mercoledì 26 novembre 2014

Pagellino Novembre 2014

Sils Maria - Olivier Assayas 10: quello di cui si può essere certi è soltanto l'esclusività del punto di vista, l'irrinunciabilità alla prospettiva. E, in questo modo, il Teatro, il Cinema, la Vita vanno rielaborati: rinunciando al dovere dell'interpretazione e della giustificazione, ma accettando la propria condizione che è sempre e comunque nebulosa e inafferrabile. Divine Juliette Binoche e Kristen Stewart.

Due Giorni, Una Notte - Jean-Pierre e Luc Dardenne 9: i Dardenne rimettono al centro del proprio farecinema il lavoro, ma mai con questa essenzialità, con questa carica scarna e popolare. Nessun orpello, soltanto la sofferenza, la lotta, il coraggio di una immensa Marion Cotillard che battaglia per la sopravvivenza economica e per la dignità di essere umano.

Ritorno a L'Avana - Laurent Cantet 8: cinque amici di vecchia data su una terrazza della capitale cubana, tra amarezza e disillusione, dovuti alle speranze infrante di una generazione che ha sognato di poter costruire un mondo migliore. La radiografia di una Cuba mancata e di un presente senza spina dorsale, che non ha sconfitto però gli affetti speciali.

Lo Sciacallo - Dan Gilroy 8: cinema americano duro e credibile, nel quale un trentenne senza lavoro si improvvisa videoreporter senza scrupoli, abbattendo dubbi etici e limiti di visibilità. Eccezionale Jake Gyllenhaal, nella sua prova migliore, scavato e inquietante, che si aggira nella notte di Los Angeles alla ricerca dell'ultimo shock mediatico da vendere.

Frank - Lenny Abrahamson 7: dolorosa riflessione sul disagio mentale, che nell'ultima mezz'ora emoziona e commuove, cancellando le perplessità di una prima parte incentrata sul rapporto tra successo e i nuovi mezzi di comunicazione. Peccato per la patina hipster, ormai stucchevole, controbilanciata da alcuni passaggi surreali e geniali.

La Spia - Anton Corbijn 7: Philip Seymour Hoffman giganteggia in un buon thriller, solido e non troppo originale, diretto con eleganza e mano sicura dal grande fotografo Anton Corbijn (lontano, però, dal meraviglioso esordio di Control). Oltre a Phil, si fanno notare una sempre incantevole Rachel McAdams e una brava e stronza Robin Wright, in linea con il personaggio di House Of Cards.

Il Mio Amico Nanuk - Roger Spottiswoode 6: dolcissimo film per bambini, sull'amicizia tra un ragazzo e un orso polare alla ricerca della sua mamma, portata via dalle guardie forestali. Bello e giusto ridare attenzione a una specie da difendere, a far parlare di WWF, mentre sullo sfondo ci si lascia affascinare dai ghiacci dell'Antartide.

Interstellar - Christopher Nolan 4: l'ambizione di Nolan di essere più grande del Cinema e della Vita naufraga inesorabilmente in un polpettone indigesto e interminabile. La complessità dell'intreccio, stavolta, non è sorretta da un'attenzione accettabile alle sfumature e alle psicologie dei personaggi: anzi, spesso si è travolti dalla sconfinatezza del ridicolo involontario.

Tre Cuori - Benoit Jacquot 4: triangolo amoroso vecchio come il cucco, senza sussulti, presentato inspiegabilmente in concorso alla Mostra di Venezia. Molto intellettualistico e mai palpitante, con l'aggravante di un finale brutto e immotivato. Consoliamoci: anche il cinema francese, qualche volta, toppa e ci rifila qualche bidone.

