domenica 14 dicembre 2014

I Film Dell'Anno Degli Amici Lettori

Mai successo. Non era mai successo che i tre film più votati dagli amici lettori del blog fossero gli stessi della superclassifica: 'The Wolf Of Wall Street' di Martin Scorsese, 'Mommy' di Xavier Dolan, 'Nymphomaniac' di Lars von Trier. Tre lavori radicali, amatissimi ma anche odiati, che hanno diviso critica e pubblico. Gli amici lettori, però, hanno dimostrato coraggio e intelligenza nelle loro segnalazioni, e per la prima volta, la sintonia tra 'Il bello, il brutto e il cattivo' e i suoi fedelissimi è stata totale.

Alice Grisa
The Wolf Of Wall Street
Nymphomaniac
Boyhood

Alvise Wollner
Nymphomaniac
Grand Budapest Hotel
Mommy

Andrea Devisionis
Lo Sciacallo
22 Jump Street
The Lego Movie

Angelica Gallo
The Wolf Of Wall Street
Nymphomaniac
Cam Girl

Arianna Montanari
Mommy
Frances Ha
Lei

Fabio Beninati
Due Giorni, Una Notte
Nymphomaniac
Mommy

Francesca Mandelli
Dallas Buyers Club
Lei
The Wolf Of Wall Street

Giancarlo Mazzetti
Boyhood
Grand Budapest Hotel
The Look Of Silence

Giovanni Dal Toso
The Wolf Of Wall Street
Dallas Buyers Club
Sin City 2 - Una Donna Per Cui Uccidere

Graziano Biglia
Mommy
Ida
Grand Budapest Hotel

Jacopo Bravin 
The Wolf Of Wall Street
Nymphomaniac
Interstellar

Linda Grazia Pola
Mud
Smetto Quando Voglio
Alabama Monroe

Lorenzo Gramatica
Maps To The Stars
Snowpiercer
Boyhood

Luca Recordati
Mommy
The Look Of Silence
The Wolf Of Wall Street

Marco Dal Toso
Il Giovane Favoloso
Due Giorni, Una Notte
Smetto Quando Voglio

Marco Solè
Nebraska
The Wolf Of Wall Street
Locke

Martina Pattonieri
Mommy
Maps To The Stars
Under The Skin

Mattia De Gasperis
Boyhood
Lei
Mud

Mattia Palma
Sils Maria
Mommy
Frances Ha

Massimiliano Gavinelli
Mommy
Nymphomaniac
Alabama Monroe

Melis Rossi
Synecdoche, New York
La Gelosia
Storia Di Una Ladra Di Libri

Paolo Quaglia
Nebraska
The Wolf Of Wall Street
I Mercenari 3

Riccardo Tanco
Sils Maria
Solo Gli Amanti Sopravvivono
Father And Son

Umberto Villa
Grand Budapest Hotel
The Wolf Of Wall Street
American Hustle

9 The Wolf Of Wall Street
8 Mommy
6 Nymphomaniac
4 Boyhood, Grand Budapest Hotel
3 Lei
2 Alabama Monroe, Dallas Buyers Club, Due Giorni Una Notte, Frances Ha, Maps To The Stars, Mud, Nebraska, Sils Maria, Smetto Quando Voglio, The Look Of Silence
1 Cam Girl, Sin City 2, Ida, Snowpiercer, Il Giovane Favoloso, Under The Skin, Synecdoche New York, La Gelosia, Storia Di Una Ladra Di Libri, Solo Gli Amanti Sopravvivono, Father And Son, Interstellar, Locke, I Mercenari 3, American Hustle, Lo Sciacallo, 22 Jump Street, The Lego Movie

I FILM DELL'ANNO DEGLI AMICI LETTORI
2011 Melancholia - Lars von Trier
2012 Moonrise Kingdom - Wes Anderson
2013 Django Unchained - Quentin Tarantino
2014 The Wolf Of Wall Street - Martin Scorsese






lunedì 8 dicembre 2014

La Superclassifica Del 2014

20 - Apes Revolution - Il Pianeta Delle Scimmie - Matt Reeves
Eccellente blockbuster adulto, che pone quesiti per nulla scontati come l'illusorietà di una tolleranza permanente tra razze diverse e la fragilità del concetto di pace e di uguaglianza. Superiore per intensità, cupezza e allegoria politica alle precedenti versioni di Schaffner e di Burton.

19 - Storie Pazzesche - Damiàn Szifròn
Sei storie accomunate dall'esasperazione dei sentimenti, dall'istinto distruttivo e autodistruttivo dell'Uomo, schiacciato dall'oppressione delle istituzioni e succube dell'ambizione e del benessere economico. Feroce, sarcastico, potente.

18 - Lo Sciacallo - Dan Gilroy
Duro e credibile ritratto di un trentenne senza lavoro che si improvvisa videoreporter senza scrupoli, abbattendo dubbi etici e limiti di visibilità. Uno scavato e inquietante Jake Gyllenhaal si aggira nella notte di Los Angeles alla ricerca dell'ultimo shock mediatico da vendere.

17 - Alabama Monroe - Felix van Groeningen
Un po' Walk The Line e un po' Blue Valentine, passa meravigliosamente indenne di fronte ai ricatti del cancer movie. Struttura narrativa a incastro, per guardare nello specchietto retrovisore e recuperare i passaggi migliori della nostra Vita, anche quando il dolore prende il sopravvento.

16 - Nebraska - Alexander Payne
Grandioso elogio di perdenti di una provincia americana spettrale, oscurata dalla crisi finanziaria. Un'analisi dei rapporti familiari amara, nella quale non mancano sfumature leggere e poetiche: il finale è la rivincita di chi non può far altro che aggrapparsi alle piccolezze per sopravvivere.

15 - Maps To The Stars - David Cronenberg
Hollywood brucia, mentre si assiste a tragedie inumane, ma il tono rimane immobile e gelido perché il punto di vista è quello dello smartphone. Cronenberg recupera il graffio dei tempi migliori e ritrae il putrido, nel quale non c'è altro al di fuori del tornaconto e non c'è paura oltre l'invecchiamento estetico.

14 - Under The Skin - Jonathan Glazer
Ambiziosa e immaginifica riflessione sull'altro, spogliata di intellettualismi, imperfetta ma debordante di stimolazioni visive e sensoriali. Meravigliosa Scarlett Johansson, strumento di predazione prima, e poi vittima della sua diversità e della sua attrazione.

13 - Locke - Steven Knight
Un gigantesco Tom Hardy si barcamena tra calcestruzzo, amante che partorisce e moglie che lo abbandona: mentre il figlio lo aspetta per il Tottenham, lui rischia di perdere lavoro e famiglia dall'interno della sua automobile. Il display telefonico è il narratore, il singolo è alla deriva.

12 - Frances Ha - Noah Baumbach
Ritratto di una romantica ventisettenne aspirante ballerina, all'alba della maturità individuale, abbandonata da tutte le certezze, dalla migliore amica e decisamente "infidanzabile". Greta Gerwig immensa, raro esempio di attrice dotata di autoironia e vis comica, alla quale piacciono "le cose che sembrano errori".

11 - Anime Nere - Francesco Munzi
Sconvolgente racconto di "malavita", teso, tetro, durissimo, sull'inevitabilità della violenza e del Male. Non ci sono scorciatoie, non ci sono moralismi né consolazioni: lo spettatore può finalmente godere soltanto di un Noir, crudo e spietato, nient'altro.

10 - Scemo E Più Scemo 2 - Fratelli Farrelly
Non si ride molto, la maggior parte delle gag è ripugnante, spiazzante e di pessimo gusto. Dopo vent'anni, i Farrelly si adeguano alla morte del comico, rimpiazzata dal cinismo del web e dall'esibizionismo di YouTube. E girano un altro capolavoro: funebre, anarchico, erede della poetica weird di John Waters.

9 - Due Giorni, Una Notte - Fratelli Dardenne
I Dardenne rimettono al centro del proprio farecinema il lavoro, ma con un'inusuale carica scarna e popolare. Nessun orpello, soltanto la sofferenza, la lotta, il coraggio di una grande Marion Cotillard che battaglia per la sopravvivenza economica e per la dignità di essere umano.

8 - Il Regno D'Inverno - Nuri Bilge Ceylan
Un'opera colta e generosa, che attraverso i tempi morti della Vita ne evoca l'amarezza, la vacuità, l'inevitabile rancore di chi non è stato in grado di indirizzarla sui binari del proprio modo d'essere. Un film non semplice, senz'altro faticoso, ma che innalza Ceylan a punto di riferimento intellettuale, non più elitario.

7 - The Counselor - Ridley Scott
Altre anime nere, stelle iper-hollywoodiane (Fassbender, Bardem, Cruz, Pitt) destinate a una fine davvero tremenda. Svetta Cameron Diaz, seduttrice pronta a stringere patti con il lato oscuro. Il miglior Ridley Scott da Thelma e Louise, insieme a Cormac McCarthy, non lascia nessuna via d'uscita.

6 - Mud - Jeff Nichols
Jeff Nichols è il nuovo cantore delle badlands e degli innamorati non corrisposti, dei fuorilegge e degli sceriffi codardi. Illusioni e delusioni nel passaggio dall'adolescenza all'età adulta, osservando e partecipando al destino dei propri eroi, romantici e controversi.

5 - Mommy - Xavier Dolan
Una sorpresa furiosa, travolgente. Il cinema di Xavier Dolan è naif, artigianale, un po' kitsch e sfacciatamente pop. Ma se il valore di un'opera cinematografica si misura con l'emozione, allora Mommy è il nostro film. Perché se il futuro non è duro, il passato ha stufato. Perché quando il giovane protagonista Steve apre letteralmente il formato delle immagini, noi vogliamo soltanto affetto brutale.

4 - Sils Maria - Olivier Assayas
Quello di cui si può essere certi è soltanto l'esclusività del punto di vista, l'irrinunciabilità alla prospettiva. E, in questo modo, il Teatro, il Cinema, la Vita vanno rielaborati: rinunciando al dovere dell'interpretazione e della giustificazione, ma accettando la propria condizione che è sempre e comunque nebulosa e inafferrabile. Divine Juliette Binoche e Kristen Stewart, che si lascia Twilight alle spalle per uno dei personaggi femminili più affascinanti e sfumati degli ultimi anni.

