venerdì 31 maggio 2013

Solo Dio Perdona

Se ho parlato male dell'ultimo di Sorrentino, dovrei dire che Nicolas Winding Refn è un completo idiota. E lo dico. Credo che il suo cinema sia quanto di peggio possa esistere. L'"autore" danese non fa altro che utilizzare il cinema d'intrattenimento e spogliarlo dell'intrattenimento. Che cosa resta? Niente, zero, tabula rasa. 'Solo Dio Perdona' è una vaccata di proporzioni cosmiche, il trionfo del non cinema, del vacuo, dell'inconsistenza. Proprio nelle pagine di questo blog, ho cercato di rivalutare il concetto di noia al cinema, dal punto di vista dello spettatore. Ma la noia di cui parlavo io, è quella noia bella, che si prova quando si è di fronte a qualcosa che sai che è valido, artistico. Come ai musei, o a teatro. La noia che si prova di fronte ai film di Winding Refn è quella che si prova quando si è costretti a fare conversazione con qualcuno che sai che è un totale deficiente. Se nel precedente 'Drive' il punto di riferimento era palesemente il cinema poliziesco anni 80, in 'Solo Dio Perdona' ce n'è spudoratamente soltanto uno: David Lynch, a cominciare dalle atmosfere e dalle luci da Club Silencio. Ora, io credo che la differenza che ci sia tra il regista di capolavori assoluti come 'Velluto Blu', 'Strade Perdute', 'Mulholland Drive' (mi viene da piangere se penso alla grandiosità di queste divinecommedie del cinema moderno) e Winding Refn possa essere quella che ci sia tra Marco Van Basten e Ze Eduardo. Da una parte, classe purissima, giunta dal cielo, che non ha bisogno di niente e nessuno per esprimersi nelle sue forme più eccelse e luminose. Dall'altra, mediocrità manifesta, quella tipica di chi ha la presunzione di mostrarsi come un grande artista, perchè tanto si è già registi, si è già autori, si è già geni, quando invece non si è altro che dei miseri dilettanti. Van Basten e Lynch sono un Rolex, Ze Eduardo e Winding Refn una patacca. Che sia chiaro. Di solito, un regista, che nel bene o nel male viene considerato di moda, ha almeno l'abilità di portarsi dietro attori di buon livello. E, invece, neanche quello. L'attore feticcio, infatti, di questo straziante pisquano è il catatonico Ryan Gosling. L'uomo che ha scelto lo sguardo fisso e inebetito come stile di vita. C'è chi ha, però, osannato l'interpretazione della grande Kristin Scott Thomas, nei panni di una mamma alquanto ambigua e torbida. Mi rifaccio alle parole di un mio caro amico che ha visto con me il film: "Mi sembra di veder recitare Donatella Versace." Parlavo, prima, della moda. Spesso, i registi che vanno di moda tra i cinefili sono effettivamente di grande rispetto e valore. Penso ad Harmony Korine, a Darren Aronofsky o a Steve McQueen. Non credo che sia certamente il caso di Nicolas Winding Refn, che può convincere esclusivamente giovani appassionati, pischelli, ragazzetti, ancora spaesati, disorientati, impauriti dinanzi a quello che nel bene o nel male può offrire loro la vita e, di conseguenza, il suo specchio di maggior efficacia e spietatezza, cioè il cinema.

