mercoledì 17 giugno 2015

Cannes e Dintorni 2015 - Seconda Parte: Our Little Sister, The Lobster, Son Of Saul, La Tierra y La Sombra

Quest'anno la qualità cinematografica proposta da 'Cannes e dintorni' è stata un po' al di sotto delle aspettative. Troppi grandi nomi sono rimasti privi di una collocazione nel calendario: dalla Palma d'oro 'Dheepan' di Jacques Audiard al miglior regista Hou Hsiao-Hsien, da Gus Van Sant a Denis Villeneuve, da Todd Haynes al 'Macbeth' con Fassbender e la Cotillard. Troppo dolciastro e pieno zeppo di carinerie 'Our Little Sister' (voto 5) del giapponese Hirokazu Kore-eda ('Father And Son'), che a questo punto potrebbe essere considerato un po' il Pupi Avati d'Oriente. Dopo il funerale del padre, tre sorelle invitano la quarta figlia avuta dall'uomo ad andare a vivere con loro: per tutte, si rivelerà un'occasione di crescita personale. Se si fosse trattato dello stesso identico script ma con una produzione hollywoodiana e con attrici come Cameron Diaz, Jennifer Lopez, Rachel McAdams e Susan Sarandon, probabilmente la critica mondiale lo avrebbe tacciato di buonismo e di familismo. Ma siamo in Giappone, dove le banalità diventano profonde riflessioni spirituali e i momenti morti sono silenzi artistici. Si apprezzava nel precedente lavoro un tocco delicato nei confronti delle differenze sociali senza cadere nella retorica ma, in questo caso, l'elogio della solidarietà femminile appare fin troppo ovvio e zuccheroso. Va decisamente meglio con l'attesissimo 'The Lobster' (voto 8) del greco Yorgos Lanthimos, vincitore del Premio della Giuria. Si ipotizza un futuro prossimo in cui chi è single viene portato in un hotel e deve trovare un'anima gemella entro 45 giorni, altrimenti sarà trasformato in un animale a suo piacimento. L'incipit è accattivante e alcune trovate sono geniali. Rispetto al precedente 'Kynodontas', deve essere riconosciuta una buona dose di ironia, anche grazie alle sfumature tragicomiche in grado di trasmettere gli attori Colin Farrell e John C. Reilly, e la bellissima Rachel Weisz. Il tono è straniante, houellebecquiano, capace di mettere a nudo le mediocrità dell'uomo, contrapposte a una società che non può evitare di etichettare e catalogare per poter esercitare il suo controllo. Non convince del tutto l'acclamatissimo 'Son Of Saul' (voto 6) dell'ungherese Laszlo Nemes, vincitore del Grand Prix. Si parla di Olocausto, ponendo una lente di ingrandimento sul lavoro dei sonderkommando, gli ebrei che nei campi di concentramento si occupavano di accompagnare i prigionieri nelle camere a gas e di recuperare successivamente i loro corpi. La macchina da presa non molla per un secondo il protagonista, quasi si fosse di fronte a un film completamente in soggettiva. Gli orrori sono fuori campo o fuori fuoco: la sensazione è che Nemes abbia cercato di trovare un punto di vista per raccontare qualcosa che non si conosca già o che possa sollevare ulteriore indignazione, senza però riuscirci. La trovata stilistica rischia di oscurare la forza del suo contenuto e, anche a livello narrativo, tutto è troppo raffazzonato. Un grande film è il colombiano 'La Tierra y La Sombra' (voto 8), esordio di César Augusto Acevedo, vincitore della Camera d'Or. Un intimo e sconvolgente ritratto di una famiglia contadina, che vive attorniata da una pioggia di cenere, causata dallo sfruttamento industriale delle piantagioni di canna da zucchero che circondano la proprietà. Sorprende e scuote lo sguardo del regista: mai ricattatorio, sempre asciutto e potente, senza consolazioni. Però affettuoso ed emozionante nella descrizione dei rapporti umani. Un cinema esteticamente perfetto, che getta una luce dolorosa su un mondo dimenticato, ai margini della sopravvivenza, eppure desideroso di vita e pulsante di sentimenti.

Emiliano Dal Toso


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