3 - The Wolf Of Wall Street - Martin Scorsese
Se dovessi scegliere quale film di Scorsese portare su un'isola deserta, opterei per The Wolf Of Wall Street. Lo sceglierei per la sua trascinante colonna sonora, innanzitutto. Lo sceglierei per le performance irrefrenabili di Leonardo DiCaprio e di Jonah Hill, e per la gnoccaggine di Margot Robbie. Ma, soprattutto, lo sceglierei perché sotto gli strati di divertita e divertente commedia di cialtroni, si cela un consapevole senso di rassegnazione per la misera natura umana.

2 - Nymphomaniac - Lars von Trier
Lars, il nostro caro vecchio zio Lars, continua a raccontare l'inconciliabilità della natura femminile con quella maschile e le loro incolmabili differenze. Rifuggendo come sempre ogni moralismo e ogni forma di intellettualismo, Nymphomaniac è un altro capolavoro di un cineasta immenso che, come nessun altro, rappresenta sullo schermo la forza dell'umanesimo e ribadisce, mai domo, l'importanza, la centralità della libertà d'espressione.

- Boyhood - Richard Linklater
Un indimenticabile coming-of-age che prende di petto il desiderio di identificazione dello spettatore, ponendo l'interrogativo se il Cinema possa essere uno specchio fedele dell'esistenza, oppure se le necessità di sintesi debbano prendere il sopravvento. Il risultato è un miracolo cinematografico, affidato all'Ignoto, alla Storia che deve ancora essere scritta, che lascia spazio all'emozione: le giornate di Mason possiedono il dono magico dell'autenticità, e della lacrima.

MIGLIOR ATTORE: Tom Hardy (Locke)

MIGLIOR ATTRICE: Greta Gerwig (Frances Ha)

I FILM DELL'ANNO DE 'IL BELLO, IL BRUTTO E IL CATTIVO'

2011 Il Cigno Nero - Darren Aronofsky
2012 Un Sapore Di Ruggine E Ossa - Jacques Audiard
2013 The Master - Paul Thomas Anderson
2014 Boyhood - Richard Linklater






mercoledì 3 dicembre 2014

Flop Ten - I Bidoni Del 2014

10 - Gigolò Per Caso - John Turturro
Il film che certifica lo stato di salute deficitario di Woody Allen, dopo i passi falsi di To Rome With Love e di Blue Jasmine e in attesa del criticatissimo Magic in the moonlight. Lo vediamo nei panni del pappa di John Turturro, che s'improvvisa gigolò per soddisfare donne borghesi annoiate: che tristezza. Sharon Stone esteticamente e fisicamente eccellente, prova recitativa imbarazzante.

9 - Tre Cuori - Benoit Jacquot
Il lato oscuro del cinema francese. Un intreccio narrativo vecchio come il cucco, senza il minimo sussulto, presentato inspiegabilmente in Concorso alla Mostra di Venezia. Intellettualistico e mai palpitante, con l'aggravante di un finale brutto e immotivato. Charlotte Gainsbourg giù di corda, dopo aver concesso anima e corpo al genio sadico di Nymphomaniac.

8 - Monuments Men - George Clooney
Clooney bocciato senza possibilità di appello. Soltanto un regista veramente scarso poteva ricavare un'opera talmente statica, didascalica e pallosa da un'idea così meritevole: il recupero di migliaia di opere d'arte trafugate da Hitler da parte di un gruppo di esperti dell'esercito americano. Eppure, malgrado Murray, Goodman e Dujardin, avvince di più lo scorrere delle lancette sull'orologio.

7 - Allacciate Le Cinture - Ferzan Ozpetek
Talmente brutto da suscitare simpatia. Forse, Ozpetek ha definitivamente rinunciato a ogni tipo di ambizione autoriale, e si è arreso al suo istinto: un melodramma trash italiota, nel quale i bicipiti e il fondoschiena di Francesco Arca risultano essere più espressivi del suo viso. Scult immediato, tra i più divertenti dell'anno, seppur in maniera involontaria.

6 - Lei - Spike Jonze
Boiata Hipster Numero Tre, apologia dell'intimismo finto-depresso da social network. Joaquin Phoenix, uno degli attori della Nostra Vita, lo vorremmo strozzare. Spike Jonze perde definitivamente il confronto con il "cuginetto" Michel Gondry: tanto geniale e creativo quest'ultimo, quanto autoreferenziale e artificioso il primo.

5 - Grand Budapest Hotel - Wes Anderson
Boiata Hipster Numero Due, l'involuzione manierista e vuota di contenuti di un regista epocale. Un lavoro prefabbricato, richiesto a uso e consumo da un pubblico sempre più propenso a divertirsi per le stramberie e per le cazzatine ma sempre meno in grado di vivere un'esperienza cinematografica consistente. Il numero eccessivo di attori eccellenti soccombe alla totale mancanza di idee.

4 - Solo Gli Amanti Sopravvivono - Jim Jarmusch
Boiata Hipster Numero Uno, lo strazio esangue di un genio annoiato. Tornate di moda le storie di vampiri, Jarmusch esce dal letargo ma non se ne sentiva il bisogno. Sarebbe stato bello chiudere una carriera gloriosa con le amarezze di Broken Flowers, ed evitarsi questo tedio interminabile, del tutto privo di sostanza, per un pubblico radical-chic che ride in anticipo alle battute.

3 - Interstellar - Christopher Nolan
L'ambizione di Nolan di essere più grande del Cinema e della Vita naufraga inesorabilmente in un polpettone indigesto e senza fine. La complessità dell'intreccio, stavolta, non è sorretta da un'attenzione accettabile alle sfumature e alle psicologie dei personaggi: anzi, spesso si è travolti dalla sconfinatezza del ridicolo involontario.

2 - Trash - Stephen Daldry
Imbarazzante vincitore dell'ultimo Festival di Roma. Una sorta di The Millionaire ambientato nelle favelas di Rio De Janeiro, con un'attrice molto bella (Rooney Mara) e una delle trame più idiote e offensive degli ultimi anni. Insopportabilmente cartolinesco, del tutto incapace di ricevere attenzione malgrado il montaggio concitato.

1 - 12 Anni Schiavo - Steve McQueen
Noia mortale. Uno schematismo da prima elementare, da una parte i neri buoni e dall'altra i bianchi cattivoni. Sembra la risposta seriosa e priva di ironia di chi si è sentito offeso dinanzi al divertimento ludico e citazionista di Django Unchained. Lo stile di Steve McQueen si fa pedante, invasivo e gratuito, addirittura peggio della retorica spielberghiana di Amistad.

PEGGIOR ATTORE: Francesco Arca (Allacciate le cinture)
Ozpetek si concentra sui suoi bicipiti, sui suoi pettorali e sul suo fondoschiena ma si dimentica che un attore dovrebbe anche recitare. Meno espressivo che dalla De Filippi.

PEGGIOR ATTRICE: Sharon Stone (Gigolò per caso, Un ragazzo d'oro)
Pupi Avati ha dichiarato che ha un carattere terribile ed è poco professionale. Basic Instinct ha dimostrato che, a volte, è sufficiente accavallare le gambe per costruirsi una carriera.

I BIDONI D'ORO DE 'IL BELLO, IL BRUTTO E IL CATTIVO'

2011 La Pelle Che Abito - Pedro Almodovar
2012 Le Belve - Oliver Stone
2013 Solo Dio Perdona - Nicolas Winding Refn
2014 12 Anni Schiavo - Steve McQueen
















mercoledì 26 novembre 2014

Pagellino Novembre 2014

Sils Maria - Olivier Assayas 10: quello di cui si può essere certi è soltanto l'esclusività del punto di vista, l'irrinunciabilità alla prospettiva. E, in questo modo, il Teatro, il Cinema, la Vita vanno rielaborati: rinunciando al dovere dell'interpretazione e della giustificazione, ma accettando la propria condizione che è sempre e comunque nebulosa e inafferrabile. Divine Juliette Binoche e Kristen Stewart.

Due Giorni, Una Notte - Jean-Pierre e Luc Dardenne 9: i Dardenne rimettono al centro del proprio farecinema il lavoro, ma mai con questa essenzialità, con questa carica scarna e popolare. Nessun orpello, soltanto la sofferenza, la lotta, il coraggio di una immensa Marion Cotillard che battaglia per la sopravvivenza economica e per la dignità di essere umano.

Ritorno a L'Avana - Laurent Cantet 8: cinque amici di vecchia data su una terrazza della capitale cubana, tra amarezza e disillusione, dovuti alle speranze infrante di una generazione che ha sognato di poter costruire un mondo migliore. La radiografia di una Cuba mancata e di un presente senza spina dorsale, che non ha sconfitto però gli affetti speciali.

Lo Sciacallo - Dan Gilroy 8: cinema americano duro e credibile, nel quale un trentenne senza lavoro si improvvisa videoreporter senza scrupoli, abbattendo dubbi etici e limiti di visibilità. Eccezionale Jake Gyllenhaal, nella sua prova migliore, scavato e inquietante, che si aggira nella notte di Los Angeles alla ricerca dell'ultimo shock mediatico da vendere.

Frank - Lenny Abrahamson 7: dolorosa riflessione sul disagio mentale, che nell'ultima mezz'ora emoziona e commuove, cancellando le perplessità di una prima parte incentrata sul rapporto tra successo e i nuovi mezzi di comunicazione. Peccato per la patina hipster, ormai stucchevole, controbilanciata da alcuni passaggi surreali e geniali.

La Spia - Anton Corbijn 7: Philip Seymour Hoffman giganteggia in un buon thriller, solido e non troppo originale, diretto con eleganza e mano sicura dal grande fotografo Anton Corbijn (lontano, però, dal meraviglioso esordio di Control). Oltre a Phil, si fanno notare una sempre incantevole Rachel McAdams e una brava e stronza Robin Wright, in linea con il personaggio di House Of Cards.

Il Mio Amico Nanuk - Roger Spottiswoode 6: dolcissimo film per bambini, sull'amicizia tra un ragazzo e un orso polare alla ricerca della sua mamma, portata via dalle guardie forestali. Bello e giusto ridare attenzione a una specie da difendere, a far parlare di WWF, mentre sullo sfondo ci si lascia affascinare dai ghiacci dell'Antartide.

