martedì 23 giugno 2015

Top Ten: Classifica Primo Semestre 2015

10 - Italiano Medio - Maccio Capatonda
Capatonda rinuncia al bisogno di approvazione dello spettatore italiota e realizza un'opera sgradevole, tanto disgustosa quanto indovinata. Il ritratto del Belpaese che viene fuori è deplorevole e drammaticamente reale, grazie alle armi del grottesco, del surreale e della deformazione dell'individuo, funzionali alla costruzione di un insieme che, d'istinto, rifiutiamo possa essere l'Italia ma ci rendiamo conto che sia davvero molto simile.

9 - E' Arrivata Mia Figlia - Anna Muylaert
Conflitto di classe nel Brasile di Lula: la figlia della governante piomba in casa della ricca famiglia borghese e sovverte le consuetudini. Commedia umana, abile ad evitare retorica ed intellettualismi, che non si sbilancia sul giudizio ai suoi personaggi. Grande attenzione ai dettagli: le magliette dei Ramones e dei Joy Division del benestante e annoiato Fabinho sono sempre stirate perfettamente.

8 - Blackhat - Michael Mann
Mann continua a interrogarsi sull'Uomo, a osservare la sua solitudine, i suoi addii. In un mondo virtuale che si riproduce e si copia a propria immagine e somiglianza, lui continua a riprendere una scena d'azione come se fosse una scena d'amore, e una scena d'amore come se fosse una scena d'azione. Pochi lo fanno, soltanto chi non conosce la differenza tra la passione per una donna e quella per un eroe.

7 - Forza Maggiore - Ruben Ostlund
Disgregazione graduale delle illusorie certezze matrimoniali in uno chalet sulle Alpi, dopo che si è vista tutti insieme appassionatamente una valanga - e la Morte - in faccia. Dinamiche psicologiche precise, trovate registiche geniali, sorrette da quell'ironia tipicamente svedese intrisa di spaesamento e impotenza. Ancora una volta, la neve se ne frega.

6 - Leviathan - Andrey Zvyagintsev
Dopo Il ritorno, Zvyagintsev evidenzia nuovamente il contrasto tra la sofferenza della vita terrena e l'indifferenza di una Natura che giganteggia, e che procede in direzione opposta rispetto alle piccolezze e all'incapacità dell'Uomo di liberarsi dalle catene. Sullo sfondo, l'unica a riscaldare il gelido vivere è la vodka: la compagna nei momenti di distensione, nella rassegnazione, nella solitudine.

5 - White God - Kornél Mundruczò
Rabbiosa e sovversiva denuncia nei confronti dello sfruttamento delle minoranze, dei soggetti deboli e dei rifiutati. Cani bellissimi e maltrattati che si organizzano per prendere il controllo di Budapest e per ribellarsi al genere umano: non ci sono dubbi per chi parteggiare. Dalla relazione tra cinefilia e cinofilia, è uno dei risultati più potenti ed emozionanti.

4 - Foxcatcher - Bennett Miller
Le vittorie non vengono mai assaporate davvero, mentre la sconfitta è sempre dietro l'angolo, perché il corpo non tiene, è destinato a consumarsi, ed ognuno di noi è facilmente corruttibile dal richiamo del denaro e dell'autodistruzione. Uno stile classico e asciutto al servizio di un terzetto di attori in stato di grazia (Carell, Ruffalo, Tatum), funzionale al grigiore di una Nazione che insegue l'apparenza come punto d'arrivo.

3 - Whiplash - Damien Chazelle
Racconto di formazione furente, che riflette sull'impossibilità di non rinunciare agli aspetti più lievi e superficiali della vita, dovendoli sacrificare con l'applicazione e la tensione costante di riuscire a realizzare i propri sogni. Psicosi a due tra maestro e allievo, tra vittima e carnefice, tra padre e figlio, sulle note di un pezzo jazz nervoso e sincopato.

