Purtroppo, ho visto questo film al cinema proprio al fotofinish ma vale la pena di recuperarlo per un futuro passaggio televisivo o, per chi lo fa ancora, per un video noleggio oppure, più banalmente, scaricandolo (ma attenzione, è illegale). L'opera prima di Debra Granik è in perfetto stile Sundance: ambientazione nella provincia americana che più profonda non si può, stile duro e granitico, produzione indipendente con lancio di futura diva (la brava ventenne Jennifer Lawrence, già definita la nuova Jodie Foster). Aggiungiamo un bel mucchio selvaggio di personaggi maschili davvero disgustosi e omertosi tra i quali la protagonista si aggira per saperne di più sul disgraziato padre scomparso lasciandole la casa ipotecata e i fratelli a carico con madre malata. E mettiamoci pure un personaggio femminile che ringhia e che non demorde mai di fronte a una realtà disperata, disposto a tutto pur di strappare un pezzetto di dignitosa sopravvivenza. E, così, è arrivata anche la candidatura all'Oscar come miglior film per 'Un gelido inverno', innevato da un realismo aspro e sgradevole. Nessun rapporto umano è descritto con buonismo e faciloneria, ciononostante non scocca la scintilla che rende il tutto davvero indimenticabile, almeno a livello narrativo. Da segnalare per gli appassionati di musica, la bella colonna sonora folk della misconosciuta Marideth Sisco (maridethsisco.com).
giovedì 31 marzo 2011
domenica 27 marzo 2011
Non Lasciarmi (voto 8)
La bioetica e l'eugenetica sono temi sui quali preferisco non esprimermi e ai quali, con tutta sincerità, non mi sono mai particolarmente interessato. Ciò non mi ha portato ad ignorare l'uscita di 'Non lasciarmi', attratto da un trio di attori giovane e superlativo. Chi mi conosce sa bene che ho un grosso debole per Keira Knightley. E, dopo aver visto 'An Education', nella mia lista di attrici preferite Carey Mulligan è entrata di diritto nelle prime posizioni. Va da sè che per me vedere questo film era un obbligo: anche nella pellicola di Mark Romanek, Keira&Carey sono bravissime e, manco a dirlo, bellissime. Aggiungiamo pure che la parte maschile va al co-protagonista di 'The Social Network' Andrew Garfield e gli ingredienti per una immedesimazione generazionale ci sono tutti. Diciamo solo che il regista Romanek, alla sua seconda prova, è quello del non proprio entusiasmante 'One Hour Photo' ma dopo 'Non lasciarmi' è evidente che il ragazzo, nel corso degli anni, abbia fatto passi da gigante. Il romanzo di formazione è sempre stato, poi, un mio pallino, sebbene sia accompagnato da tematiche che potevano flirtare con generi più radicali come la fantascienza e l'horror. Ma Romanek è abilissimo nel raggiungere e mantenere un equilibrio magico in quello che può essere definito a tutti gli effetti un melodramma. 'Non lasciarmi' è davvero un'opera impeccabile: l'esplosione emozionale finale è costruita con intelligenza e sagacia, ogni inquadratura e ogni dialogo non sono mai fini a se stessi, il registro stilistico è meravigliosamente elegante e garbato. Di fronte ad argomenti così forti e attuali, una soluzione alternativa sarebbe potuta essere quella di virare su direzioni più mordaci e "cattive". Va apprezzata, invece, la grande sensibilità del regista, che ha il buon gusto di non cedere mai a tentazioni sperimentali. Si parla di clonazione e di diversità ma, alla fine, quello che illumina 'Non lasciarmi' è sempre Lei, la Storia d'Amore. Gli occhi di Carey Mulligan di fronte all'ultimo e definitivo trapianto sono quelli da conservare nel cuore e nei prossimi anni di cinema. Sono loro quelli che danno a 'Non lasciarmi' il respiro infinito dei grandi melodrammi classici. Bello vero.