Interstellar - Christopher Nolan 4: l'ambizione di Nolan di essere più grande del Cinema e della Vita naufraga inesorabilmente in un polpettone indigesto e interminabile. La complessità dell'intreccio, stavolta, non è sorretta da un'attenzione accettabile alle sfumature e alle psicologie dei personaggi: anzi, spesso si è travolti dalla sconfinatezza del ridicolo involontario.

Tre Cuori - Benoit Jacquot 4: triangolo amoroso vecchio come il cucco, senza sussulti, presentato inspiegabilmente in concorso alla Mostra di Venezia. Molto intellettualistico e mai palpitante, con l'aggravante di un finale brutto e immotivato. Consoliamoci: anche il cinema francese, qualche volta, toppa e ci rifila qualche bidone.

Trash - Stephen Daldry 3: imbarazzante vincitore dell'ultimo Festival di Roma, è una sorta di The Millionaire ambientato nelle favelas di Rio De Janeiro, con un'attrice molto bella (Rooney Mara) e una delle trame più idiote e offensive degli ultimi anni. Insopportabilmente cartolinesco, incapace di destare attenzione malgrado il montaggio concitato.


giovedì 20 novembre 2014

Riflessioni Spiazzanti: Le Riflessioni Spiazzanti

La crudeltà è attraente, soffrire fa schifo. Niente è come sembra, niente è come appare. Le cose cambiano, il cinema cambia, la televisione supera il cinema e diventa a sua volta un punto di riferimento e un modello culturale. Per questi giovani, per questi giovani d'oggi, per questi bei giovani d'oggi, per questi bei giovani d'oggi del cazzo, non ci sono i soldi. Le recensioni ingannano, la critica cinematografica inganna. La carta stampata è carta straccia. Mi hanno chiesto del film in un unico piano sequenza: lo sapevo. Mi hanno chiesto del film girato tutto in soggettiva: non lo sapevo. Le riflessioni spiazzanti. Le riflessioni spiazzanti sono le mie, qui e adesso, non sono le mie di prima, non sono le mie fra poco, non saranno mai le tue: non lo sono mai state. Ho visto film più belli alla televisione che al cinema ultimamente. True Detective, Les Revenants. Sono film alla televisione, film alla televisione, non sono serie tv al cinema, tipo Gomorra, che sono stronzate. Nella prima i due protagonisti non muoiono, ma non se la passano bene. Nella seconda i protagonisti sono già morti, prima di morire, e ritornano in mezzo ai vivi. Sono romantiche, sono pulsanti, non c'è distanza tra io che guardo qui e adesso e loro. Non raccontano, non descrivono, ci sono dentro: non tutto è molto chiaro, non tutto va spiegato. Come in Sils Maria, che è un film al cinema, non sono io, che devo inseguire l'incomprensibilità di una trama interstellare, ma sono inseguito.

EDT


domenica 9 novembre 2014

Interstellar

Nell'ambizione di Christopher Nolan di essere più grande del Cinema e della Vita, di ribadire la trascurabilità dell'Uomo dinanzi alle potenzialità dell'Arte e all'Infinito, all'Immenso Spazio, il regista di The Prestige e di Inception si dimentica di un ruolo imprescindibile: quello dello spettatore. Per quanto Interstellar ponga il nobile obiettivo di far ricondurre al cuore e alla sua sconfinata forza di muovere il sole e le altre stelle il senso del suo incedere, le due ore e cinquanta di trattati di fanta-fisica quantistica alternati a dialoghi di una melensaggine imbarazzante risultano indigeribili, indigesti. Il film non emoziona, non coinvolge. Non si ha mai l'impressione di essere di fronte a qualcosa che non sia un polpettone pretenzioso, all'autocelebrazione di un regista che può permettersi di girare quello che vuole perché non ha limiti di budget, perché il suo talento gli ha concesso di essere il Prescelto punto d'incontro tra l'epica kubrickiana e l'intrattenimento spielberghiano. Non è necessario rivolgersi a incomprensibili teorie scientifiche per scrivere la Storia. Non è necessario, soprattutto, se i personaggi non hanno alcuno scavo psicologico, se i rapporti tra di loro non si sviluppano, se il filo narrativo e poetico che dovrebbe essere la spina dorsale (distacco padre-figlia, lontananza padre-figlia, ricongiunzione padre-figlia) viene risolto in maniera patetica, rasentando il ridicolo involontario. La complessità dell'intreccio delle opere precedenti era controbilanciata da un'attenzione altrettanto minuziosa alle sensibilità e alle sfumature: in The Prestige (il capolavoro di Nolan) la costruzione del puzzle andava di pari passo con una riflessione dolorosa e potente sul sacrificio dei sentimenti in nome dell'affermazione personale; in Inception il rompicapo thriller nei meandri dell'inconscio era accompagnato dal tormentato e struggente rapporto tra il protagonista e la moglie, che era un'amara analisi sul senso di colpa e sulle inevitabili proiezioni causate dall'Amore. In Interstellar la parola Amore si pronuncia spesso, ma è vuota, priva di significato, perché il contesto attorno a essa non è credibile, è una forzata scorciatoia che giustifica la mancanza di una reale profondità. Stendendo un velo pietoso sulla sciatteria con la quale sono scritti i personaggi di Anne Hathaway e di Matt Damon, le uniche note positive risultano essere Matthew McConaughey e quei primi venti minuti che illudono, che recuperano uno squarcio di America desolante e desolata. A rischio di essere tacciato come un blogger snob e modaiolo, mai come in questo caso mi sembra il caso di dirlo: il Cinema si trova su un altro Pianeta.

Emiliano Dal Toso


martedì 28 ottobre 2014

Pagellino Ottobre 2014

Boyhood - Richard Linklater 9: un indimenticabile coming-of-age che prende di petto il desiderio di identificazione dello spettatore, ponendo l'interrogativo se il Cinema possa essere uno specchio fedele dell'esistenza, oppure se le necessità di sintesi narrativa debbano forzatamente prendere il sopravvento. Il risultato è un nuovo miracolo cinematografico, affidato all'Ignoto, alla Storia che deve ancora essere scritta, che lascia spazio all'emozione: le giornate dei piccoli protagonisti trascorse insieme al padre giocando a bowling, andando alle partite di baseball o togliendo i cartelloni elettorali di McCain possiedono il dono magico dell'autenticità, e della lacrima.

Il Regno D'Inverno - Nuri Bilge Ceylan 8: un'opera colta e generosa, che attraverso i tempi morti della Vita ne evoca l'amarezza, la vacuità, l'inevitabile rancore di chi non è stato in grado di indirizzarla sui binari del proprio modo d'essere, delle proprie esigenze e delle proprie passioni. Un film non semplice, senz'altro faticoso, ma che innalza Nuri Bilge Ceylan a un punto di riferimento del cinema turco non più manierista ma intellettuale, non più elitario ma elevato.

Sin City - Una Donna Per Cui Uccidere - Robert Rodriguez 7: scritto decisamente meglio del capitolo precedente, più folle e anarchico ma altrettanto seducente, grazie a una Eva Green in versione femme fatale da mozzare il fiato. Si tratta, in fondo, di un semplice omaggio al genere noir, cruento ma breve nella durata, con un paio di sequenze di indubbia spettacolarità e di onestissimo divertimento. Si fanno notare anche la sempre bella Jessica Alba e il sempre bravo Joseph Gordon-Levitt.

Joe - David Gordon Green 7: Gordon Green è un regista che necessita di essere scoperto anche in Italia, perchè il suo Cinema è un esempio raro di racconti di uomini perdenti ed emarginati nelle profondità di una America che non concede più seconde possibilità. Joe è meno sagace del precedente Prince Avalanche (un capolavoro) ma è comunque l'occasione per ammirare un racconto di formazione duro ed emozionante, insieme a un Nicolas Cage in una delle sue migliori interpretazioni.

The Judge - David Dobkin 6: drammone famigliare e giudiziario, a metà strada tra un legal movie di Raidue e I segreti di Osage County. Però si fa guardare, perchè la confezione è professionale e gli interpreti sono eccellenti. Sarebbe stata necessaria una sceneggiatura più adeguata e meno elementare per essere uno di quei titoli che piacciono davvero tanto agli americani, su cui puntare a occhi chiusi tra i papabili candidati per la notte degli Oscar.

Guardiani Della Galassia - James Gunn 5: un inspiegabile entusiasmo da parte della critica sta accompagnando il lancio promozionale di questo normalissimo Marvel movie, forse anche un po' più idiota del solito. Il trionfo della solita ironia postmoderna ipercitazionista, uno spettacolone pop che fa simpatia grazie a un paio di personaggi ma che non emoziona mai. Comunque, lontano anni luci dalle turbe giovanili di un Peter Parker o dal cupo esistenzialismo di un Bruce Wayne.

The Equalizer - Antoine Fuqua 5: Denzel Washington che fa fuori i cattivi. Non ci sarebbe molto altro da aggiungere, perchè la trama è all'acqua di rose, non dà nessun tipo di spiegazioni al di fuori di sparatorie e di trucide uccisioni. Un prodotto ignorante, senza pretese, tutto sommato onesto, anche se fa tristezza ricordare gli anni migliori del grande Denzel e dover annoverare che il regista sia lo stesso di Training Day.

Tutto Può Cambiare - John Carney 4: una insipida descrizione di un rapporto d'amicizia tra un uomo e una donna, che usa come pretesto lo sfondo musicale indie-folk e una New York non convenzionale. Si salvano le canzoni ma la sceneggiatura fa davvero pietà: dialoghi imbarazzanti, un'evoluzione nella caratterizzazione dei personaggi che non arriva mai. Un film retorico e fasullo, malgrado la presenza della sempre divina Keira.