2 - Youth - Paolo Sorrentino
C'è tutto, c'è tanto in quella che è una partitura musicale piuttosto che una sceneggiatura: eppure, questa volta Sorrentino si rivela straordinariamente coerente, diretto e brutale, sincero e mai cervellotico. Un pungo di personaggi indimenticabili per un inno alla leggerezza e alla semplicità, ribadendo ciascuno il proprio ruolo nel mondo. Io sto sempre andando a casa, sempre alla casa di mio padre.

1 - Vizio Di Forma - Paul Thomas Anderson
PTA mi ha fregato anche questa volta. Dopo una prima visione nebulosa, il film cresce, non se ne va, rimane impresso per le sue esplosioni improvvise di genio, di follia, di allucinazione. Si resta inebriati e attoniti, mentre la controcultura si accartoccia su se stessa malinconicamente e la macchina capitalista entra nelle nostre vite con prepotenza, corrompendole.



domenica 21 giugno 2015

5 contro 5: Vince Vaughn VS. Colin Farrell

I 5 FILM DA NON PERDERE CON VINCE VAUGHN
Swingers - Doug Liman, 1996: a ventisei anni, la premiata ditta Jon Favreau-Vince Vaughn scrive per sé la prima vera bromantic comedy americana postmoderna. Gag fulminanti, dialoghi a raffica, personaggi mai troppo vincenti che fanno fatica a trovare la postura giusta per cavalcare l'onda. Con un omaggio sentito a Scorsese e qualche parodia tarantiniana, si ride con grande eleganza. Vegas, campione, Vegas.

Psycho - Gus Van Sant, 1998: incredibile impresa cinematografica di Gus Van Sant che ripropone millimetricamente il capolavoro di Hitchcok, aggiornando soltanto qualche dettaglio di narrazione. Allo stesso modo, Vaughn compie il miracolo di replicare la stessa identica inquietudine e malattia che Anthony Perkins riusciva a dare al suo Norman Bates. Prova d'attore pazzesca.

Due single a nozze - David Dobkin, 2005: metà anni Duemila, siamo in pieno periodo Frat Pack. E Vince è diventato uno dei membri più riconoscibili del gruppo. Questa è forse la sua commedia più riuscita e divertente, cazzara con garbo. Grande sintonia con Owen Wilson, un altro che dietro al sorriso rassicurante nasconde un suo lato oscuro.

Ti odio, ti lascio, ti... - Peyton Reed, 2006: psicosi di coppia molto più intelligente del suo titolo italiano. Vince è l'americano medio, cappellino da baseball, playstation, chili di troppo. A sorpresa, il finale è molto più vicino alla realtà che alla maggior parte dei prodotti hollywoodiani. Primi accenni di una certa insofferenza nei confronti del demenziale puro e necessità di un ritorno alla malinconia repressa.

Into The Wild - Sean Penn, 2007: quella del trebbiatore Wayne Westerberg è la prova capolavoro di Vince, in grado di esprimere finalmente tutto l'insofferente anticonformismo che ha faticato a tenere a bada. Un personaggio commovente, che si rivelerà fondamentale per il protagonista Emile Hirsch per compiere il suo viaggio fino alle terre selvagge.

I 5 FILM DA NON PERDERE CON COLIN FARRELL
The New World - Terrence Malick, 2005:
dopo i primi film, nessuno crede che Colin Farrell possa essere chiamato a lavorare con i più grandi registi contemporanei. Malick è soltanto il primo di questi, e gli concede l'opportunità di impersonare John Smith in una delle versioni di Pocahontas più dolorose e visionarie che siano mai state realizzate. Sconcertante e sublime.

Miami Vice - Michael Mann, 2006: uno dei tanti capolavori manniani, nel quale la tamarraggine di un certo immaginario viene rielaborata in maniera epica e sentimentale, rendendo immensamente liberatoria una traversata su un motoscafo o una sparatoria in discoteca sulle note di una canzone dei Linkin Park. E poi c'è la faccia di Colin, che basta e avanza.