giovedì 24 marzo 2011
Tournée (voto 8)
Da grande appassionato di rock, mi sono sempre chiesto se Marilyn Manson anche nella vita privata gioca a fare Marilyn Manson oppure se, una volta tolto il trucco, è un tipo tutto sommato regolare esattamente come potrei essere io, uno che si è inventato un personaggio estremo e discutibile solo per tirare a campare. Probabilmente, se partecipassi al 'Milionario' accenderei quest'ultima risposta. E, dopo aver visto 'Tournèe', sono convinto che la accenderebbe anche l'attore Mathieu Amalric, conosciuto da noi per il toccante 'Lo scafandro e la farfalla'. La sua quarta opera dietro la macchina da presa (la prima, però, distribuita in Italia) è un bell'affresco dolceamaro di una compagnia di ragazze americane di New Burlesque in trasferta per la Francia ma è, soprattutto, la descrizione tragicomica del loro produttore francese, interpretato dallo stesso Amalric. Sul palcoscenico, le ragazze si spogliano, provocano, trasgrediscono ogni regola del buon costume, sempre però con piglio molto auto-ironico e mai volgare. Dietro il palcoscenico, invece, aspettano, si spostano, litigano senza neanche troppa enfasi, sostanzialmente, si annoiano. Il loro produttore, invece, è il classico bel personaggio perdente, un po' cialtrone e un po' romantico. Amalric non gira un film sul burlesque, preferisce riflettere su diverse solitudini che hanno a che fare tra di loro neanche per interesse economico, piuttosto per necessità di sopravvivenza. La loro tournèe per la Francia è un trascinarsi avanti senza entusiasmo, senza nessun colpo di scena. Il registro stilistico di 'Tournée' va di pari passo, non risparmiandosi più di un tempo morto e sfiorando qua e là il vero e proprio documentario. Ciononostante, 'Tournée' è un'opera assolutamente viva, che si regge in piedi grazie alla verve delle protagoniste e a una bella alternanza di momenti divertenti e profondi. Eccezionale, ad esempio, è il rapporto tra il personaggio di Amalric e i suoi figli, pervaso da un costante senso di inadeguatezza che non annulla però un tenero affetto reciproco. Mi è venuto in mente, a tal proposito, 'Somewhere' di Sofia Coppola, che si concentra appunto su questo tema. Ad Amalric bastano poche scene per toccare in maniera vivida e sincera le corde dello spettatore, laddove invece la Coppola si soffermava su aspetti patinati e superficiali. Ho trovato solo il finale un pochino consolatorio per poter definire 'Tournée' Bello e Cattivo ma la grande ricerca degli aspetti umani e quotidiani e lo spirito un po' anarchico me lo fanno caldamente consigliare.
mercoledì 23 marzo 2011
Il Cigno Nero (voto 10) IL FILM DEL MESE
Non sono interessato alla prevedibilità. Non sono interessato all'intelligenza fine a se stessa nè a intrecci rassicuranti. Preferisco rimanere spiazzato e turbato di fronte a un'opera artistica che ha l'ambizione di porsi come termine di paragone per chi succederà. 'Il cigno nero' è un film meravigliosamente conturbante, torbido e avvolgente. Una visione nel vero senso della parola. Non esistono intellettualismi nel cinema di Darren Aronofsky. Il suo stile è senz'altro discutibile, in passato l'ho ritenuto gratuito ed eccessivo (vedi 'Requiem For A Dream'), ora lo considero eccessivo ed essenziale. Quello che conta nella sua attitudine cinematografica non sono i dialoghi, non è la complessità dell'intreccio narrativo. Quello che conta è il corpo dei suoi protagonisti, sempre portati all'estremo, all'esasperazione. Mickey Rourke in 'The Wrestler' lo sacrificava in maniera autodistruttiva ma molto classica in una parabola che si dedicava alla sconfitta, al tempo che passa, al decadimento. Un anti-eroe molto ben definito. Il corpo di Natalie Portman, invece, parte come un sogno e termina come un incubo. Bellissimo e ossessionato. Al termine del 'Cigno Nero' il suo volto meraviglioso non rimane più impresso delle sue punte sanguinanti, del suo sguardo posseduto e demoniaco. Osa Aronofsky, rischia tanto da disinteressarsi della concatenazione degli avvenimenti. Per una volta, è completamente irrilevante. La base dei suoi ultimi due film è la disintegrazione dei sogni. Quanti bambini hanno sognato un giorno di essere un wrestler e quante bambine di diventare una ballerina? Il suo cinema si rivela grandiosamente popolare e deborda di passione, dal primo provino al tragico epilogo. La dedizione della Portman a infierire su di sè è straordinaria e l'Oscar per una volta è sacrosanto. La sua evoluzione da ragazza della porta accanto a pura ossessione e abbandono e buionero è frutto del genio controverso di Darren Aronofsky. Che, giustamente, non potrà mai essere unanimamente riconosciuto perchè altrimenti non avrebbe senso di esistere. Bello e Cattivo.