I Due Volti Di Gennaio - Hossein Amini 4: uno dei titoli più mediocri dell'anno. I primi venti minuti sembrano possedere un certo piglio, poi la spy story si fa un patinato e noiosissimo triangolo amoroso del tutto improbabile nello svolgimento e nelle psicologie dei personaggi. La solita ambientazione cartolinesca del Mediterraneo non fa altro che aggravare la modestia, l'inutilità dell'operazione.




martedì 21 ottobre 2014

Il Regno D'Inverno - Winter Sleep

Pensavo di annoiarmi terribilmente, dato che il precedente 'C'era una volta in Anatolia' è stata una delle visioni più inaccessibili della mia esperienza di appassionato di cinema. Dopo la vittoria al Festival di Cannes, mi ero promesso che la Palma D'Oro di quest'anno l'avrei evitata: la presenza di Jane Campion come Presidente di Giuria non ha fatto altro che rafforzare in me il pregiudizio nei confronti dell'ultima fatica di Nuri Bilge Ceylan, regista turco, allergico al cinema americano ("i film hollywoodiani ci hanno abituato a risposte diventare ormai come pillole ansiolitiche per lo spettatore"), amante della lentezza, del teatro, dei silenzi, di tutto ciò che non si troverebbe mai in un film di Michael Mann. Eppure, nonostante il pregiudizio si fosse consolidato più che mai, non posso negare di essere stato dapprima sedotto, per poi trovarmi completamente immerso nella pesantezza, nei dialoghi fluviali, nelle tirate esistenzialiste di 'Il Regno D'Inverno - Winter Sleep'. Sono innumerevoli i riferimenti letterari a cui si rivolge Ceylan: Cechov, Dostoevskij, Shakespeare, Voltaire, Camus. Ciononostante, non ho mai avuto l'impressione di trovarmi di fronte a un lavoro intellettualistico, ripiegato su se stesso, all'insegna dell'autoreferenzialità più sprezzante nei confronti dello spettatore. Tutt'altro. La sensazione che ho avuto dopo le tre ore e un quarto di minutaggio è stata quella di aver assistito a un'opera colta e generosa, che attraverso i tempi morti della Vita, ne evoca l'amarezza, la vacuità, l'inevitabile rancore di chi non è stato in grado di indirizzarla sui binari del proprio modo d'essere, delle proprie esigenze e delle proprie passioni. Il film è ambientato in uno sperduto villaggio in mezzo all'Anatolia, fuori da tutto, dal Mondo, dai mezzi di comunicazione, dai social network: un non-luogo nel quale domina incontrastato il vuoto pneumatico dell'esistenza. Non è un caso che tutti i personaggi si rimproverino qualcosa, siano invasi dai rimpianti e nessuno sia in grado di tendere la mano a chi si trovi nelle medesime difficoltà: non è sufficiente neppure la condivisione della solitudine per sentirsi vivi. Quello che sembra essere l'unico strumento per non farsi seppellire dal freddo glaciale delle relazioni umane è l'alcool, che riscalda e scatena reazioni magari non troppo eleganti ma perlomeno non sopite dall'immobilità e dal gelo. Si dialoga tanto, forse troppo, a volte effettivamente ci si annoia: ma è una noia che coccola, dovuta alla consapevolezza che questa volta Nuri Bilge Ceylan ha individuato il fulcro dei suoi demoni, il punto sensibile, che giustifica il ritmo faticoso del suo Cinema e che lo innalza a punto di riferimento non più manierista ma intellettuale, non più elitario ma elevato.

Emiliano Dal Toso



sabato 27 settembre 2014

I Magnifici Sette: Luglio - Settembre 2014

Apes Revolution - Il Pianeta Delle Scimmie - Matt Reeves: eccezionale blockbuster adulto, che pone quesiti per niente scontati come l'illusorietà di una tolleranza permanente tra razze diverse e la fragilità del concetto di pace e di uguaglianza. Superiore per intensità, cupezza e allegoria politica alle precedenti versioni di Schaffner e di Burton (e anche al prequel con James Franco), regala all'immaginario cinematografico una nuova icona assoluta, quella della scimmia Cesare, capopopolo saggio e diplomatico, coraggioso e rivoluzionario.

Mud - Jeff Nichols: Jeff Nichols si conferma il nuovo cantore dell'America di provincia, quella dei fuorilegge e degli sceriffi codardi, delle badlands e degli innamorati non corrisposti . Dopo l'ottimo Take Shelter, firma un indimenticabile omaggio alla letteratura di Twain e di McCarthy, raccontando l'amicizia tra un quattordicenne e lo scapestrato Mud, che vive nascosto su una barca in attesa di fuggire per sempre con la donna della sua vita. Illusioni e delusioni nel passaggio dall'adolescenza all'età adulta, osservando e partecipando al destino dei propri eroi, romantici e controversi.

Under The Skin - Jonathan Glazer: ambiziosa riflessione sul corpo altro, privo di empatia e di partecipazione, spogliata di intellettualismi, imperfetta ma debordante di stimolazione visiva e sensoriale. Glazer si disinteressa completamente della solidità dell'intreccio narrativo e si abbandona al graduale processo di umanizzazione di un alieno attraverso la forza immaginifica di sequenze potenti, difficili da dimenticare. Perfetta e meravigliosa Scarlett Johannsson, strumento di predazione prima, e poi vittima della sua diversità e della sua attrazione.

Il Fuoco Della Vendetta - Scott Cooper: thriller proletario, ambientato tra i monti Appalachi e le acciaierie della Pennsylvania, nel quale l'alternativa a lavorare in fabbrica è quella di farsi ammazzare e venire seppelliti in mezzo al bosco. Avvincente e un po' retorico, si avvale di un quartetto d'archi in grande spolvero: Casey Affleck, reduce di guerra incapace di rigare dritto; Sam Shepard, nuovo volto tutelare degli zii d'America; Woody Harrelson, cattivo psicopatico senza freni; Christian Bale, nel "suo" ruolo, quello dell'operaio pervaso dai sensi di colpa e in cerca di redenzione.

Frances Ha - Noah Baumbach: ritratto femminile indimenticabile di Noah Baumbach, quello di una romantica ventisettenne aspirante ballerina, all'alba della maturità individuale, abbandonata da tutte le certezze, dalla migliore amica e decisamente "infidanzabile". Un piccolo grande film di un autore sensibile e anticonvenzionale, leggero e agrodolce, che deve molto alla grazia della bravissima Greta Gerwig, attrice dotata di autoironia e di una invidiabile vis comica, che corre spensierata verso le incognite della vita sulle note di Modern Love di David Bowie.

Anime Nere - Francesco Munzi: sconvolgente storia di "malavita", tesa, tetra, durissima. Si parla di 'ndrangheta, si parla di Calabria, ma si parla soprattutto dell'inevitabilità della violenza e del Male. Munzi riflette sull'impossibilità di fuggire dalle proprie radici, dimostrando una tensione narrativa lucida e rigorosa, che è davvero rara per il cinema italiano. Non ci sono scorciatoie, non ci sono moralismi né consolazioni: lo spettatore può finalmente godere soltanto di un Noir, crudo e spietato, nient'altro. Avrebbe meritato senz'altro un premio importante all'ultima Mostra di Venezia.

Delivery Man - Ken Scott: io voglio davvero tanto bene a Vince Vaughn, un attore in grado di rendermi felice per il solo fatto di esserci, malgrado la sua carriera non sia certamente costellata di grandi capolavori. Anche in questo remake millimetrico del simpatico 'Starbuck', la presenza di Vince mi ha messo di buon umore. Nessuno meglio di lui può interpretare un quarantenne immaturo, che vent'anni prima è stato un donatore biologico per una banca del seme, ed ora si ritrova centinaia di figli sparsi per l'America che vogliono conoscere la sua identità. Nessuno meglio di lui.




venerdì 26 settembre 2014

Italy in a Day

Una volta c’era Rino Gaetano ed era lui a cantare con poesia ed ironia dell’energia che instancabilmente continua ad alimentare questa variopinta e dissestata vita italiana. 'Italy in a Day' potrebbe rappresentare un tacito tributo alla canzone 'Ma il cielo è sempre più blu'. Nello specifico, si tratta del cielo del  26 ottobre 2013. In questo giorno 44 mila e 197 italiani si sono svegliati, hanno preso una telecamera in mano ed hanno condiviso con il mondo la loro piccola grande giornata. Che cos'è successo in Italia il 26 ottobre 2013? Niente di più e niente di meno di quello che succede tutti i giorni, si compie il miracolo della vita. Anzi, tanti piccoli miracoli della vita che ne vanno a formare uno più grande. 'Italy in a Day' ci porta in alto, in questo cielo sempre più blu tutto italiano, e poi ci cala in mezzo agli uomini e alle donne di questo Paese, al punto da poter cogliere perfettamente la prospettiva dell’altro, per renderci conto che non differisce poi tanto dalla nostra. Niente di più e niente di meno di quello che succede tutti i giorni: i bambini sono nati, gli innamorati si sono baciati, chi ha salvato una vita, chi si è buttato dal paracadute, chi ha abbracciato suo nonno, chi si è sporcato con il grana grattugiato, qualcuno è arrivato in classe correndo, giusto in tempo, al suono della campanella; c’è chi è rimasto da solo, chi è rimasto col gatto, chi è rimasto a casa a curare il bambino ammalato, chi a farlo giocare, chi lo porta fuori in bicicletta, la nonna ha preparato le lasagne, il nipote lontano con il frigo vuoto si è accontentato di un uovo al tegamino. Un luogo comune sull’italianità al 100%, insomma, ma nel senso più buono che possa esserci di questo termine. 

L’Italia diventa, in effetti, un luogo comune. Ci si riconosce subito, simili, con paure comuni, speranze comuni. Chi è abituato a cogliere la bellezza della vita, nascosta dietro le piccole e grandi cose che fanno parte della nostra quotidianità, non si stupirà dell'emozione. E se un domani, chissà come e chissà perché, tale quotidianità dovesse sparire, rimarranno testimonianze inestimabili come 'Italy in a Day' di Salvatores e 'Ma il cielo è sempre più blu' di Rino Gaetano per aiutare i nostri posteri a respirare qualche boccata di vita made in Italy.