Sogni e delitti - Woody Allen, 2007: chissà perché, uno dei film più bistrattati di Allen, chirurgico e tragico esattamente come 'Match Point'. Colin si abbandona completamente all'alcol e ai demoni interiori, al lato oscuro della sopravvivenza. Da adesso in poi, cambia tutto: Farrell è un attore a tutto tondo, e la parte bad prevale su quella boy in maniera definitiva.

In Bruges - Martin McDonagh,  2008: geniale, ironica versione belga-irlandese del pulp tarantiniano. Colin porta avanti il personaggio di 'Sogni e delitti' con ancora più nevrosi e insofferenza. Magnifici i duetti con Brendan Gleeson, accompagnati da momenti surreali ed improvvise esplosioni di violenza. E' il noir postmoderno, bellezza.

The Lobster - Yorgos Lanthimos, 2015: Colin torna al vero e proprio cinema d'autore, interpretando un uomo che ha 45 giorni di tempo per trovare l'anima gemella, altrimenti verrà trasformato in un'aragosta. E se questa volta il greco Lanthimos appare meno manierista e più autoironico che in 'Kynodontas' lo deve proprio alle sue sfumature tragicomiche.

Emiliano Dal Toso


mercoledì 17 giugno 2015

Cannes e Dintorni 2015 - Seconda Parte: Our Little Sister, The Lobster, Son Of Saul, La Tierra y La Sombra

Quest'anno la qualità cinematografica proposta da 'Cannes e dintorni' è stata un po' al di sotto delle aspettative. Troppi grandi nomi sono rimasti privi di una collocazione nel calendario: dalla Palma d'oro 'Dheepan' di Jacques Audiard al miglior regista Hou Hsiao-Hsien, da Gus Van Sant a Denis Villeneuve, da Todd Haynes al 'Macbeth' con Fassbender e la Cotillard. Troppo dolciastro e pieno zeppo di carinerie 'Our Little Sister' (voto 5) del giapponese Hirokazu Kore-eda ('Father And Son'), che a questo punto potrebbe essere considerato un po' il Pupi Avati d'Oriente. Dopo il funerale del padre, tre sorelle invitano la quarta figlia avuta dall'uomo ad andare a vivere con loro: per tutte, si rivelerà un'occasione di crescita personale. Se si fosse trattato dello stesso identico script ma con una produzione hollywoodiana e con attrici come Cameron Diaz, Jennifer Lopez, Rachel McAdams e Susan Sarandon, probabilmente la critica mondiale lo avrebbe tacciato di buonismo e di familismo. Ma siamo in Giappone, dove le banalità diventano profonde riflessioni spirituali e i momenti morti sono silenzi artistici. Si apprezzava nel precedente lavoro un tocco delicato nei confronti delle differenze sociali senza cadere nella retorica ma, in questo caso, l'elogio della solidarietà femminile appare fin troppo ovvio e zuccheroso. Va decisamente meglio con l'attesissimo 'The Lobster' (voto 8) del greco Yorgos Lanthimos, vincitore del Premio della Giuria. Si ipotizza un futuro prossimo in cui chi è single viene portato in un hotel e deve trovare un'anima gemella entro 45 giorni, altrimenti sarà trasformato in un animale a suo piacimento. L'incipit è accattivante e alcune trovate sono geniali. Rispetto al precedente 'Kynodontas', deve essere riconosciuta una buona dose di ironia, anche grazie alle sfumature tragicomiche in grado di trasmettere gli attori Colin Farrell e John C. Reilly, e la bellissima Rachel Weisz. Il tono è straniante, houellebecquiano, capace di mettere a nudo le mediocrità dell'uomo, contrapposte a una società che non può evitare di etichettare e catalogare per poter esercitare il suo controllo. Non convince del tutto l'acclamatissimo 'Son Of Saul' (voto 6) dell'ungherese Laszlo Nemes, vincitore del Grand Prix. Si parla di Olocausto, ponendo una lente di ingrandimento sul lavoro dei sonderkommando, gli ebrei che nei campi di concentramento si occupavano di accompagnare i prigionieri nelle camere a gas e di recuperare successivamente i loro corpi. La macchina da presa non molla per un secondo il protagonista, quasi si fosse di fronte a un film completamente in soggettiva. Gli orrori sono fuori campo o fuori fuoco: la sensazione è che Nemes abbia cercato di trovare un punto di vista per raccontare qualcosa che non si conosca già o che possa sollevare ulteriore indignazione, senza però riuscirci. La trovata stilistica rischia di oscurare la forza del suo contenuto e, anche a livello narrativo, tutto è troppo raffazzonato. Un grande film è il colombiano 'La Tierra y La Sombra' (voto 8), esordio di César Augusto Acevedo, vincitore della Camera d'Or. Un intimo e sconvolgente ritratto di una famiglia contadina, che vive attorniata da una pioggia di cenere, causata dallo sfruttamento industriale delle piantagioni di canna da zucchero che circondano la proprietà. Sorprende e scuote lo sguardo del regista: mai ricattatorio, sempre asciutto e potente, senza consolazioni. Però affettuoso ed emozionante nella descrizione dei rapporti umani. Un cinema esteticamente perfetto, che getta una luce dolorosa su un mondo dimenticato, ai margini della sopravvivenza, eppure desideroso di vita e pulsante di sentimenti.

