martedì 29 gennaio 2013

Flight

Robert Zemeckis ha finalmente terminato di rompere i coglioni con la motion capture ed è tornato al Grande Cinema. 'Flight' è il suo lavoro più oscuro ed emozionante, che si pone subito dietro ai conclamati capolavori di 'Ritorno al futuro' e 'Forrest Gump'. Sempre interessato alle potenzialità tecniche infinite della macchina da presa, Robert non è un semplice sperimentatore ma un cesellatore di emozioni, in grado di utilizzare l'effetto speciale come espressione cinematografica funzionale alla narrazione, al sentimento. So che questo della funzionalità è un discorso che ripeto spesso sul blog, ma per me è fondamentale. Non amo il cinema fine a se stesso ma neanche il cinema che non coinvolge. Se la spettacolarità delle immagini è densa di significato, allora ben vengano le innovazioni tecnologiche. In questo senso, la prima mezz'ora di 'Flight' è un pezzo indimenticabile del cinema contemporaneo (a differenza della trilogia sulla motion capture, puro onanismo). Ma quello che rende l'ultimo film di Zemeckis un'autentica sorpresa è il coraggio con il quale vengono posti al centro del discorso questioni etiche, che raramente vengono affrontate. Quanto possono incidere le dipendenze sul nostro grado di professionalità? Chi compie un gesto eroico è sempre e comunque un eroe? 'Flight' parla di demoni e alcolismo, di menzogne e cocaina, l'unica "medicina" che possa rendere presentabile chi beve, tutto il giorno, tutti i giorni. Il regista americano prende di petto, seriamente, temi "scomodi" su cui non si ha più molta voglia di riflettere. Per il personaggio di Whip Whitaker, interpretato da un fantastico Denzel Washington (bentornato anche a te, era ora), gli alcolici sono ciò che gli permettono di non soffrire, di dimenticare le sconfitte, mentre la cocaina è ciò che gli dà la possibilità di "riprendersi" e di pilotare, l'unica cosa di cui è capace. Quando compie il miracolo di evitare un disastro aereo, salvando la vita a 96 persone, si trova stretto in un angolo a scegliere tra l'autodistruzione e la prigione. Oltre all'impressionante sequenza dell'incidente, non si può dimenticare quella in cui Whitaker è solo, in una stanza d'albergo, e sente il richiamo del frigobar, pieno zeppo di bevande alcoliche. E' vero, si potrebbe rimproverare a Zemeckis la scelta di un finale buonista e politicamente corretto. Ciononostante, sarebbe ingeneroso non premiare la grandezza, la pulizia narrativa, l'intensità di 120 minuti su 138. Certo, si può sempre preferire la lezioncina da sussidiario delle medie di Spielberg e del suo 'Lincoln', che ignora completamente gli sforzi che hanno compiuto gli schiavi per accelerare il processo di emancipazione dagli oppressori e si preoccupa soltanto di un'agiografia paracula per essere premiato agli Oscar. C'è chi dice no. Io mi tengo stretto le storie degli sconfitti, degli alcolizzati, che non hanno modo di riscattare la propria vita neanche quando salvano quella degli altri.

Emiliano Dal Toso



martedì 22 gennaio 2013

TeleCommando: Black Dahlia

Venerdì 25 gennaio, 21.10, Rai Movie.
 
 E all'improvviso viene fuori che la televisione serve a qualcosa. Tra le De Filippi, i Costanzi, i Santori, i Fazi e Saviani, ogni tanto qualcuno si degna di trasmettere bei film. Tra pochi giorni verrà messo in onda "Black Dalia" del maestro Brian De Palma. Consiglio a tutti di guardarlo perchè è un capolavoro del noir contemporaneo. Dalle pagine di questo blog ho detto che il noir è morto negli anni Cinquanta. È vero. Occasionalmente, però, qualche autore si sforza di resuscitarlo, come ha fatto De Palma. Certo, cambia il linguaggio filmico rispetto ai grandi noir alla Bogart, qui è tutto più moderno. Tuttavia grazie alla storia, che esce direttamente dalla penna di James Ellroy, i caratteri del grande noir classico ci sono tutti. Un protagonista integerrimo e fragile, proletario vero, solo al mondo, figlio di un immigrato tedesco malato di Alzheimer, esposto alle dolci insidie amorose di femmine folli che lo amano, lo odiano, e che lui forse dovrà uccidere. Una ragazza di provincia, piccola e indifesa, che viene trovata uccisa, orrendamente deturpata, bambola rotta in un fosso alla periferia di Los Angeles. Poliziotti corrotti, papponi, ricchi senza scrupoli. In mezzo ai tanti cattivi, ai traditori, alle donne annientate dalla vita, l'eroe sbilenco afferma il suo senso di giustizia. Perfora le classi sociali dell'America del secondo dopoguerra, dal basso verso l'alto, le attraversa e trova il marcio dappertutto. Il cast è notevolissimo. Scarlett Johansson, Aaron Eckhart, Hilary Swank, la bravissima Fiona Shaw. E poi c'è il protagonista, a mio giudizio, il più superfichissimo di Hollywood, Josh Hartnett. Insomma, femminucce, questo film per uomini duri potete guardarlo anche voi. Di sicuro non vi annoierete.

