Come hai fatto a trovarmi.
Sembrava che il sesto film di Paul Thomas Anderson dovesse essere il racconto della nascita di Scientology e l'idea che uno dei registi americani più indipendenti e pirotecnici mettesse mano sulla genesi di una delle sette più potenti e chiacchierate del Sistema americano (e non solo) ha sollevato fantasie e polemiche su che cosa sarebbe potuto venirne fuori. No, The Master non è una biografia, non è un film storico, non è un film che ripercorre delle tappe. Scientology, Dianetics, Ron Hubbard sono soltanto un pretesto per raccontare l'incontro tra due uomini agli antipodi: l'uno dominatore e seduttore, fondatore di una dottrina che offre delle risposte a chi è in balìa dei propri demoni; l'altro tormentato e sedotto, marinaio reduce dalla seconda guerra mondiale in preda all'alcolismo e alla confusione esistenziale. L'uno sicuro di sè e della propria forza ammaliatrice, l'altro anima fragile. Ciascuno ha bisogno dell'altro: il primo per poter dimostrare l'infallibilità del proprio credo, l'altro per poter essere accolto, perdonato e rieducato da qualcuno che si prenda cura di lui. Quello che si instaura non è, però, un semplice rapporto basato su una reciproca utilità, ma un vero sentimento d'amore. Un amore che deriva dall'utilitarismo e dalla funzione del ruolo di maestro e da quello di allievo, ma che si esprimerà autenticamente come quello tra un padre e un figlio. Il padre è Lancaster Dodd (un mastodontico, immenso Philip Seymour Hoffman) che necessita di un figlio come Freddie Quell (un intenso, doloroso Joaquin Phoenix) per poter reindirizzare qualcuno sulla retta via, per poter legittimare il significato che lui stesso ha dato all'Esistenza e averne una controprova. Freddie è un disgraziato che non può far altro che aggrapparsi alla possibilità di una nuova famiglia, lui che non ha più nessuno, e non può averlo perchè la guerra gli ha tolto tutto, innanzitutto la dignità di essere umano. Lancaster è una opportunità e La Causa (il nome fittizio della dottrina) può essere il fondamento su cui poggiare delle nuove convinzioni, la propria morale, ed espiare il proprio senso di colpa. The Master non è la storia di Scientology ma una riflessione sul significato che hanno movimenti, sette e personaggi che si propongono di dare un Senso, un abbraccio spirituale a chi ha perduto ogni punto di riferimento. E' un film sulla fede, sulle religioni, su quegli ideali che sono sempre e soltanto dettati dal tentativo di reazione allo sconforto e alla disperazione. E può trattarsi di qualsiasi agglomerato di persone che si raccoglie dietro a un dogma che non faccia i conti con la tragicità, le contraddizioni e l'insensatezza delle cose, illudendo che la vita sia facile. Ora, questo può essere tradotto in una comunità religiosa o in un partito politico. Ma può essere anche qualcosa di molto più banale, che riguarda ciascuno di noi e al quale ci affidiamo senza rendercene conto. The Master parla di questo ed è un capolavoro. Quando, nel blog, auspico un cinema che dal particolare diventa universale mi riferisco proprio a film di questo calibro e ad autori immensi come Paul Thomas Anderson, che concepiscono la Settima Arte come una tecnica strumentale al risultato, come una visione finalizzata al significato. E come una filosofia che racchiude l'Assoluto e poi scompare.
Emiliano Dal Toso
Emiliano Dal Toso
Nessun commento:
Posta un commento