Emiliano Dal Toso


domenica 14 giugno 2015

Cannes e Dintorni 2015 - Prima Parte: Mountains May Depart, The Here After, Les Cowboys, A Perfect Day

E anche questo giugno la buona cinefilia milanese può esultare: 'Cannes e dintorni' c'è, come direbbe Guido Meda. Non ci sono, invece, Mondiali o Europei di calcio a far da concorrenza e, quindi, noi calciofili e amanti di cinema di gran classe possiamo dedicarci esclusivamente alla beneamata rassegna, che propone opere provenienti non soltanto dal Concorso ma anche dalle sezioni Un Certain Regard, Semaine de la Critique, Quinzaine des Réalisateurs e da altri Festival come Torino, Bergamo e qualcosina anche dall'ultima Berlinale. Cannes, dicevamo. E' stata a detta di molti una delle edizioni più discusse: non sono piaciuti i premi assegnati dalla Giuria presieduta da Joel ed Ethan Coen, non è piaciuta in generale la selezione dei film in Concorso e si è ravvisata grande delusione da parte della stampa italiana e degli addetti al settore per i mancati riconoscimenti a Sorrentino, Garrone e Moretti. Sia chiaro che, a mio modo di vedere, 'Youth' è meraviglioso, 'Mia madre' un episodio non troppo anticonvenzionale nella filmografia morettiana, mentre 'Il racconto dei racconti' è un film decisamente sbagliato. Ad ogni modo, rimango convinto che le polemiche siano state fuori luogo: i premi cinematografici non sono la Nazionale, si dovrebbe tifare per l'opera che si ritiene qualitativamente migliore e non per quella del proprio Paese, a prescindere. Tra i favoriti alla vigilia per la Palma d'oro e rimasti delusi, anche la nuova fatica del regista cinese Jia Zhang-ke 'Mountains May Depart' (voto 6), vincitore due anni fa del Premio per la sceneggiatura per il bellissimo 'Il tocco del peccato'. Questa volta, Jia non si è ripetuto. Tre segmenti diversi, quasi tre cortometraggi che potrebbero avere vita propria, girati in tre formati differenti, ambientati uno nel 1999, un altro nel 2014 e un altro ancora nel 2025. Sulla carta, un melodramma famigliare, ma l'ambizione è quella di raccontare dal punto di vista del privato la graduale trasformazione della mentalità di un Paese come la Cina in una colonia capitalista, ormai abbandonatasi al richiamo del dio denaro. Alcuni passaggi sono di grande cinema e di indubbia forza emotiva, ma tutto è troppo esplicito, palese e stereotipato: la giovane insegnante ovviamente sceglierà di fidanzarsi col ricco uomo d'affari piuttosto che con il minatore che si ammalerà, per poi forse pentirsene; mentre il figlio Dollar si trasferirà in Australia, dimenticandosi del tutto la lingua natia, e innamorandosi di una insegnante più anziana di lui che potrebbe ricordargli la madre che non vede da undici anni. Non c'è da folgorarsi neppure per 'The Here After' (voto 6) dello svedese Magnus von Horn, nel quale un adolescente esce dal riformatorio dopo aver commesso un crimine terribile ma farà grandissima fatica a reintegrarsi a scuola e tra le mura domestiche. Giuste dinamiche psicologiche, grande cura dei dettagli: però, vi prego, basta con questo cinema per forza glaciale e distaccato. Proprio una storia del genere avrebbe meritato uno sguardo più coinvolgente e affettuoso. Malissimo il francese 'Les Cowboys' (voto 4) di Thomas Bidegain: non voglio più vivere in un mondo in cui un attore come John C. Reilly viene così brutalmente sprecato. Un pasticcio confuso che vorrebbe indirizzarsi su traiettorie action senza averne il coraggio, con riflessioni sull'Islam poco chiare e buttate a casaccio. Deludente anche 'A Perfect Day' (voto 5) dello spagnolo Fernando Leòn de Aranoa, con le star Tim Robbins e Benicio Del Toro. Più esplicita, in questo caso, la rinuncia alle pretese autoriali: peccato però che il tentativo di raccontare l'assurdità della guerra con un taglio non privo di battute ironiche e di dilemmi sentimentali resti sospeso a metà senza incidere, come se non si fosse convinti del tutto. Nel frattempo, lo spettatore riflette dubbioso su quale sia davvero il significato dell'operazione. 'Cannes e dintorni' c'è: i bei film non ancora.