Ivan Brentari

 


sabato 19 gennaio 2013

Il Pregiudizio: Spring Breakers

- Non l'ho visto, ma è come se l'avessi visto - Nanni Moretti

Esce il 7 marzo 2013.

Salvo sorprese dell'ultimo minuto, uscirà incredibilmente anche in Italia l'ultimo lavoro di Harmony Korine, regista amato dai cinefili e particolarmente apprezzato nei festival indipendenti. 'Spring Breakers' riprende la descrizione di quella gioventù bruciata che era desolatamente al centro dei copioni di 'Kids' e di 'Ken Park', diretti dall'ex amico e collega Larry Clark. Presentato a Venezia, il film ha suscitato numerose polemiche per le scene grottesche impepate di sesso, droga e violenza ed ha paradossalmente attirato l'attenzione di centinaia di brufolose ragazzine che hanno provato ad occupare il red carpet per prendere d'assalto le loro beniamine Selena Gomez, Ashley Benson e Vanessa Hudgens. Quando avranno modo di guardare il film, queste ragazzine rimarranno irrimediabilmente turbate. 'Spring Breakers', infatti, mira a demolire l'immagine edulcorata e disneyana delle attrici/cantanti sopra citate, per rivelarne tutta la loro mostruosa plastificazione. Sarcastico e impietoso, Korine ritrae una generazione psicologicamente distrutta, espressione di un vuoto esistenziale alla disperata ricerca dell'autoassoluzione, per la quale l'immagine e la forma hanno definitivamente cancellato ogni illusione di sviluppo intellettuale, culturale, umano.

Emiliano Dal Toso

Il Pregiudizio: Il Grande Gatsby

 - Non l'ho visto ma è come se l'avessi visto - Nanni Moretti

Esce il 16 maggio 2013.

Dopo il flop di 'Australia', Baz Luhrmann ritorna a mettere le mani su un classico della letteratura, ovvero 'Il grande Gatsby' di Scott Fitzgerald, per rimodellarlo a suo piacimento attraverso quello stile sfarzoso e quell'estetica pop che già avevano caratterizzato 'Moulin Rouge' e 'Romeo + Giulietta'. Il risultato è un fuoco d'artificio che irriterà i classicisti snob ed entusiasmerà, invece, chi ama i forti contrasti tra passato e contemporaneità, tra Storia e attualità, tra sacro e profano. Non c'è la minima intenzione di adeguarsi ai ricatti della fedele ricostruzione letteraria: a Luhrmann interessa l'eccesso, individuare lo spirito del tempo, del nostro tempo, che passa sempre e comunque per i capisaldi, i punti di riferimento della nostra cultura. Per farlo, si serve di un cast straordinario: Di Caprio è un Gatsby eccezionalmente controverso e affascinante, mentre Carey Mulligan è un colpo di fulmine istantaneo.

