E anche questo giugno la buona cinefilia milanese può esultare: 'Cannes e dintorni' c'è, come direbbe Guido Meda. Non ci sono, invece, Mondiali o Europei di calcio a far da concorrenza e, quindi, noi calciofili e amanti di cinema di gran classe possiamo dedicarci esclusivamente alla beneamata rassegna, che propone opere provenienti non soltanto dal Concorso ma anche dalle sezioni Un Certain Regard, Semaine de la Critique, Quinzaine des Réalisateurs e da altri Festival come Torino, Bergamo e qualcosina anche dall'ultima Berlinale. Cannes, dicevamo. E' stata a detta di molti una delle edizioni più discusse: non sono piaciuti i premi assegnati dalla Giuria presieduta da Joel ed Ethan Coen, non è piaciuta in generale la selezione dei film in Concorso e si è ravvisata grande delusione da parte della stampa italiana e degli addetti al settore per i mancati riconoscimenti a Sorrentino, Garrone e Moretti. Sia chiaro che, a mio modo di vedere, 'Youth' è meraviglioso, 'Mia madre' un episodio non troppo anticonvenzionale nella filmografia morettiana, mentre 'Il racconto dei racconti' è un film decisamente sbagliato. Ad ogni modo, rimango convinto che le polemiche siano state fuori luogo: i premi cinematografici non sono la Nazionale, si dovrebbe tifare per l'opera che si ritiene qualitativamente migliore e non per quella del proprio Paese, a prescindere. Tra i favoriti alla vigilia per la Palma d'oro e rimasti delusi, anche la nuova fatica del regista cinese Jia Zhang-ke 'Mountains May Depart' (voto 6), vincitore due anni fa del Premio per la sceneggiatura per il bellissimo 'Il tocco del peccato'. Questa volta, Jia non si è ripetuto. Tre segmenti diversi, quasi tre cortometraggi che potrebbero avere vita propria, girati in tre formati differenti, ambientati uno nel 1999, un altro nel 2014 e un altro ancora nel 2025. Sulla carta, un melodramma famigliare, ma l'ambizione è quella di raccontare dal punto di vista del privato la graduale trasformazione della mentalità di un Paese come la Cina in una colonia capitalista, ormai abbandonatasi al richiamo del dio denaro. Alcuni passaggi sono di grande cinema e di indubbia forza emotiva, ma tutto è troppo esplicito, palese e stereotipato: la giovane insegnante ovviamente sceglierà di fidanzarsi col ricco uomo d'affari piuttosto che con il minatore che si ammalerà, per poi forse pentirsene; mentre il figlio Dollar si trasferirà in Australia, dimenticandosi del tutto la lingua natia, e innamorandosi di una insegnante più anziana di lui che potrebbe ricordargli la madre che non vede da undici anni. Non c'è da folgorarsi neppure per 'The Here After' (voto 6) dello svedese Magnus von Horn, nel quale un adolescente esce dal riformatorio dopo aver commesso un crimine terribile ma farà grandissima fatica a reintegrarsi a scuola e tra le mura domestiche. Giuste dinamiche psicologiche, grande cura dei dettagli: però, vi prego, basta con questo cinema per forza glaciale e distaccato. Proprio una storia del genere avrebbe meritato uno sguardo più coinvolgente e affettuoso. Malissimo il francese 'Les Cowboys' (voto 4) di Thomas Bidegain: non voglio più vivere in un mondo in cui un attore come John C. Reilly viene così brutalmente sprecato. Un pasticcio confuso che vorrebbe indirizzarsi su traiettorie action senza averne il coraggio, con riflessioni sull'Islam poco chiare e buttate a casaccio. Deludente anche 'A Perfect Day' (voto 5) dello spagnolo Fernando Leòn de Aranoa, con le star Tim Robbins e Benicio Del Toro. Più esplicita, in questo caso, la rinuncia alle pretese autoriali: peccato però che il tentativo di raccontare l'assurdità della guerra con un taglio non privo di battute ironiche e di dilemmi sentimentali resti sospeso a metà senza incidere, come se non si fosse convinti del tutto. Nel frattempo, lo spettatore riflette dubbioso su quale sia davvero il significato dell'operazione. 'Cannes e dintorni' c'è: i bei film non ancora.
Emiliano Dal Toso
Emiliano Dal Toso
Nessun commento:
Posta un commento