Linda Grazia Pola


giovedì 25 settembre 2014

Venezia 2014 - Seconda Parte: Le Dernier Coup De Marteau, La Rançon De La Gloire, Good Kill, Birdman

Il cinema francese contemporaneo si conferma di un livello medio altissimo. Basta prendere in considerazione due delle pellicole che sono state presentate in Concorso all'ultima Mostra del Cinema di Venezia. La prima è 'Le Dernier Coup De Marteau' (voto 9) di Alix Delaporte, che ha consentito al giovane Romain Paul di vincere il Premio Marcello Mastroianni come miglior attore emergente. Alla sua seconda prova dietro la macchina da presa, la regista racconta un frangente della vita del quattordicenne Victor, che vive in una roulotte con la madre malata di cancro ed è in procinto di trasferirsi a casa dei nonni, per quanto sia concreta la possibilità di essere prelevato dalle giovanili di calcio del Montpellier. In questo cruciale e drammatico passaggio della sua crescita, avrà modo di venire a conoscenza del padre, un direttore d'orchestra che gli darà la possibilità di avvicinarsi alla musica classica. "L'ultimo colpo di martello" fa riferimento a una scelta compositiva di Mahler nella sua sesta sinfonia e si rivela meravigliosamente commovente l'aggancio narrativo che lega le dolorose vicende del protagonista al titolo del film. Per quanto potesse rivelarsi facile la tentazione di cadere nel ricatto emotivo, la Delaporte compie il miracolo di indovinare un tono leggero, affettuoso, che si rivela struggente soltanto grazie ai piccoli gesti, ad un attenzione particolare ai singoli episodi, alle sfumature che caratterizzano l'universo di Victor. Avvicinandosi al cinema dei Dardenne, e forse superandolo a livello narrativo, il risultato è un groppo in gola delicato ma autentico. Molto sorprendente l'opera di Xavier Beauvois 'La Rançon De La Gloire' (voto 8), che arriva nella filmografia del regista dopo il drammatico e impegnativo 'Uomini di Dio'. Beauvois adotta un tono spesso scanzonato, che omaggia dichiaratamente Charlie Chaplin all'interno della trama e che lo cita nelle singole sequenze. Partendo da un fatto di cronaca del 1977, pone una lente di ingrandimento su una umanità di perdenti, di esclusi, disposta a tutto pur di raggiungere un pezzetto di dignità sociale e di autosufficienza economica. Trascinato dall'interpretazione del mattatore Benoit Poelvoorde, è un altro esempio di cinema in grado di cogliere un equilibrio eccezionale tra dramma e ironia, tra durezza di racconto e lievità di sguardo. Molto più netta la presa di posizione stilistica di Andrew Niccol nel contestatissimo 'Good Kill' (voto 8). Eccoci, finalmente, di fronte al classico film che innervosisce il lettore benpensante medio di 'Repubblica'. Si potrà discutere l'ideologia di base, ma si tratta comunque di un thriller bellico tesissimo, palpitante, confezionato magnificamente e recitato da un Ethan Hawke in stato di grazia, che gradualmente trascina lo spettatore nella spirale infernale di un pilota di droni in piena crisi di coscienza. Personalmente, non ho mai amato il regista neozelandese, eppure questo 'Good Kill' mi è sembrato l'esempio più compiuto della sua poetica sull'inevitabilità dell'evoluzione tecnologica e sulle sue contraddizioni. Chiudiamo, infine, con l'unica grande delusione, 'Birdman' (voto 5) di Alejandro Gonzalez Inarritu. Niente da fare, anche stavolta l'impressione è che il regista messicano sia talmente innamorato del suo talento registico da non dare respiro neanche a qualche spiraglio narrativo interessante. Il desiderio di compiere un componimento cinematografico jazzistico, composto da lunghissimi ed estenuanti piani sequenza, si rivela soltanto l'ennesima dimostrazione di un autocompiacimento fine a se stesso, che utilizza soltanto come pretesto il tema della crisi d'attore senza svilupparlo, e cercando esclusivamente la scena o la battuta ad effetto. Resto sempre più convinto che il magnifico esordio 'Amores Perros' rimarrà un episodio isolato nella carriera di uno degli autori più sopravvalutati del nuovo millennio.


Emiliano Dal Toso


venerdì 19 settembre 2014

Venezia 2014 - Prima Parte: Ritorno a L'Avana, Jackie And Ryan, Sivas, Anime Nere

Mai come quest'anno mi sembra che la proposta cinematografica veneziana, della quale la rassegna milanese 'Le vie del cinema' presenta soltanto una parte, si sia concentrata soprattutto su opere che ambiscano ad essere la fotografia, il racconto di un Paese o di un luogo, ancor prima che una semplice narrazione di eventi. A cominciare dal ritorno di Laurent Cantet dietro la macchina da presa, cineasta acclamato per la Palma d'Oro 'La Classe', che nel suo 'Ritorno a L'Avana' (voto 8) riunisce cinque amici di vecchia data su una terrazza della capitale cubana, e attraverso i loro dialoghi fa emergere il ritratto di un popolo costretto a fare i conti con l'amarezza e con la disillusione, dovuti alle speranze infrante di una generazione che ha sognato di poter costruire un mondo migliore. Il regista francese evita di delineare un gruppo di cinquantenni che si limita a rimembrare il passato e ad illudersi che niente sia cambiato. Anzi, i rancori e le scelte dolorose dei protagonisti e, soprattutto, la consapevolezza delle loro sconfitte sono la cartina tornasole attraverso la quale lo spettatore può assistere alla radiografia degli umori di Cuba, a quello che poteva essere ma che non è stato. Affrontare una vicenda privata per porre una lente di ingrandimento su una realtà sociale è anche il desiderio della statunitense Ani Canaan Mann, che in 'Jackie And Ryan' (voto 5) affronta l'affidamento dei minori. Se la descrizione di un Paese nel quale nemmeno gli affetti possono fare a meno di avere un valore economico appare lampante, in questo caso non convince lo stile troppo invaso da ruffianerie folk e da un'atmosfera indie che si fa sedurre troppo facilmente dalle soluzioni più melense e concilianti. La Mann non trova mai il guizzo narrativo per coinvolgere e non viene aiutata dalle interpretazioni dei ben poco carismatici Ben Barnes e Katherine Heigl, quest'ultima decisamente preferibile nella versione brillante dei film di Judd Apatow. Non sono riuscito a innamorarmi neppure del Premio della Giuria 'Sivas' (voto 5) del debuttante Kaan Mujdeci, a differenza del Presidente Alexandre Desplat. Il giovane regista turco ambienta la storia del legame che si sviluppa tra un ragazzino di undici anni ed un cane da combattimento in un villaggio rurale dell'Anatolia, evidenziando soprattutto la brutalità delle battaglie tra Kanglar, la magnifica razza canina che viene vergognosamente trasformata in uno strumento di guerra. Se non fosse per la magistrale interpretazione dello stesso meraviglioso cane che porta il nome del film (di gran lunga migliore degli attori impiegati), 'Sivas' risulterebbe gravemente insufficiente, sia per le insicure riprese con la camera a mano pseudo-autoriali, sia per alcuni clamorosi buchi di sceneggiatura. Piuttosto violente le scene dei combattimenti, che mi fanno sconsigliare la visione non solo ai cinefili ma anche ai cinofili. Di ben altra fattura, e suona strano dirlo, l'italiano 'Anime Nere' (voto 9) di Francesco Munzi, un indimenticabile e sconvolgente racconto di "malavita", teso, tetro, durissimo. Si parla di 'ndrangheta, si parla di Calabria, ma si parla soprattutto dell'inevitabilità della violenza e del Male. Munzi non è interessato all'opera di denuncia e nemmeno al documento sociologico, quanto piuttosto a riflettere sull'impossibilità di fuggire dalle proprie radici, dimostrando un'abilità narrativa e una tensione lucida e rigorosa, che sono merce rara per il cinema nostrano. Non ci sono scorciatoie, non ci sono moralismi nè consolazioni: lo spettatore può godere finalmente soltanto di un Noir, crudo e spietato, nient'altro.

Emiliano Dal Toso




lunedì 1 settembre 2014

Genealogia Di Una Passione

La mia passione per Fernando Torres nasce dall'innamoramento per una ragazza spagnola, Macarena, che mi chiese se sapevo chi fosse. Su di lei mi aveva anticipato un mio amico, Federico, che avevo conosciuto in Inghilterra a Ramsgate, uno di quei brutti paesini sul mare dove vanno gli adolescenti in estate per imparare l'inglese. Federico doveva tornare a Milano una settimana prima di me e temeva l'arrivo di un gruppo di ragazzi di Valenza, dall'elevatissimo tasso tamarro, ma in fondo bonaccioni. <<Questi valenzani fanno un po' troppo gli splendidi. Mi raccomando, Emi, curamela.>> Federico era del tutto ignaro del fatto che i sentimenti che provavo per la mora Macarena erano gli stessi che provava lui. In realtà, Macarena non filava di striscio la compagnia di Valenza e, una volta partito Federico, mi si appiccicò. Passai una settimana indimenticabile e terribile, di vero struggimento, in tensione costante tra il desiderio di baciarla e lo spettro del tradimento nei confronti dell'amico. Maca era davvero eccezionale, bellissima, simpatica, con una marea di interessi, ed era tifosissima dell'Atletico Madrid. Una sera le chiesi se era innamorata di Federico e lei mi rispose che l'unico ragazzo che amava si chiamava Fernando Torres. Io rimasi piuttosto sorpreso, era la prima volta che, nel dialogo con una ragazza, non fossi io ad introdurre la questione "calcio". <<Do you know Fernando Torres?>> Le dissi che Torres lo conoscevo perchè il Milan stava per acquistarlo due anni prima ma poi aveva preferito comprare Kakà. A dire il vero, non lo avevo mai visto giocare, il Torres, perchè all'epoca l'Atletico era una squadra che navigava a malapena a metà classifica e guardare la Liga spagnola mi annoiava terribilmente. Alla fine, con Macarena non ci fu nient'altro che un fugace bacio d'addio. Mi congedai da lei con un melodrammatico 'I won't forget you', non ti dimenticherò. Fece una smorfia strana. Il giorno dopo, durante il viaggio di ritorno, mi tormentai, perchè mi resi conto del fatto che probabilmente aveva capito 'I want forget you', ovvero voglio dimenticarti.