Emiliano Dal Toso



mercoledì 16 gennaio 2013

Critica Vs. Pubblico: Twilight

La saga di Twilight prende le distanze da quelle de Il Signore Degli Anelli, di Star Wars o degli Harry Potter per il fatto che il vero centro del discorso non sono i temi più classici del fantasy o della fantascienza. Infatti, gli elementi fantastici e orrorifici che vengono utilizzati nei diversi episodi sono un puro pretesto. Il punto nevralgico del racconto twilightesco sono, invece, tutti quei sintomi che legano l’adolescenza all’esperienza amorosa e sessuale. Non l’ho mai letto da nessuna parte in maniera esplicita ma il motivo per cui milioni di adolescenti si sono identificati nei romanzi di Stephenie Meyer è il sesso. Sesso che viene costantemente e ripetitivamente rimandato, atteso, sospirato. Esattamente quello che accade durante l’età adolescenziale, quando attrazione fisica è sinonimo di innamoramento e le prime esperienze sessuali vengono soltanto immaginate, desiderate, fantasticate. Quanto può durare, però, l’adolescenza, da questo punto di vista? Difficile a dirsi. Per alcuni, potrebbe non finire mai. Per questo, Twilight è apparentemente un prodotto diretto a un preciso target di pubblico, in realtà ha una pressochè infinita gamma di possibili destinatari. Non c’è bisogno che nessuno stia a sottolineare che la saga di Twilight abbia pochissima qualità meramente cinematografica: dalla recitazione molto approssimativa dei protagonisti ai dialoghi da telefilm, agli effetti speciali alla Smallville. Quello che rimane e che conta davvero è la tensione erotica tra i protagonisti, che non ha mai modo di tramutarsi in esperienza compiuta (tranne che in Breaking Dawn, l’episodio finale). Kristen Stewart è carne fresca, che non aspetta altro che farsi divorare dal vampirone Robert Pattinson. La loro monoespressività è assolutamente funzionale al racconto, che si regge esclusivamente su questa diabolica intuizione. Piaccia o meno, la Meyer e Melissa Rosenberg (la sceneggiatrice, autrice della famosa serie The O.C.) hanno avuto il merito di individuare un desiderio universale e immortale, ed esprimerlo in un linguaggio che ha efficacemente interpretato lo spirito del nostro tempo.
 
Emiliano Dal Toso




giovedì 10 gennaio 2013

Opinions: Nominations Oscar 2013

Come sempre, quelli dell'Academy si confermano un gruppo di miserabili (per citare uno dei candidati) e non inseriscono nella lista per il miglior film nè in quella per la miglior regia 'The Master' di Paul Thomas Anderson, palesemente il più grande regista americano degli ultimi vent'anni. Probabilmente, perchè il suo cinema persegue quel processo di abbattimento delle icone americane che tanto fa arrossire e imbarazzare la giuria degli Oscar. Hanno avuto almeno la decenza di candidare gli inarrivabili Joaquin Phoenix per miglior attore protagonista e Philip Seymour Hoffman per non protagonista. Ovviamente, tifiamo per loro. Il primo se la dovrà vedere con il grande Daniel Day Lewis per 'Lincoln', mentre ci rifiutiamo di credere che possano vincere la statuetta gli altri candidati, cioè Bradley Cooper, Hugh Jackman e Denzel Washington, che lo vinse già per 'Training Day' in maniera molto generosa. Il secondo, invece, non dovrebbe avere rivali perchè Waltz lo ha vinto tre anni fa per 'Bastardi senza gloria' mentre De Niro, Alan Arkin e Lee Jones sono un terzetto di vecchietti niente male, che però non dovrebbe impensierire il gigantesco interprete del personaggio di Lancaster Dodd/Ron Hubbard. Tra le attrici non protagoniste, il nostro cuore batte per la bravissima (ed eroticissima) Anne Hathaway ('Les Miserables'), candidata insieme a Sally Field, Jackie Weaver, Helen Hunt ed Amy Adams. Sarà, invece, sfida tra Jessica Chastain e Jennifer Lawrence, rispettivamente per 'Zero Dark Thirty' e 'Il lato positivo', per quanto riguarda l'ambita statuetta di attrice protagonista. Nel ruolo di outsider Naomi Watts ed Emmanuelle Riva. Aspettiamo di vedere i film prima di indicare la nostra preferita. Purtroppo, non c'è 'Cesare deve morire' tra i candidati a miglior film straniero, che vedrà trionfatore indubbiamente 'Amour' di Haneke, candidato anche tra i miglior film in assoluto. Veniamo, infine, alle nomination per la statuetta principale. Non c'è 'The Master' ma almeno c'è lo strepitoso 'Django Unchained' di Quentin Tarantino. Tifiamo per lui ma la sensazione è che non vincerà. Oltre ad 'Amour', abbiamo visto 'Vita di Pi' e 'Les Miserables', prodotti medi assolutamente non trascendentali. La gara sarà tra 'Lincoln' di Spielberg, 'Zero Dark Thirty' della Bigelow e 'Argo' di Ben Affleck, che ha sorprendentemente vinto il Golden Globe come miglior film drammatico. Il primo esce il 24 gennaio, il secondo il 7 febbraio mentre il terzo è uscito a novembre ma, presumibilmente, verrà recuperato.