Emiliano Dal Toso



lunedì 27 maggio 2013

La Grande Bellezza

Ci ho pensato e ripensato negli ultimi giorni e sono arrivato alla conclusione che 'La grande bellezza' sia davvero un brutto film. Sorrentino sciò, a casa, bocciato. Non a caso, se ne torna da Cannes con un bel due di picche, a mani vuote, esattamente come due anni fa con il pessimo 'This must be the place'. Nel suo sesto film, il regista partenopeo ha davvero pisciato fuori dal vaso, cercando invano di inquadrare in modo esemplare la decadenza dei costumi, dei valori del nostro Paese ma, nello stesso tempo, con la presunzione di chi si sente già il Kubrick italiano, facendo finta di lasciarsi andare in maniera del tutto programmatica a suggestioni, immagini frammentarie, visioni, che vorrebbero rimandare a Fellini ma che mi sono sembrate più adeguate come immagine per lo screensaver del mio computer (tutti gli animali del film sono stati aggiunti palesemente e senza ritegno in fase di post produzione). Mi ha davvero rotto le palle ripetere che Sorrentino sia tecnicamente un mostro, da questo punto di vista probabilmente il più bravo regista italiano di sempre insieme a Bertolucci e ad Argento. Chissenefrega della tecnica se, poi, il resto è un ambaradan assolutamente fuori fuoco. Boh, 'La grande bellezza' è un film un po' sulla bellezza, appunto, un po' su Roma, un po' sull'Italia, un po' sull'amore, un po' sulla morte, un po' sulla vita. Incredibilmente presuntuoso, pieno zeppo di citazioni letterarie assolutamente non necessarie, si avvale di un Servillo come sempre impeccabile, e anche ribadire questo ha ormai rotto i maroni. Toni è talmente un grande che il mio film preferito di Sorrentino è diventato 'L'amico di famiglia', l'unico in cui è assente. No, basta, sono stanco anche di sentir dire che dobbiamo sostenere un cinema coraggioso, pieno zeppo di sfumature, che non si limita a raccontare la solita storiellina. Sinceramente, mi tengo stretto una storiellina fluida e ben raccontata alle ambizioni spropositate di un regista che si è ormai fatto travolgere da un gigantesco senso di onnipotenza. Venditti? Le giraffe? I fenicotteri? Ma che è. Stenderei, poi, un velo pietoso su tutta la parte finale sulla suora 104enne presunta santa, ma anche su quella facilona dell'amor giovanile e perduto del protagonista. Salverei, soltanto, le scene zarre delle feste con la musica tamarra, certamente efficaci, anzi sarebbe stato meglio che il film fosse stato due ore e mezza di Servillo, la Ferrari, Serena Grandi e Buccirosso che ballano sbronzi sulle note di 'A far l'amore comincia tu'. Dimentico, poi, un Carlo Verdone che fa lo sfigato innamorato di una che non se lo caga e una Ferilli che fa la zoccola ma, poveretta, nasconde un terribile segreto. Eh, ma Sorrentino è un grande, lui sì che è uno che ci fa fare bella figura all'estero, tutti i giornali stranieri lo applaudono, che provinciali gli italiani che lo criticano. No, via, abbasso il pensiero comune, non chiedo altro che onestà intellettuale. Volete un vero film sull'Italia di oggi e sul suo dominante senso di sconfitta (intellettuale, spirituale, umana)? 'Reality' di Matteo Garrone. Ne volete un altro sullo spirito dei tempi e sulla bellezza, sulla consistenza della superficie? 'Spring Breakers' di Harmony Korine.

Emiliano Dal Toso




sabato 18 maggio 2013

Riflessioni Spiazzanti: Sky e Il Divano

Spesso e volentieri, mi ritrovo a casa sdraiato sul divano e mi domando se sia il caso oppure no di guardare un film. Poi, i miei pensieri cominciano a divagare e si perdono nel nulla e mi rendo conto che non sto concretizzando quello che inizialmente volevo fare: guardare un film. Sono troppo affaticato per inserire un dvd nel lettore dvd ma ecco che, improvvisamente, un impulso di vita mi spinge ad accendere il decoder di Sky per dare un'occhiata alla programmazione dei canali di cinema. Credo che la programmazione dei canali di cinema di Sky sia di una mediocrità senza ritegno. Mi domando come sia possibile che su dieci possibilità, di solito, ce ne siano tra le zero e le due di imbattermi in un film decente. Purtroppo, nella maggior parte dei casi si tratta di film che ho già visto, probabilmente a casa, sul divano, mentre speravo di guardare un film decente su Sky. Per combattere l'alienazione e l'incredulità di passare il mese di maggio senza riuscire a trovare un senso al divano e a Sky, mentre fuori piove, consiglio comunque di provare ad andare al cinema e di tentare almeno con 'Miele' di Valeria Golino. Jasmine Trinca è meravigliosa. Credo di amarla. Però finisce lì. Jasmine Trinca non fa parte della mia vita, è soltanto un attrice. Ad ogni modo, sempre meglio amare un attrice piuttosto che affidarsi al palinsesto di Sky. Stenderei un velo pietoso su 'Il Grande Gatsby' di Baz Luhrmann, credo una delle visioni più inutili e insulse degli ultimi anni. Non brutto, completamente insipido. Senza alcun tipo di aspettativa, ho riso con 'Mi rifaccio vivo' di Sergio Rubini. Un filmaccio sgangherato che non va da nessuna parte, senza battute particolarmente brillanti. Ma ha una sua andatura sghemba, delirante, abbastanza autentica, che mi ha fatto simpatia. Forse, in altri momenti della vita, lo avrei stroncato senza mezze misure. E' certamente un grandissimo film 'No - I Giorni dell'arcobaleno' di Pablo Larrain, niente da dire. Mi ha preso indubbiamente più la testa che la pancia, o il cuore (il cuore appartiene a Jasmine). La visione, però, che mi ha certamente più entusiasmato durante i giorni di questa (presunta) Festa del Cinema è stata 'Fedele alla Linea', il documentario su Giovanni Lindo Ferretti, poeta, musicista, ex comunista, cattolico, italico, montano. Sono personaggi che ti fanno sobbalzare dal divano, giustificano la noia e, insieme al pensiero stupendo di Jasmine, riconciliano con il mese di maggio.