Una volta tornato a Milano, nell'illusione di tenere vivo una sorta di contatto virtuale con Macarena, mi buttai a capofitto sulla Liga spagnola e sull'Atletico Madrid. Cominciai a guardare quasi tutte le partite dei colchoneros. Ovviamente, i miei occhi erano puntati soprattutto su Fernando Torres, l'unica persona al mondo in grado di conquistare il cuore di Maca. Correva la stagione calcistica 2005-2006 e l'Atletico Madrid era Fernando Torres detto "El Nino" di Fuenlabrada, comune della comunità autonoma madrilena, anni ventuno, perdutamente innamorato della maglia e dei suoi tifosi, e indubbiamente ricambiato. Quella stagione consacrò definitivamente Torres tra i top player mondiali, ed "El Nino" fu l'uomo di punta della spedizione spagnola ai Mondiali in Germania, eliminata però agli ottavi dalla Francia finalista. L'anno successivo, Torres si confermò e venne acclamato dalla stampa come uno dei centravanti spagnoli più forti di sempre. Nel 2007, il Liverpool acquista Torres dall'Atletico per 26 milioni e mezzo di sterline, decisamente ben spesi. "El Nino" fa letteralmente impazzire di gioia i tifosi della Kop, segna sempre. E fa quasi sempre gol bellissimi. Rimane Red per tre anni e mezzo, durante i quali colleziona in Premier League un centinaio di presenze e mette a segno la bellezza di 65 reti. Paradossalmente, Torres nel Liverpool non vince niente. E' il fuoriclasse di una squadra di onesti, buoni giocatori, mai eccelsi. Nel periodo migliore della sua carriera, tra i 23 e i 26 anni, nel suo palmares c'è soltanto l'Europeo vinto con la Spagna, deciso tra l'altro da un suo gol nella finale contro la Germania. Dopo una serie di infortuni nella prima parte del 2010, che gli impediscono di essere protagonista nel Mondiale vinto dalla Spagna in Sudafrica, parte col botto nella stagione successiva, segnando 11 volte in meno di tre mesi. Nel gennaio del 2011, il Chelsea di Roman Abramovich lo acquista per il corrispettivo di 58 milioni e mezzo di euro, il trasferimento più costoso nella storia del calcio inglese. E smette di segnare. Nei sei mesi da gennaio a giugno, va in rete una volta sola, contro il West Ham, in 18 partite. Sembrerebbe che il blocco sia dovuto solo allo shock per aver abbandonato la maglia del Liverpool ed i tifosi che lo adoravano. E invece no. Dal 2011 al 2014, lo score di Torres è di 20 gol in 110 partite di Premier League. Una miseria. La stampa che lo acclamava si fionda contro di lui, lui entra in un circolo vizioso, più cerca il gol e più sbaglia clamorosamente. Non è soltanto la "pochezza" di reti il vero problema, ma il fatto che sembra di vedere il fratello scarso del Torres di Liverpool: lento, impreciso, svogliato. Il termine che viene maggiormente utilizzato è quello di "paracarro". Il destino è beffardo e nel Chelsea il palmares si arricchisce: una Champions League, un Europa League e una Coppa D'Inghilterra. La vera stranezza, però, è che 2 gol siano decisivi: uno nella semifinale di ritorno di Champions contro il Barcellona, l'altro nella finale di Europa League contro il Benfica. Nel 2012, inoltre, si riconferma campione d'Europa con la Spagna, in una Nazionale che ha come uomini chiave Xavi, Iniesta, Fabregas, Pedro, Xabi Alonso. Lui serve più che altro a raggiungere il numero minimo di ventitré calciatori necessari da convocare per una manifestazione come l'Europeo.

Per il sottoscritto, Fernando Torres è stato il centravanti più forte e completo degli Anni Duemila. Potente, veloce, tecnico. Un numero 9 fisico, che sa essere soffice come un numero 10, quand'è necessario. Non è un caso che il giocatore che lo abbia fatto avvicinare al calcio e ad innamorarsi del mestiere del centravanti si chiamasse Marco Van Basten. Quando era all'Atletico, dichiarò che non avrebbe mai abbandonato i Colchoneros per trasferirsi in un'altra squadra spagnola e che le uniche due squadre europee per le quali avrebbe potuto sacrificare il suo amore per la maglia sarebbero state il Liverpool e il Milan. La prima per la Kop: lascio l'Atletico soltanto per la tifoseria più calda, appassionata, commovente che possa esistere. La seconda per Van Basten, appunto: lascio l'Atletico solo per il club del campione che avrei voluto essere.

Eppure, non sono puramente calcistiche le ragioni per cui Fernando Torres non è un calciatore come gli altri. Si può cominciare dal suo soprannome, "El Nino", il bambino, all'apparenza non troppo originale, dovuto al fatto di essersi affacciato dall'Atletico Madrid nel calcio spagnolo da giovanissimo, a diciassette anni. E malgrado l'avanzare dell'età, Fernando Torres è rimasto e rimarrà sempre "El Nino". Per i tratti somatici gentili, innanzitutto, che lo fanno sembrare un adolescente anche a 30 anni. Il suo volto non sembra quello di un calciatore, ma piuttosto quello di un cantante di una boy-band americana, oppure quello di un protagonista belloccio di un college movie della Disney. Per il fatto che i feticci della sua adolescenza se li sia voluti tatuare sulle braccia: sul sinistro, il suo nome in tengwar, la lingua parlata dagli Elfi ne 'Il Signore Degli Anelli', il libro del cuore della sua infanzia; sul destro, la data del suo primo bacio, con la sua prima fidanzata Olalla, la donna della sua vita, diventata poi sua moglie e madre dei suoi bambini.

Durante questi anni, ho seguito il calcio e ho sempre tifato per Fernando Torres. Conversando con gli amici, mi si illuminano gli occhi e mi sorge un sorriso spontaneo, inevitabile, quando parliamo della sua carriera, delle sue prodezze e della sua caduta. E' passato nella Storia degli orrori del calcio un suo errore con il Chelsea a porta vuota, dopo aver superato il portiere, con il pallone finito a un paio di metri di distanza dallo specchio. Riguardandolo, mi rendo conto che davvero chiunque avrebbe calciato in rete, anche i miei nonni, anche il compagno di classe delle elementari più scarso e brocco che si possa trovare. Mi piace pensare che sia stato l'errore romantico di un ribelle buono, di un calciatore che è stato meraviglioso e non ha vinto niente, o quasi, e che, invece, ha cominciato a vincere tutto quando, strapagato, è stato il peggiore in campo.

Durante questi anni, ho avuto modo di dimenticare in fretta la vicenda di Macarena e Federico e di innamorarmi di una ragazza almeno un altro paio di volte per poi dimenticarmene nuovamente. La mia passione per "El Nino" è sempre rimasta intatta, sullo sfondo, sia quando dopo aver segnato correva verso la Kop a braccia aperte e si buttava sull'erba, sia quando veniva fischiato a Stamford Bridge dopo gli errori a porta vuota. Ora, a 30 anni, Fernando Torres approda al Milan, sperando di chiudere il periodo più buio della sua carriera e di tornare lo strepitoso centravanti di Madrid e di Liverpool. Cercherò di evitare la banalità secondo cui il Milan in crisi potrebbe essere il luogo ideale per rilanciarsi, senza illudersi ovviamente che possa tornare quello di un tempo. Voglio illudermi. Se dovesse essere così, significherebbe che saremmo davvero di fronte alla trama di un libro fantasy, o alla sceneggiatura di un film della Disney, quelli nei quali niente è impossibile ed i buoni vincono perchè loro sono i romantici, perchè loro sono gli eroi. Se non dovesse essere così, per quanto mi riguarda, saremmo comunque di fronte a un lieto fine.

Emiliano Dal Toso



giovedì 21 agosto 2014

Anteprima: Boyhood

Chi segue da un po' questo blog potrebbe essergli capitato di leggere il post nel quale illustravo i dieci film che detesto di più, tra i quali al secondo posto compare il celebre Prima Dell'Alba di Richard Linklater. Osannato da molta parte della critica e considerato da alcuni un cult generazionale (per alcuni è il film del cuore, per alcune coppie il film della vita), lo recuperai qualche anno fa, sorprendendomi che lo sceneggiatore non fosse lo stesso che scrive le frasi sui bigliettini dentro ai Baci Perugina. Verboso, ampolloso, quel tentativo di raccontare l'amore in pochissime ore è rimasto, per fortuna, uno scivolone isolato nella carriera del regista americano. Cineasta, per il resto, curioso (Dazed and confused), anticonformista (School Of Rock), sperimentatore (Waking Life), che nell'ultimo Boyhood giunge al compimento pieno della sua poetica, racchiudendo un po' tutte queste caratteristiche. Infatti, dal 2002 al 2013 Linklater ha chiamato sul set ogni anno per pochi giorni lo stesso gruppo di attori per raccontare l'infanzia e l'adolescenza di Mason, interpretato da Ellar Coltrane, che ha iniziato il film a 8 anni e lo ha terminato a 19, andando di pari passo con la crescita del suo personaggio. Lo stesso vale per gli altri attori del film, Ethan Hawke e Patricia Arquette nel ruolo dei genitori di Mason, e la figlia del regista, Lorelei Linklater, in quello della sorella. Niente viene affidato al trucco, l'invecchiamento che vediamo sullo schermo è quello che si portano dietro gli interpreti stessi. Così come gli eventi storici che fanno da sfondo alla vicenda sono quelli contemporanei a quando è stata girata la pellicola, come ad esempio la campagna elettorale di Obama del quale il padre di Mason è un grande sostenitore. Se quello che rimproveravo a Prima Dell'Alba era l'assenza di una vera trovata, di un guizzo, di un graffio narrativo che vivacizzasse il contesto, in Boyhood questa mancanza risulta essere, invece, l'arma vincente, l'unica possibile di fronte a una sfida di questo calibro: le difficoltà che è costretto a dover affrontare il giovane protagonista sono quelle che potrebbe aver vissuto chiunque, dalla traumatica separazione dei genitori al difficile rapporto con i loro nuovi rispettivi compagni, dai primi turbolenti innamoramenti fino al conseguimento del diploma. Quante volte si potrebbe aver pensato che sarebbe bello vedere un film con i momenti salienti della propria esistenza, una sintesi con le parti noiose tagliate. Ecco, Boyhood è un po' questo, un coming-of-age che prende di petto il desiderio di identificazione dello spettatore, ponendo inevitabilmente l'interrogativo se il cinema possa davvero essere uno specchio fedele della vita, oppure se le necessità narrative debbano prendere forzatamente il sopravvento. Linklater si è ciecamente affidato all'ignoto, alla Storia che deve ancora essere scritta, prendendosi il rischio di girare a volte a vuoto, ma offrendo alcuni passaggi struggenti, di una intensità assoluta: le giornate di Mason trascorse insieme al padre a giocare a bowling o alle partite di baseball, i discorsi di sua madre sull'inevitabilità dell'abbandono e della perdita possiedono il dono magico dell'autenticità, e della lacrima.





giovedì 24 luglio 2014

Top Ten Gli Inediti 2013-2014

10 - Vivir Es Facil Con Los Ojos Cerrados - David Trueba
Fresco vincitore degli ultimi Goya, visto al Festival del Cinema Spagnolo, racconta il viaggio di un insegnante fan di John Lennon alla ricerca del suo idolo, mentre è in Almeria per girare un film contro la guerra. Trascinante interpretazione di Javier Camara, il titolo è tratto da una strofa di Strawberry Fields Forever, una delle più belle e conosciute canzoni dei Beatles.