Emiliano Dal Toso


Anne Hathaway, Les Miserables


domenica 6 gennaio 2013

I Film da 10 del Nuovo Millennio

2000
American Beauty
- Sam Mendes
Magnolia - Paul Thomas Anderson
Man On The Moon - Milos Forman
I Cento Passi - Marco Tullio Giordana
 
2001
L'Uomo Che Non C'Era - Joel ed Ethan Coen

2002
Mulholland Drive - David Lynch
Alì - Michael Mann
Parla Con Lei - Pedro Almodovar
I Tenenbaum - Wes Anderson
L'Uomo Senza Passato - Aki Kaurismaki

2003
La Venticinquesima Ora - Spike Lee
Elephant - Gus Van Sant
Mystic River - Clint Eastwood
Dogville - Lars Von Trier
Lost In Translation - Sofia Coppola

2004
Big Fish -
Tim Burton
Collateral - Michael Mann
Se Mi Lasci Ti Cancello - Michel Gondry

2005
Million Dollar Baby - Clint Eastwood
Old Boy - Park Chan Wook
Broken Flowers - Jim Jarmusch

2006
Match Point -
Woody Allen
Il Vento Che Accarezza L'Erba - Ken Loach

2007
Vero Come La Finzione -
Marc Forster
Le Vite Degli Altri - Florian Henckel von Donnersmarck
Suxbad - Greg Mottola

2008
Into The Wild -
Sean Penn
Il Petroliere - Paul Thomas Anderson
Il Divo - Paolo Sorrentino

2009
The Wrestler -
Darren Aronofsky
Adventureland - Greg Mottola
Il Nastro Bianco - Michael Haneke

2010
Departures -
Yojiro Takita
The Social Network - David Fincher

2011
Il Cigno Nero -
Darren Aronofsky
Miracolo a Le Havre - Aki Kaurismaki

2012
Cesare Deve Morire -
Paolo e Vittorio Taviani
Un Sapore Di Ruggine E Ossa - Jacques Audiard

2013
The Master
- Paul Thomas Anderson
Django Unchained - Quentin Tarantino

Continua...




L'Uomo Che Non C'Era, l'unico capolavoro del 2001


giovedì 3 gennaio 2013

The Master

Come hai fatto a trovarmi.

Sembrava che il sesto film di Paul Thomas Anderson dovesse essere il racconto della nascita di Scientology e l'idea che uno dei registi americani più indipendenti e pirotecnici mettesse mano sulla genesi di una delle sette più potenti e chiacchierate del Sistema americano (e non solo) ha sollevato fantasie e polemiche su che cosa sarebbe potuto venirne fuori. No, The Master non è una biografia, non è un film storico, non è un film che ripercorre delle tappe. Scientology, Dianetics, Ron Hubbard sono soltanto un pretesto per raccontare l'incontro tra due uomini agli antipodi: l'uno dominatore e seduttore, fondatore di una dottrina che offre delle risposte a chi è in balìa dei propri demoni; l'altro tormentato e sedotto, marinaio reduce dalla seconda guerra mondiale in preda all'alcolismo e alla confusione esistenziale. L'uno sicuro di sè e della propria forza ammaliatrice, l'altro anima fragile. Ciascuno ha bisogno dell'altro: il primo per poter dimostrare l'infallibilità del proprio credo, l'altro per poter essere accolto, perdonato e rieducato da qualcuno che si prenda cura di lui. Quello che si instaura non è, però, un semplice rapporto basato su una reciproca utilità, ma un vero sentimento d'amore. Un amore che deriva dall'utilitarismo e dalla funzione del ruolo di maestro e da quello di allievo, ma che si esprimerà autenticamente come quello tra un padre e un figlio. Il padre è Lancaster Dodd (un mastodontico, immenso Philip Seymour Hoffman) che necessita di un figlio come Freddie Quell (un intenso, doloroso Joaquin Phoenix) per poter reindirizzare qualcuno sulla retta via, per poter legittimare il significato che lui stesso ha dato all'Esistenza e averne una controprova. Freddie è un disgraziato che non può far altro che aggrapparsi alla possibilità di una nuova famiglia, lui che non ha più nessuno, e non può averlo perchè la guerra gli ha tolto tutto, innanzitutto la dignità di essere umano. Lancaster è una opportunità e La Causa (il nome fittizio della dottrina) può essere il fondamento su cui poggiare delle nuove convinzioni, la propria morale, ed espiare il proprio senso di colpa. The Master non è la storia di Scientology ma una riflessione sul significato che hanno movimenti, sette e personaggi che si propongono di dare un Senso, un abbraccio spirituale a chi ha perduto ogni punto di riferimento. E' un film sulla fede, sulle religioni, su quegli ideali che sono sempre e soltanto dettati dal tentativo di reazione allo sconforto e alla disperazione. E può trattarsi di qualsiasi agglomerato di persone che si raccoglie dietro a un dogma che non faccia i conti con la tragicità, le contraddizioni e l'insensatezza delle cose, illudendo che la vita sia facile. Ora, questo può essere tradotto in una comunità religiosa o in un partito politico. Ma può essere anche qualcosa di molto più banale, che riguarda ciascuno di noi e al quale ci affidiamo senza rendercene conto. The Master parla di questo ed è un capolavoro. Quando, nel blog, auspico un cinema che dal particolare diventa universale mi riferisco proprio a film di questo calibro e ad autori immensi come Paul Thomas Anderson, che concepiscono la Settima Arte come una tecnica strumentale al risultato, come una visione finalizzata al significato. E come una filosofia che racchiude l'Assoluto e poi scompare.