Emiliano Dal Toso



lunedì 8 giugno 2015

Top Ten - Film Che Mi Commuovono

10 - Parla Con Lei - Pedro Almodovar, 2001
Forse può apparire un po' troppo scontato inserire un film del grande Pedro in una classifica del genere, ma in fondo si tratta proprio del suo omaggio all'universo maschile che sa piangere, ritratto negli straordinari personaggi di Benigno e di Marco. Dai dolori del passato si può approdare alla speranza del futuro, in fondo siamo solo carne e fiato. Dentro c'è tutto il suo mondo, oltre alla passione infame: Caetano Veloso, Pina Bausch, il porno, la corrida, l'amicizia.

9 - School Of Rock - Richard Linklater, 2003
Farà piangere chi non è passato indenne di fronte alla scoperta più incredibile ed entusiasmante che possa offrire il periodo dell'adolescenza: il rock. Un irrefrenabile Jack Black, perdigiorno anticonformista, si spaccia maestro di scuola ma nelle sue lezioni insegna la discografia degli AC/DC e dei Led Zeppelin. Dopotutto, si tratta dell'unica maniera "per poter fottere il potente". La musica come salvezza e ribellione, riscatto e cerimonia.

8 - Rush - Ron Howard, 2013
Per tutti coloro che da piccoli amavano "fare le gare" con le macchinine e facevano vincere sempre il loro pilota preferito, esaltandosi. Per tutti coloro che intendono lo sport non solo come un gesto fisico, atletico, ma come l'espressione di un modo di intendere il lavoro, la fatica, il sacrificio, la vita. Da una parte il donnaiolo tutto genio e sregolatezza, dall'altra il professionista che va sempre a letto presto. Il destino regola sempre il conto.