9 - Night Moves - Kelly Reichardt
Presentato in concorso all'ultima Mostra di Venezia, è una nuova prova incisiva di Kelly Reichardt, regista americana mai approdata sui nostri schermi, malgrado gli eccellenti Wendy And Lucy e Meek's Cutoff. Night Moves indaga le gesta di tre ambientalisti disposti ad azioni eclatanti ed è sorretto da una prova magnetica di Jesse Eisenberg e da una sceneggiatura solida e avvincente.

8 - All Is Bright - Phil Morrison
Non ha avuto molta fortuna distributiva, ed è un peccato perchè è il raro esempio di una pellicola americana proletaria, nella quale due fuoriclasse del genere come Paul Giamatti e Paul Rudd danno il meglio di sè, improvvisandosi improbabili commercianti di alberi di Natale con l'esclusivo desiderio di tirare a campare. Consigliatissimo agli amanti della bromantic comedy.

7 - La Bataille De Solferino - Justine Triet
Presentato al Festival di Torino, candidato come miglior pellicola agli ultimi Cesar e segnalato dai Cahiers du Cinema tra i dieci migliori film dell'anno passato, è un'opera prima vivacissima in perfetto equilibrio tra pubblico e privato, tra dramma famigliare e commedia degli equivoci. L'esempio di come la commedia francese sia irraggiungibile da quella italiana, per scrittura, intelligenza e analisi sociale.

6 - Stray Dogs - Tsai Ming Liang
Vincitore del Premio della Giuria all'ultima Mostra di Venezia, è il ritratto interminabile ed estenuante di una famiglia di derelitti, nella quale il padre è un alcolista che lavora come reggicartello umano in mezzo all'autostrada. Una sfida visionaria, che alterna passaggi patetici ad altri entusiasmanti, firmata da un cineasta da difendere, che concepisce la Settima Arte come la più alta forma di libertà di espressione.

5 - Las Brujas De Zugarramurdi - Alex de la Iglesia
Dovrebbe uscire sui nostri schermi il prossimo autunno, salvo ripensamenti, il nuovo capitolo del regista più violento e immaginifico in circolazione, un vero punk dalla poetica iconoclasta e politicamente scorretta. Dopo il capolavoro Balada Triste De Trompeta e l'eccellente La Chispa De La Vida, ci troviamo in territori più orrorifici e meno politici, più "di genere" ma sempre brulicanti di ardore per gli occhi.

4 - Tom A La Ferme - Xavier Dolan
Avremo senz'altro modo di vedere Mommy, il lavoro per cui Dolan ha vinto il Premio della Giuria a Cannes, ma pare che non verrà distribuito, invece, Tom a la ferme per cui è stato applauditissimo all'ultima Mostra di Venezia. Continui ribaltamenti di ruolo, complessi edipici, sindromi di Stoccolma, omosessualità esplicita e latente. La carne al fuoco è tanta, ma l'enfant prodige sa gestirla con assoluta carica emotiva.

3 - Prince Avalanche - David Gordon Green
Ecco un altro di quegli autori d'Oltreoceano colpevolmente dimenticati dalla distribuzione italiana, che pone al centro del suo discorso un America ai margini, fatta di personaggi perdenti ma romantici, alle prese con alienazioni che possono essere compensate soltanto da piccoli gesti di inconfondibile solidarietà maschile. Nuovamente, un meraviglioso Paul Rudd è la spalla perfetta per un Emile Hirsch uscito frastornato dalle terre selvagge.

2 - Frances Ha - Noah Baumbach
Ritratto femminile indimenticabile di Noah Baumbach, quello di una romantica ventisettenne aspirante ballerina, all'alba della maturità individuale, abbandonata da tutte le certezze, dalla migliore amica e decisamente "infidanzabile". Un piccolo grande film di un autore sensibile e anticonvenzionale, leggero e agrodolce, presentato a Torino ma scandalosamente ignorato dall'Italia e dagli Oscar.

1 - The Spectacular Now - James Ponsoldt
Struggente racconto di formazione di un ventenne festaiolo e apparentemente spensierato, mollato dalla ragazza e gradualmente costretto a fare i conti con il passato e con i propri demoni. Parte come un American Pie ma il risultato è una pugnalata al cuore, un futuro cult generazionale impossibile da dimenticare, trampolino di lancio per i futuri divi Miles Teller e Shailene Woodley.




domenica 29 giugno 2014

I Magnifici Sette: Aprile - Giugno 2014

Nymphomaniac - Lars von Trier: ne abbiamo parlato tanto e, malgrado le critiche, continuiamo a difenderlo e a considerarlo l'opera cinematografica più importante del nuovo decennio. Non poteva avere un finale più beffardo e incisivo la trilogia del folle e provocatorio regista danese sull'alterità del genere femminile, che non si può comprendere, e sulla sua sensorialità. Il cinema di Lars rappresenta la forza devastante dell'umanesimo e l'importanza della libertà di pensiero e di espressione.

Locke - Steven Knight: un gigantesco Tom Hardy segue tre piste narrative differenti, tra calcestruzzo, amante di una notte che partorisce e moglie che lo abbandona. Il tutto è anticipato dal display telefonico dell'automobile, il vero protagonista della vicenda. Film unico, originale, scritto divinamente, che denota la grande difficoltà di decidere le sorti della propria esistenza al di fuori da ogni tipo di macchino o di dispositivo elettronico.

Alabama Monroe - Felix van Groeningen: grande film, dolente, romantico, Walk the Line e Blue Valentine, che passa meravigliosamente indenne di fronte ai ricatti del cancer movie. Struttura narrativa a incastro, essenziale per guardare nello specchietto retrovisore e recuperare i migliori passaggi della nostra Vita, anche quando pene e dolori prendono il sopravvento. Quel che rimane è nella passione, espressa nel (st)ruggente ritmo del bluegrass.

La Gelosia - Philippe Garrel: opera autobiografica nella quale l'autore francese ricorda le tormentate vicissitudini sentimentali di suo padre, attore trentenne scapestrato. Lo fa, però, con il suo senso per il cinema: raffinato, profondo, essenziale. Hic et nunc. Una capacità di sintesi narrativa impressionante, accompagnata dalla bellezza di un bianco e nero di gran classe. Menzione speciale per Anna Mouglalis, nel ruolo della donna prima perdutamente innamorata e poi perduta.

We Are The Best! - Lukas Moodysson: ritroviamo piacevolmente questo bravo regista svedese, autore di una decina d'anni fa di due titoli cult come Fucking Amal e Together. Qui racconta la vicissitudini di tre ragazzine con la passione per il punk durante i primi Ottanta, quando l'hardcore irrompeva e indicava una via di fuga per chiunque volesse ribellarsi ai dogmi delle istituzioni e delle famiglie borghesi. Si tratta di una commedia, ma sembra fantascienza nell'epoca in cui Modà e One Direction riempiono San Siro.

Maps To The Stars - David Cronenberg: il Maestro canadese recupera lo smalto freddo e agghiacciante dei tempi migliori e ritrae un ambiente hollywoodiano senza speranza, putrido, nel quale non c'è interesse al di fuori del successo economico e della prevaricazione e non esiste paura al di fuori dell'invecchiamento estetico. E mentre si assiste a tragedie familiari inumane, il tono rimane immobile e gelido, come se il punto di vista fosse quello dello smartphone.

Jersey Boys - Clint Eastwood: delude chi si aspettava il solito Eastwood politico e polemico, e invece è l'omaggio scorsesiano alle radici del pop, melodico e commerciale, agli anni Cinquanta, a quando non si andava a un reality show per non finire delinquenti o ammazzati in mezzo alla strada. Tutto pare provenire dal cuore, senza alcun vezzo registico, ma esclusivamente al servizio della musica, delle esibizioni dal vivo, di quello che rimane mentre tutto scorre. Walk like a man.


sabato 21 giugno 2014

Cannes e Dintorni 2014 - Seconda Parte: Clouds Of Sils Maria, Deux Jours Une Nuit

Anche quest'anno 'Cannes e dintorni' si è confermata essere l'occasione migliore per il pubblico milanese di godere di un cinema di livello alto, seppur la concomitanza con i Mondiali di calcio abbia costretto noi appassionati di pallone e di Settima Arte a fare, letteralmente, le acrobazie per perdere il meno possibile di questi eventi così spasmodicamente attesi. E le attese sono state ben ripagate, a cominciare dal meraviglioso 'Clouds Of Sils Maria' di Olivier Assayas (voto 10), scandalosamente dimenticato dalla giuria presieduta da Jane Campion. Si sfiorano tanti temi: la distanza tra generazioni, il rapporto tra finzione e realtà. Si pongono molte domande ma non si danno risposte nette: può darsi che il Teatro sia autentica rappresentazione della Vita, può darsi che l'immedesimazione in un ruolo rispecchi l'essenza dell'interprete. E la forza del regista francese è proprio quella di non forzare spiegazioni, ma di lasciare sospesa e nebulosa ogni chiave di lettura. Quello di cui si può essere certi è esclusivamente l'inevitabilità del punto di vista, l'irrinunciabilità alla prospettiva. E, soltanto in questo modo, non solo il Teatro, non solo il Cinema, ma ogni situazione dell'esistenza può essere elaborata: rinunciando al dovere dell'interpretazione e della giustificazione, ma accettando la propria condizione che è sempre e comunque momentanea e mutevole, inafferrabile e immateriale. Non si tratterebbe, però, di un capolavoro se non ci fosse una costruzione narrativa raffinatissima, "a orologeria". E, soprattutto, se non ci fosse una Juliette Binoche suprema, alla quale non sfigura accanto una (finalmente) bravissima, incantevole Kristen Stewart in un ruolo di un'intelligenza sottile ma incisiva. 'Clouds Of Sils Maria' è, fino ad ora, uno dei migliori film dell'anno, e condivide con 'Nymphomaniac' di Von Trier il desiderio di mettere in discussione l'importanza e il significato della "pura narrazione" al giorno d'oggi, e di indagare il suo rapporto con la contemporaneità. Di tutt'altra natura, ma di altrettanta qualità cinematografica, 'Deux Jours, Une Nuit' dei Dardenne (voto 9) concepisce il Cinema come rappresentazione materiale e consistente della Vita. Impressionante la scelta di evitare ogni orpello narrativo collaterale per concentrarsi esclusivamente sulle lotte e sulle sofferenze della protagonista Sandra, costretta a cercare di convincere i suoi colleghi a rinunciare ad un bonus di produzione di 1000 euro per fare in modo che non venga licenziata. Come spesso è già accaduto (a partire da 'Rosetta', Palma D'Oro 1999), i Dardenne parlano di lavoro come unica possibile affermazione dell'individuo. Mai, però, in maniera così scarna ed essenziale, accessibile e popolare. In questo caso, la narrazione è strettamente funzionale al contenuto ed è fondamentale per attuare il coinvolgimento emotivo più totale da parte dello spettatore, che respira, ansima, piange insieme ad una Marion Cotillard semplicemente immensa. Pare quasi che i Dardenne si pongano in una posizione antistante da quella di Assayas sul tema del racconto. Non sappiamo chi abbia ragione, quello che importa è che in entrambi i casi si tratti di un cinema eccezionale, che vola altissimo.