Emiliano Dal Toso
Emiliano Dal Toso
lunedì 21 marzo 2011
Rango (voto 4)
Mi sono chiesto: forse sono io a non saper più ridere. Poi, mi sono ricordato che qualche settimana fa mi sono divertito come un matto con la gioiosa ludica demenza di 'The Green Hornet'. Allora ho pensato che forse ho perso il mio animo bambino ma non è possibile perchè le sento ancora fresche le lacrime versate sul finale struggente di 'Toy Story 3'. No, non sono io a essere sbagliato. Sono loro che non fanno altro che propinare cartoni animati di plastica senza un'anima. 'Rango' è l'ennesimo figliastro dell'orco Shrek, l'ennesimo mostriciattolo che vuole dissacrare e far ridere con la solita ironia pop che ha davvero sfracellato i cosiddetti. Avevo 14 anni quando uscì al cinema 'Shrek'. Ricordo ancora la sensazione di ribellione e di sana ironia che diede a un neo-adolescente cresciuto con i classici Disney. Dieci anni fa 'Shrek' era un nuovo modo di utilizzare il genere d'animazione che oggi non ha più senso. Se escludiamo la Pixar, il cinema d'animazione è diventato solo un tentativo di parodiare il cinema classico. Una generazione che cresce con 'Cattivissimo me' e 'Rango' non può che essere completamente rimbecillita. Una generazione che ride senza un motivo. Come puoi ridere con 'Rango' se non hai la minima idea di cosa sia il cinema western? Purtroppo, questo genere di cartoni animati sono la stragrande maggioranza e sono anche quelli che fruttano il maggiore incasso. Da bambino, ho avuto la fortuna di assistere al cinema ad almeno quattro capolavori (visti tutti al mitico e compianto Nuovo Arti di Via Mascagni): 'La bella e la bestia', 'Aladdin', 'Il Re Leone', 'Il gobbo di Notre Dame'. Queste visioni mi hanno fatto emozionare, soffrire e divertire, capire che diamine di sbatti sia la vita. Robe come 'Rango' hanno una valenza pedagogica pari a zero. Si cerca solo la gag, lo sberleffo, la risata immediata. Guai a sviluppare la trama in modo minimamente drammatico o anche solo reale. A dire il vero, anche la Pixar ha assorbito questo meccanismo pop anti-classicista, poi però ti piazza delle mazzate emotive come 'Wall E' o 'Toy Story 3'. In questo momento storico, la Pixar sta salvando dal naufragio il cinema d'animazione.
