può che limitarsi ai livelli immaginifici, quelli dei sogni e dei giochi. Per questo, Kick Ass e Hit Girl fanno fuori tutti. Perchè, di fronte a una realtà che ha smesso di usare l'immaginazione, il cinema è uno dei pochi mezzi per rendere reale l'irreale. Bello e Cattivo.
lunedì 4 aprile 2011
Nessuno Mi Può Giudicare (voto 4)
Esistono cinepanettoni che in passato mi hanno fatto ridere a crepapelle, trovo Boldi e De Sica due bravi comici che avrebbero potuto sfruttare ancor meglio il loro potenziale e non sopporto lo snobismo nei loro confronti da parte di coloro che poi, magari, impazziscono per serie televisive altrettanto becere ma molto più presuntuose. I cinepanettoni hanno un grande pregio: la totale assenza di morale. Quella morale che, purtroppo, sta annacquando questo filone di film premiato dal pubblico ed etichettato come la Nuova Commedia Italiana, manco si parlasse dei vari Brizzi, Lucini & Co. come a dei nuovi Monicelli o Dino Risi. L'opera prima di Massimiliano Bruno s'inserisce nella categoria e si rivela uno dei peggiori esemplari. Poche gag a segno, critica sociale all'acqua di rose, buonismo imperante e, soprattutto, spreco di talenti. La Cortellesi non è certo Julia Roberts ma deve ancora trovare il ruolo che le dia il valore che merita e quello di escort per necessità non è certo nelle sue corde. Tralasciando Raoul Bova, 'Nessuno mi può giudicare' ha una serie di comprimari eccellenti che salvano il film dal naufragio. Rocco Papaleo è sensazionale ed è sua la battuta migliore ("E i neri sarebbero uguali ai bianchi? Ma che siamo, in un film di Nanni Moretti? Ve lo meritate, Nanni Moretti!"), Caterina Guzzanti e Lucia Ocone non sono inferiori alla Cortellesi per simpatia e bravura. Il qualunquismo col quale viene affrontato il mondo dell'escortaggio, però, è davvero tremendo ma ancor peggio è la morale che ne viene fuori. Per chi non conoscesse i miei gusti, non sono assolutamente prevenuto verso la commedia italiana populista. Ho trovato grande Checco Zalone, mi sono emozionato con le notti prima degli esami e non mi è dispiaciuto neanche 'Benvenuti al Sud'. E' anche vero che quando si mira in alto e si pretende addirittura la lezioncina annessa a critica sociale, non è possibile aggrapparsi alla simpatia dei protagonisti. E Massimiliano Bruno aggiunge al tutto una storia d'amore assolutamente improbabile tra una vedova della Roma bene e un Raoul Bova borgataro. Posso dirlo? Brutta roba.
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