martedì 17 giugno 2014

Cannes e Dintorni 2014 - Prima Parte: Wild Tales, Queen And Country, Jimmy's Hall

E così anche quest'anno, grazie ad un anonimo benefattore, si è riusciti ad organizzare 'Cannes e Dintorni', questa rassegna di giugno amatissima dalla buona, sana e intellettuale cinefilia milanese. Cinefilia che non si fa certo intimorire dalla massiccia dose di calcio dovuta ai Mondiali, ma che invade le migliori sale cinematografiche della città per godere di visioni prima degli altri o, addirittura, di visioni che non potranno essere godute dagli altri, perchè spesso trattasi di piccole chicche che non saranno distribuite. Noi che amiamo il calcio e i Mondiali di calcio ma che amiamo anche il cinema d'autore, di nicchia e non, cerchiamo acrobaticamente di riuscire a vivere entrambi gli eventi in prima persona. Si è parlato tanto del Gran Premio della Giuria vinto da Alice Rohrwacher con 'Le Meraviglie', un po' meno della Palma D'Oro andata a Nuri Bilge Ceylan per 'Winter Sleep', film turco di tre ore e un quarto. Lo dico subito: ho deciso di evitarli accuratamente, dal momento che le precedenti opere della Rohrwacher e di Ceylan (ovverosia, 'Corpo Celeste' e 'C'era una volta in Anatolia') sono state le cose più insostenibili che abbia visto sul grande schermo negli ultimi anni. Cinema pesante, lentissimo, estetizzante, quasi inaccessibile. Un'idea di Cinema che evidentemente ha trovato l'approvazione del Presidente di Giuria Jane Campion (della quale abbiamo mal sopportato anche l'acclamato 'Lezioni Di Piano') ma esattamente agli antipodi da quella che, con il mio piccolo blog, cerco di sostenere. Se fossi stato io il Presidente di Giuria non avrei esitato, invece, a dare uno dei due premi principali al sorprendente, violento, anarchico 'Wild Tales' di Damiàn Szifròn (voto 9). Il regista argentino racconta sei storie accomunate dall'esasperazione dei sentimenti, dall'istinto distruttivo e autodistruttivo dell'Uomo, schiacciato dall'oppressione delle istituzioni e succube dell'ambizione e del benessere economico. Alcuni passaggi sono davvero indimenticabili, sorretti da un umorismo nero e da un gusto per il grottesco che raramente si sono visti di recente: forse, una versione sudamericana di Todd Solondz o di Ulrich Seidl; senza dubbio, un atto d'amore nei confronti di un Cinema anti-intellettualistico, feroce, sarcastico, ancora in grado di scuotere convenzioni borghesi e di non voler compiacere la platea snob del Festival più celebrato. Non sorprende, dunque, che sia rimasto a bocca asciutta. Sorprende di più che sia stato selezionato Fuori Concorso il nuovo eccellente lavoro del grande John Boorman, 'Queen And Country' (voto 8). Il Vecchio Maestro (ricordiamo, tra i tanti, titoli semplicemente strepitosi come 'Senza un attimo di tregua' e 'Un tranquillo weekend di paura') offre un grandioso coming of age anni 50: commovente, romantico. Al centro, temi semplici ma eterni, ultimi a morire: amicizia tra uomini, illusioni d'amore, tradimenti, cadute e rinascite. Non è un caso che nei dialoghi tra i protagonisti, scalfiti dapprima da ingenue speranze e tramortiti poi da "botte che solo la vita sa rimediare", si citino alcuni dei più grandi, come Kurosawa, Wilder, Hitchcock. Un lavoro d'altri tempi, assolutamente fuori moda, anch'esso disinteressato a conquistare le simpatie del lettore medio di 'Repubblica', che si potrà consolare certamente col deludente 'Jimmy's Hall' di Ken Loach (voto 5). Chi mi conosce, sa che amo Loach. Sa che amo il suo approccio pasionario, amo i suoi perdenti, i suoi racconti proletari e civili. Mi commuovo ancora oggi quando penso a quel capolavoro de 'Il vento che accarezza l'erba' e a quel finale terribile e immenso. Ma, in questo caso, siamo di fronte alla storiella del comunista che torna, dopo anni di esilio, nel suo villaggio natìo per combattere il conservatorismo e le ipocrisie dovute all'ingombrante presenza della Chiesa e alla morale cattolica. Siamo, purtroppo, di fronte a un'opera prevedibile, manichea, senza sussulti. Non verrà mai meno la nostra stima per il combattente Ken, ciononostante anche ai condottieri più valorosi capita di non essere in forma smagliante.



venerdì 6 giugno 2014

I Magnifici Sette: Football Movies

Noi non supereremo mai questa fase.

Febbre a 90 - David Evans, 1997: tifare una squadra di calcio è un mistero della fede. Qualcosa che non può essere spiegato razionalmente. E' un dato di fatto con il quale bisogna convivere. La traduzione cinematografica del bestseller di Nick Hornby è una commedia sentimentale che ha la sua forza nell'ironia, nella tenerezza, nella straordinaria sincerità con la quale viene raccontata la vita di un trentenne, insegnante di lettere, alle prese con un amore nuovo (una graziosa collega un po' snob e radical-chic) e con quello di sempre (l'Arsenal, destinato a vincere il campionato dopo diciotto anni). Grande Colin Firth.

Hooligans - Lexi Alexander, 2005: film duro e crudo, forse l'unico che pone una lente di ingrandimento onesta sulla realtà delle tifoserie di calcio più intransigenti ed estreme, senza retoriche e moralismi. Il protagonista è un insegnante di Educazione Fisica, quasi a voler ribadire che la violenza non è espressione di una singola classe sociale, ma è un dato di fatto reale e diffuso. Molti, comunque, i passaggi nel quale il tifo viene mostrato come l'espressione di un senso di comunità, di fratellanza, di un'attitudine anarchica e antisistemica. Indimenticabile il coro I'm Forever Blowin Bubbles, l'inno del West Ham United.

Il Mio Amico Eric - Ken Loach, 2009: insieme a La Parte Degli Angeli, è il film più utopista di Ken Loach, nel quale la classe operaia riesce a prevalere e ad andare finalmente in paradiso, grazie a valori come l'amicizia e la solidarietà. E il calcio, impersonificato da Eric Cantona, rappresenta una via di fuga, un motivo di consolazione e di gioia quando tutto sembra perduto. Leggero ma trascinante, in modo particolare nel finale un po' hollywoodiano, che non fa altro che evidenziare il significato favolistico e irreale, ingenuo, giocoso e liberatorio.

Maradona By Kusturica - Emir Kusturica, 2008: che cos'è il genio? Emir segue Diego, corre appresso ai ricordi del Pibe de Oro, e regala quei bellissimi due minuti in cui Manu Chao canta La Vida Es Una Tombola per strada di fronte ad un commosso Maradona. Gloria e disperazione sono quasi sempre stati indissolubili nella vita di un uomo indubbiamente controverso, romantico e punk. Diego è il calcio nella sua forma più autentica, ostinata e incontaminata da "mafiosi" come Havelange, Blatter e Matarrese: è il calcio come "bellezza del gesto".

Sognando Beckham - Gurinder Chadha, 2002: ecco, invece, il calcio più politicamente corretto, ecumenico e familista in un film, però, tutt'altro che sgradevole. Non importa chi siete, da dove venite, come la pensate. Tutti noi possiamo essere uniti e affiatati dalla voglia di correre dietro a un pallone, bianchi o neri, maschi o femmine, etero o gay. Questa è la forza del calcio ma è, soprattutto, la forza di un film che ha lanciato quel dono divino di Keira Knightley, innamorata come la sua amica del cuore del loro allenatore Jonathan Rhys-Meyers.

Jimmy Grimble - John Hay, 2000: ovverosia, Billy Elliot spiegato agli eterosessuali maschi. Grazie a un paio di scarpette magiche, un adolescente brocco e introverso, tifoso dello sfigato Manchester City, diventa un fenomeno e porta la sua squadra alla finale del torneo della scuola. Dopo il trionfo, i dirigenti del Manchester United gli chiederanno di giocare per loro, ma alla domanda "Cosa d'altro può esserci di meglio del Manchester United?", lui risponderà: "Il Manchester City". Epico. PS: La Storia del Calcio ha poi invertito la rotta, riabilitando il City in una delle squadre più forti d'Europa.

Il Maledetto United - Tom Hooper, 2009: questa è una delle storie di calcio più belle e poetiche in assoluto, quella dell'allenatore un po' sbruffone Brian Clough, che portò il minuscolo Derby County a vincere il campionato e il Nottingham Forest a vincere due Coppe dei Campioni consecutive, ma che, nel mezzo, fallì clamorosamente con il Leeds United, la squadra inglese di maggior successo dei primi anni Settanta ma anche la più scorretta e indisciplinata. Un grandissimo film, diretto dal regista de Il Discorso Del Re, su ambizione e amicizia tradita e riconciliata, perchè il calcio è come il blues: dentro c'è tutto. Meravigliosi Michael Sheen e Timothy Spall.