Emiliano Dal Toso

giovedì 2 maggio 2013

Riflessioni Spiazzanti: La Noia

Molti critici cinematografici sostengono che un film non si possa mai definire noioso, perchè la noia è un fatto soggettivo. Quel che è noioso per me non è noioso per te, quel che non è noioso per me è noioso per te. Non sono assolutamente d'accordo: la noia è un fatto oggettivo. Bisogna fare proprio i fighetti per pensare che Abbas Kiarostami o Apichatpong Weerasethakul possano essere meno noiosi di Michael Mann o di Quentin Tarantino. Ciononostante, è vero che la noia è tanto detestabile quanto rispettabile. Tutte le poche decisioni importanti della mia vita le ho prese mentre guardavo un film che mi annoiava e la mia mente partiva per altri luoghi. In alcuni casi è andata bene e le decisioni si sono rivelate sagge: stavo guardando 'The Number 23' di Joel Schumacher quando ho preso in considerazione per la prima volta l'ipotesi di iscrivermi a giurisprudenza. In altri casi è andata molto meno bene: ero al cinema di fronte a 'Jack Reacher - La prova decisiva' quando ho deciso che alle ultime elezioni avrei votato Partito Democratico. Dirò di più. Ci sono film che adoro pazzamente che sono noiosi. La noia, a volte, crea atmosfera, rilassa, coccola, rassicura. Posso fare alcuni esempi. 'Melinda e Melinda' di Woody Allen è un film noiosissimo ma che amo vedere e rivedere. Sarà per la presenza di Will Ferrell, uno dei miei idoli, sarà per quella, notevole, di Radha Mitchell, sarà per il solito sottofondo jazz alleniano, resta il fatto che adoro sbadigliare di fronte a 'Melinda e Melinda'. Un altro esempio può essere certamente 'Last Days' di Gus Van Sant. Si tratta obiettivamente di una noia mortale. Ma anche in questo caso, mi fa sempre piacere rivederlo. E' impressionante la straordinaria gestione che Van Sant ha della noia. Per dieci minuti riprende il suo protagonista (palesemente ispirato a Kurt Cobain) strafatto che lentamente si addormenta sul pavimento, per altri dieci riprende lo stesso che si aggira rincoglionito senza meta per sentieri e ruscelli. Magnifico. Chi mi conosce bene saprà che il mio film preferito di Wes Anderson è 'Il treno per il Darjeeling', il più noioso. Eppure, quel perenne umore di stasi, di passività, di malinconoia (sia sempre lodato marcomasini) che hanno i tre fantastici protagonisti è una delle cose più belle e autentiche che abbia mai visto sullo schermo.

Emiliano Dal Toso

mercoledì 1 maggio 2013

Riflessioni Spiazzanti: L'Inganno

Non credo di aver imparato pressochè niente dal cinema. Il cinema non insegna, non offre esperienze, è soltanto una proiezione della realtà. Riconoscersi, identificarsi in un personaggio non significa essere quel personaggio. Non ho appreso niente dai miei film preferiti, dopo averli amati non sono diventato una persona migliore, più saggia o meno sprovveduta. Il cinema non lascia niente se non l'emozione del momento. E' un'illusione pensare che il cinema possa cambiare le persone. Semmai, può cambiare la vita di chi il cinema lo fa, dall'interno. C'è un distacco netto tra chi lo vive come regista o attore e chi lo vive come spettatore. Per non parlare di chi lo vive come critico, credo il modo peggiore, meno adatto per essere in grado di coglierne l'umore e il significato. Dopotutto, i film sono compravendite di umore e di stati d'animo. Prendo i lavori degli ultimi dieci anni che ho amato di più: 'Old Boy', 'Into The Wild', 'Black Swan' e 'The Master'. A posteriori, Park Chan-Wook mi ha forse entusiasmato per i suoi insegnamenti, per le sue frasi del tipo "Piangi e piangerai solo, ridi e il mondo riderà con te?" Oppure 'Old Boy' è diventato uno dei miei film preferiti per il suo malsano intreccio narrativo di incesto, vendetta e tradimenti? Direi che non c'è bisogno di suggerire una risposta. Il viaggio nelle terre selvagge di Christopher McCandless mi ha toccato il cuore perchè "la felicità è autentica solo se condivisa"? Oppure, quando ripenso al film di Sean Penn, mi sale un brivido perchè mi riconosco (o mi piacerebbe riconoscermi) nella sofferta ma impavida ingenuità del suo protagonista? Per non parlare, poi, degli altri due titoli. 'Black Swan' è un trionfo onanista di autodistruzione. Come potrà mai insegnare qualcosa, far crescere o far migliorare una persona un film come 'Black Swan'? Aronofsky è pura forma che si compiace del grigiore e del nichilismo che contiene. Ed è per questo che va amato. Arriviamo, infine, a 'The Master'. Il film parla del processo di crescita intellettuale, umana e spirituale di un'anima persa grazie agli insegnamenti del suo illuminante maestro o si tratta, invece, dell'incontro e del rapporto controverso di due uomini soli, irascibili e spaesati? Mi rendo conto che possa essere abbastanza spaventoso per chiunque domandarsi sinceramente quali siano le ragioni per cui si ama tanto un'opera cinematografica. I film che hanno la pretesa di insegnarmi qualcosa, di solito, li trovo noiosi e poco interessanti. Eppure, se i nostri criteri di giudizio fossero più sani e morali magari vivremmo in un mondo migliore. O peggiore.

Emiliano Dal Toso