Emiliano Dal Toso

La Migliore Offerta

Il cinema di Giuseppe Tornatore ha due volti nettamente distinti. Il primo è quello felicemente malinconico, quello che gli ha fatto ottenere l'Oscar, quell'autobiografismo bigger than life emozionante e scontato, popolare e cerchiobottista, che lo fa piacere un po' de qua e un po' de là. Per intenderci, quello dell'infanzia e dei Philippe Noiret, quello dei pianisti sull'oceano e dei Tim Roth, quello dell'autoerotismo e delle Monica Bellucci. Purtroppo, anche quello che è naufragato nel tronfio e confuso Baarìa, la sua opera peggiore di sempre. Il secondo è più oscuro, complesso ma indubbiamente più interessante, cioè quello che lo ha consacrato come un autore sensibile e feroce ne La sconosciuta e in Una pura formalità, il suo lavoro migliore. Fino ad ieri. Da oggi, con grande sorpresa e piacere, è possibile annoverare tra i capolavori del regista siciliano La Migliore Offerta, il primo film distribuito nelle sale cinematografiche nel 2013. Si tratta di un inizio grandioso. Peppuccio ha tenuto riservato il set e ha anticipato pochissimo sulla trama. Si sa che il cast è di levatura internazionale e che l'ambientazione è in una indefinita città europea. Il protagonista è Geoffrey Rush nei panni di un battitore d'aste solitario ed enigmatico. Non aggiungerei altro. Lo sviluppo narrativo è talmente coinvolgente e coraggioso che merita di non essere svelato. Per definizione dello stesso Tornatore, è "un film sull'arte intesa come sublimazione dell'amore, ma anche un film sull'amore inteso come frutto dell'arte." E', però, anche una riflessione dolorosa e attuale sulla maniacalità e sull'ossessione, sul collezionismo e sull'alienazione, concetti che vengono genialmente riconcepiti in un'ottica salvifica. Non c'è dubbio che La Migliore Offerta possieda una forza contenente uno spirito dei tempi cupo e pessimista. Non ho in mente un Tornatore così privo di speranza, così abbandonato a una disillusione cosmica. Per la prima volta, i suoi personaggi non offrono alcuna empatia con lo spettatore, rimanendo distaccati e ostici anche nei momenti apparentemente più rilassati. Alcuni passaggi, addirittura, sembrano provenire dall'horror, raccontati nella tessitura del thriller. Ciononostante, non mancano battute di grande brillantezza ("Vivere con una donna è come un’asta: non sai mai se la tua è la migliore offerta" oppure "Nella simulazione c'è sempre qualcosa di autentico. Si può simulare anche l'amore?"). Esteticamente, è un film di una eleganza strepitosa ma di fronte a una sostanza talmente terribile e viscerale la forma passa in secondo piano, cosa insolita per Tornatore. Inutile rimarcare la grandezza di un attore come Rush, mentre è da evidenziare il ritorno di un Morricone in gran forma, che offre un tessuto sonoro variegato e sorprendente, perfettamente in armonia con i toni ambigui e disturbanti di una inaspettata pietra miliare del cinema del nuovo millennio.

Emiliano Dal Toso