7 - La Venticinquesima Ora - Spike Lee, 2002
Sulle ceneri delle Torri Gemelle, seduti su una panchina guardando il New Jersey, si attende la Fine: gli errori che si pagano, gli amici che (non) tradiscono, le donne che (non) amano, i padri che sorreggono. Spike al suo meglio, con il cinismo dei romantici che hanno sofferto, racconta l'America del nuovo millennio. Ed è una ballata dilaniata, uno sfondo lacerato, mentre si cerca una volta per tutte di chiudere i conti con se stessi. Ma non basta mai, non basta niente.

6 - The Wrestler - Darren Aronofsky, 2008
Andare avanti fino all'ultimo respiro, indossare la propria maschera fino all'ultimo secondo di questa messinscena. Gli uomini sono eroi perdenti se non rinunciano alla dignità e alla coerenza. E Mickey Rourke porta se stesso sullo schermo con l'onestà di chi ha raggiunto il successo per autodistruggersi. Non si sa come andrà a finire, ma questa nasce e muore come una storia di provincia, nasce e muore come una parabola discendente. Nessun compromesso.

5 - In The Mood For Love - Wong Kar-wai, 2000
Una storia d'amore che annulla il senso di tutte le altre storie d'amore. Il tempo scorre inesorabile, e si arriva sempre troppo presto o troppo tardi con gli appuntamenti della vita. Nessun altro regista al mondo possiede il lirismo e la malinconia estetica del Maestro Wong. Tony Leung è un arbiter elegantiarum che è capace di amare una magnifica Maggie Cheung senza perdere la lucidità della consapevolezza: tutto è fuggente e momentaneo. Ma le passioni, quelle vere, forse no.

4 - Un Mercoledì Da Leoni - John Milius, 1978
Gli anni Sessanta. E poi, il surf, la California, la guerra. Perdersi e ritrovarsi, per cavalcare la più grande mareggiata che si sia mai vista: il mito non aspetta. Un capolavoro di una semplicità disarmante, eppure struggente oggi come allora, in grado di far commuovere anche lo spettatore più palestrato e insensibile. Non c'è Nouvelle Vague che tenga, come il cinema americano ha raccontato i legami e le dinamiche d'amicizia tra uomini nessuno mai.

3 - Rocky - John G. Avildsen, 1976
Vabbè, di cosa stiamo parlando? Una pellicola tra le più grandi di sempre, che è un inno ai suoi personaggi, ai suoi luoghi, alle sue facce. Forse neanche Ken Loach ha raccontato con questo furore quella che in fondo non è altro che una vera favola proletaria. Si può essere uomini per una volta soltanto. E in questo trionfo di sentimenti contrastanti, non resta altro da fare che alzarsi in piedi ed applaudire: chissenefrega del risultato, non c'è altro che conta al di fuori di una Adriana con la quale farci compagnia.

2 - L'Estate Di Kikujiro - Takeshi Kitano, 1999
L'estate di Kikujiro è il mio film preferito in assoluto. Per quale motivo allora si trova al secondo posto? Beh, facile. I migliori arrivano sempre secondi (o ultimi). E il Maestro Takeshi sarebbe sicuramente d'accordo, anzi, credo che il miglior omaggio che possa attribuirgli sia quello di metterlo sempre, in qualsiasi classifica, al secondo posto. Per far scendere le lacrime, è sufficiente accennare giusto qualche nota della musica di Joe Hisaishi ed è fatta.

1 - Suxbad - Tre Menti Sopra Il Pelo - Greg Mottola, 2007
Capolavoro assoluto del demenziale, bromantic comedy per antonomasia, goffa, esilarante e anarchica dichiarazione d'amore al genere maschile. Il commiato finale tra i due amici per la pelle Jonah Hill e Michael Cera sulle scale mobili di un centro commerciale sembra Frank Capra che dà una risistemata ad American Pie. Uno di quei pochi film per cui vale la pena conoscere i dialoghi a memoria, perché non stancano mai e devono poter essere riprodotti filologicamente in caso di Fine del Mondo.