domenica 8 settembre 2019

Riflessioni Spiazzanti: Venezia 76

Sono stati giorni di conflitti, contrasti, ideali falliti, quelli che hanno attraversato la Mostra del Cinema di Venezia di quest'anno. Lo scontro è stato al centro. Uno scontro sociale e individuale, con se stessi, con l'incapacità di trovare un posto in questa vita, in una società regolata da qualcun altro e di cui non possiamo avere controllo, imposta e sofferta. La dissoluzione fisica e psichica di Joaquin Phoenix in Joker, innanzitutto: un personaggio portatore di uno sconforto interiore che implode all'interno di una soffocante organizzazione urbana che non permette alcun tipo di affermazione personale. La violenza e la malvagità come unico atto rivoluzionario possibile. L'individualismo, il disordine, la disorganizzazione, come gli unici processi per far saltare in aria le ingiustizie della vita.

Il protagonista di Martin Eden rappresenta l'ideale individualista che si svincola dal collettivismo socialista: da solo contro tutti, alla ricerca di un impossibile mondo di cultura e istruzione che salvi l'individuo dalla gerarchizzazione economica e dalle differenze di classe. Luca Marinelli e Phoenix nei loro film vanno entrambi a sbattere la testa contro il muro, consapevoli di non poter cambiare il mondo e l'orrore delle strutture sovraimposte. L'amore non li salva, li dilania ancora di più: in Martin Eden è un'illusione destinata a essere sconfitta dalla condanna di appartenere a un ruolo che non può sradicarsi dal proprio passato e dal contesto in cui si è cresciuti; in Joker, invece, è una frustrazione quotidiana, reiterata, vissuta da un reietto della società che cerca un minimo sentimento di conforto, di approvazione e non lo trova, e il destino per lui non può essere altro che lo sprofondo psichiatrico, vendicativo, terrorista.

In questa Mostra del Cinema ha commosso e indignato J'Accuse di Roman Polanski, odissea giudiziaria dove quello che dovrebbe rappresentare il diritto, il giusto, le regole è irrimediabilmente inficiato dalla natura umana corrotta e tesa all'interesse nazionale, a un'organizzazione dettata dalla convenienza, personale e statale. Non c'è respiro neppure in Gloria Mundi di Robert Guediguian, un ritratto del fallimento dell'ideale di famiglia, di amore, di lavoro, tra tradimenti e sesso scadente, tra frustrazioni e un futuro che fa paura soltanto pensare, immaginare, in cui la resistenza economica è un miraggio e la cui assenza determina ogni rapporto. Risultano innocui, in confronto, l'inchiesta pop di Steven Soderbergh, il funambolismo tecnico di Pablo Larrain, il manierismo narrativo di Atom Egoyan, spazzati via da un quartetto di film lontanissimi tra di loro ma che insieme compongono uno stato delle cose da abbattere, sentenziano il fallimento delle icone, degli ideali, della politica, della comprensione, dell'uguaglianza, della sincerità dei sentimenti, tracciando la strada di un destino dove la battaglia interiore tra ciò che si desidera e quello che si riesce a conquistare non avrà modo di trovare una pacificazione.