Trash - Stephen Daldry 3: imbarazzante vincitore dell'ultimo Festival di Roma, è una sorta di The Millionaire ambientato nelle favelas di Rio De Janeiro, con un'attrice molto bella (Rooney Mara) e una delle trame più idiote e offensive degli ultimi anni. Insopportabilmente cartolinesco, incapace di destare attenzione malgrado il montaggio concitato.


giovedì 20 novembre 2014

Riflessioni Spiazzanti: Le Riflessioni Spiazzanti

La crudeltà è attraente, soffrire fa schifo. Niente è come sembra, niente è come appare. Le cose cambiano, il cinema cambia, la televisione supera il cinema e diventa a sua volta un punto di riferimento e un modello culturale. Per questi giovani, per questi giovani d'oggi, per questi bei giovani d'oggi, per questi bei giovani d'oggi del cazzo, non ci sono i soldi. Le recensioni ingannano, la critica cinematografica inganna. La carta stampata è carta straccia. Mi hanno chiesto del film in un unico piano sequenza: lo sapevo. Mi hanno chiesto del film girato tutto in soggettiva: non lo sapevo. Le riflessioni spiazzanti. Le riflessioni spiazzanti sono le mie, qui e adesso, non sono le mie di prima, non sono le mie fra poco, non saranno mai le tue: non lo sono mai state. Ho visto film più belli alla televisione che al cinema ultimamente. True Detective, Les Revenants. Sono film alla televisione, film alla televisione, non sono serie tv al cinema, tipo Gomorra, che sono stronzate. Nella prima i due protagonisti non muoiono, ma non se la passano bene. Nella seconda i protagonisti sono già morti, prima di morire, e ritornano in mezzo ai vivi. Sono romantiche, sono pulsanti, non c'è distanza tra io che guardo qui e adesso e loro. Non raccontano, non descrivono, ci sono dentro: non tutto è molto chiaro, non tutto va spiegato. Come in Sils Maria, che è un film al cinema, non sono io, che devo inseguire l'incomprensibilità di una trama interstellare, ma sono inseguito.

EDT


domenica 9 novembre 2014

Interstellar

Nell'ambizione di Christopher Nolan di essere più grande del Cinema e della Vita, di ribadire la trascurabilità dell'Uomo dinanzi alle potenzialità dell'Arte e all'Infinito, all'Immenso Spazio, il regista di The Prestige e di Inception si dimentica di un ruolo imprescindibile: quello dello spettatore. Per quanto Interstellar ponga il nobile obiettivo di far ricondurre al cuore e alla sua sconfinata forza di muovere il sole e le altre stelle il senso del suo incedere, le due ore e cinquanta di trattati di fanta-fisica quantistica alternati a dialoghi di una melensaggine imbarazzante risultano indigeribili, indigesti. Il film non emoziona, non coinvolge. Non si ha mai l'impressione di essere di fronte a qualcosa che non sia un polpettone pretenzioso, all'autocelebrazione di un regista che può permettersi di girare quello che vuole perché non ha limiti di budget, perché il suo talento gli ha concesso di essere il Prescelto punto d'incontro tra l'epica kubrickiana e l'intrattenimento spielberghiano. Non è necessario rivolgersi a incomprensibili teorie scientifiche per scrivere la Storia. Non è necessario, soprattutto, se i personaggi non hanno alcuno scavo psicologico, se i rapporti tra di loro non si sviluppano, se il filo narrativo e poetico che dovrebbe essere la spina dorsale (distacco padre-figlia, lontananza padre-figlia, ricongiunzione padre-figlia) viene risolto in maniera patetica, rasentando il ridicolo involontario. La complessità dell'intreccio delle opere precedenti era controbilanciata da un'attenzione altrettanto minuziosa alle sensibilità e alle sfumature: in The Prestige (il capolavoro di Nolan) la costruzione del puzzle andava di pari passo con una riflessione dolorosa e potente sul sacrificio dei sentimenti in nome dell'affermazione personale; in Inception il rompicapo thriller nei meandri dell'inconscio era accompagnato dal tormentato e struggente rapporto tra il protagonista e la moglie, che era un'amara analisi sul senso di colpa e sulle inevitabili proiezioni causate dall'Amore. In Interstellar la parola Amore si pronuncia spesso, ma è vuota, priva di significato, perché il contesto attorno a essa non è credibile, è una forzata scorciatoia che giustifica la mancanza di una reale profondità. Stendendo un velo pietoso sulla sciatteria con la quale sono scritti i personaggi di Anne Hathaway e di Matt Damon, le uniche note positive risultano essere Matthew McConaughey e quei primi venti minuti che illudono, che recuperano uno squarcio di America desolante e desolata. A rischio di essere tacciato come un blogger snob e modaiolo, mai come in questo caso mi sembra il caso di dirlo: il Cinema si trova su un altro Pianeta.

Emiliano Dal Toso