martedì 15 marzo 2011
The Fighter (voto 6)
Risparmierei la solita pappardella sul fatto che i film di boxe sono sempre dei capolavori, mentre i film con sfondo calcistico sono generalmente mediocri (tendenza che poi è stata smentita con gli ultimi esempi british 'Il mio amico Eric' e 'Il maledetto United'). Rifletterei piuttosto sul fatto che 'The Fighter' rappresenta esattamente quel genere di pellicola che esalta gli americani, apparentemente anti-convenzionale ma alla fine molto rassicurante. Non metto in dubbio la grandiosità delle interpretazioni di questo film nè l'ottima ambientazione proletaria, molto credibile. Non metto in dubbio neanche la caratterizzazione dei diversi personaggi, davvero tutti molto interessanti e riusciti. Mi sembra, però, che tutto questo faccia da contorno a un contenuto un po' povero e prevedibile. Il film ha degli squarci di intensità drammaturgica notevoli e, purtroppo, si perde in un finale da Volemoce Tanto Bene che risulta forzato e paraculo. Può darsi che questo tipo di sentimento sia lo specchio di una Hollywood pervasa dalla freschezza obamiana ma è anche lo specchio dell'America? Sicuramente, non è lo specchio dell'italia berlusconiana. E poi, questa storia dell'American Dream ha davvero un po' rotto le palle. Non voglio essere troppo cattivo con un film che è comunque un prodotto godibilissimo. Christian Bale è un attore monumentale e quando fa l'anoressico fuori di testa è devastante (da recuperare il sottovalutato 'The Machinist'). Ottima la mamma Melissa Leo e anche Amy Adams non fa soltanto la figura di gran gnocca. Ed è in parte pure Mark Wahlberg, molto equilibrato e intenso. Inizialmente, il film doveva essere girato da Darren Aronofsky, che poi ha virato su 'The Wrestler' e 'Il cigno nero'. Forse, sarebbe stato un capolavoro. David O. Russell, invece, ha una impronta troppo american way of life che pone 'The Fighter' un gradino sotto sia all'eleganza de 'Il discorso del re' che alla ferocia di 'The Social Network' e del sopracitato Aronofsky, gli altri candidati all'Oscar. Ciononostante, non mi sento di dire che 'The Fighter' sia più brutto che bello ma è davvero molto, troppo pacioccone.
giovedì 10 marzo 2011
Ladri Di Cadaveri (voto 1)
Esistono grandi registi che, dopo un lungo periodo di assenza, tornano dietro la cinepresa e regalano grandiosi capolavori, proprio al termine della loro carriera (mi viene in mente il Kubrick di 'Eyes Wide Shut' oppure l'inedito Monte Hellman di 'Road To Nowhere'). Ne esistono altri, invece, che vivendo di rendita per il loro glorioso passato hanno la malaugurata idea di riproporsi al pubblico e ricevono l'ovazione da parte di molti, malgrado l'effettiva qualità della loro opera sia decisamente scarsa. Questo è successo un po' di anni fa con Sydney Lumet nel pessimo 'Onora il padre e la madre'. Questo succede, ahinoi, col grande John Landis in 'Ladri di cadaveri'. Se il nome del regista non fosse quello di 'The Blues Brothers' e 'Animal House', col cavolo che saremmo qui a parlare di questo film. Sta roba non sarebbe mai stata girata. Ma che è? Un comico che non fa ridere. Mai. Giuro, non c'è nessuna battuta, nessuna scena che faccia anche solo sorridere. Ho accennato a un semi-sorriso quando un tipo si schiaccia il piede con una porta. Ho detto tutto. Non è nè una commedia british nè una commedia americana, uno strano ibrido che non porta da nessuna parte. Trama stanchissima, che parte con uno spunto macabro che fa solleticare anche i più perbenisti. Ma a lasciare sconcertati è la prevedibilità e la goffaggine dei tempi comici, delle battute, delle trovate. Mi spiace molto per Simon Pegg, che trovo un ottimo attore comico come ha ampiamente dimostrato in 'Shaun Of The Dead'. Non so cosa sia saltato in testa a John Landis di tornare a fare cinema in questa maniera. Saranno stati motivi economici piuttosto che malinconici del tempo che fu, ciò non toglie che 'Ladri di cadaveri' sia un brutto film e che la sua scelta di chiudere la carriera così mestamente sia stata cattiva.
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