12 Anni Schiavo 4: una noia mortale. Uno schematismo da prima elementare, da una parte i neri buoni e dall'altra i bianchi cattivoni. Sembra la risposta seriosa e priva di ironia di chi si è offeso dinanzi al divertimento ludico e citazionista di 'Django Unchained'. Lo stile di Steve McQueen si fa pedante, invasivo e gratuito, molto meglio la retorica spielberghiana di 'Amistad' o quella disneyana di 'The Help', lavori onesti che almeno sanno emozionare.
American Hustle 5: tutto molto carino e superficiale. Sceneggiatura perfettina, attorini perfettini, regia perfettina. Peccato che dietro ai bigodini di Bradley Cooper, alla calvizie di Christian Bale e agli abitini scollacciati di Amy Adams, non ci sia pressochè niente. Può anche divertire, a tratti, ma l'impressione è che ci si trovi di fronte a chi vorrebbe chiamarsi Martin Scorsese ma non ne ha il talento narrativo nè la travolgente profondità umana.
Captain Phillips 7: solido. Paul Greengrass questo cinema lo sa fare e lo aveva già dimostrato nei precedenti 'Bloody Sunday' e 'United 93'. Bello teso per più di due ore, merito soprattutto dell'inquietante pirata somalo Barkhad Abdi, che potrebbe portare a casa la statuetta di attore non protagonista. Il limite principale, però, è la mancanza di sottotesti, la sensazione che, oltre a quello che si vede sullo schermo, non ci sia nient'altro.
Dallas Buyers Club 6: un'occasione mancata. Per più di un'ora è un bel film, che si concentra sulle reazioni e sulle inquietudini di un cowboy di rodeo razzista e omofobo che scopre di essere sieropositivo. Poi, diventa il classico film americano pseudo-indipendente che si scaglia contro le multinazionali e fa dell'abilità imprenditoriale sempre e comunque un vanto, anche di fianco alla morte. Eccezionale Matthew McConaughey, stereotipato Jared Leto, imbarazzante Jennifer Garner.
Gravity 6: sotto ogni punto di vista tecnico, impeccabile. La regia perfetta di Cuaron riesce a mantenere una tensione pazzesca per la prima mezz'ora, dopo si concentra in modo particolare sul fondoschiena della Bullock, anch'esso impeccabile ma forse non in grado di reggere più di metà film. Vertiginose e impressionanti le riprese spaziali, ma sinceramente non credo si possa andare oltre il riconoscimento di un robusto prodotto commerciale.
Her - Lei 5: melensa apologia dell'universo hipster intimista e depresso. Joaquin Phoenix, uno degli attori della Nostra Vita, a un certo punto lo vorremmo strozzare. Spike Jonze perde definitivamente il confronto con il "cuginetto" Michel Gondry perchè, sebbene sia in grado di trattenere i propri bassi istinti creativi, risulta essere sempre troppo autoreferenziale, troppo intellettualistico, mai davvero emozionante. Finale completamente inspiegabile.
Dallas Buyers Club 6: un'occasione mancata. Per più di un'ora è un bel film, che si concentra sulle reazioni e sulle inquietudini di un cowboy di rodeo razzista e omofobo che scopre di essere sieropositivo. Poi, diventa il classico film americano pseudo-indipendente che si scaglia contro le multinazionali e fa dell'abilità imprenditoriale sempre e comunque un vanto, anche di fianco alla morte. Eccezionale Matthew McConaughey, stereotipato Jared Leto, imbarazzante Jennifer Garner.
Gravity 6: sotto ogni punto di vista tecnico, impeccabile. La regia perfetta di Cuaron riesce a mantenere una tensione pazzesca per la prima mezz'ora, dopo si concentra in modo particolare sul fondoschiena della Bullock, anch'esso impeccabile ma forse non in grado di reggere più di metà film. Vertiginose e impressionanti le riprese spaziali, ma sinceramente non credo si possa andare oltre il riconoscimento di un robusto prodotto commerciale.
Her - Lei 5: melensa apologia dell'universo hipster intimista e depresso. Joaquin Phoenix, uno degli attori della Nostra Vita, a un certo punto lo vorremmo strozzare. Spike Jonze perde definitivamente il confronto con il "cuginetto" Michel Gondry perchè, sebbene sia in grado di trattenere i propri bassi istinti creativi, risulta essere sempre troppo autoreferenziale, troppo intellettualistico, mai davvero emozionante. Finale completamente inspiegabile.
Nebraska 8: grandioso elogio di uomini perdenti, indimenticabile e commovente. Senz'altro, il miglior film di Payne. Una descrizione della provincia americana impietosa e disperata, accompagnata da un'analisi dei rapporti familiari amara e sarcastica. Eppure, non mancano sfumature leggere, romantiche, nelle quali il mezzo bicchiere pieno prevale su quello vuoto. Come ad esempio nel finale, poetica rivincita di chi non può far altro che aggrapparsi alle piccolezze per sopravvivere.
Philomena 8: film classico, di un'eleganza superiore a tutti gli altri. Non c'è bisogno di ghirigori o di gratuite trovate stilistiche per raccontare la toccante storia di un'anziana signora irlandese che decide di fare i conti con il proprio passato. Magnifico equilibrio tra dramma e ironia meravigliosamente british, grazie a un'immensa Judi Dench e a un irresistibile Steve Coogan. Oltre all'attrice, vorremmo che l'Academy riconoscesse il valore della sceneggiatura.
The Wolf Of Wall Street 10: Storia del Cinema. Martin Scorsese intuisce le potenzialità finora inespresse del genere demenziale e le sfrutta per raccontare la vittoria definitiva di chi, mentre sorride, sta serenamente fottendo il mondo intero. Un'opera epocale, irresistibile, senza attimi di tregua. Travolgente e nichilista. In fondo, disillusa e rassegnata. Leo DiCaprio monumentale, Jonah Hill Santo Subito. Eppure, potrebbe rimanere a bocca asciutta perchè il bersaglio non è il capitalismo ma gli Stati Uniti D'America.
Philomena 8: film classico, di un'eleganza superiore a tutti gli altri. Non c'è bisogno di ghirigori o di gratuite trovate stilistiche per raccontare la toccante storia di un'anziana signora irlandese che decide di fare i conti con il proprio passato. Magnifico equilibrio tra dramma e ironia meravigliosamente british, grazie a un'immensa Judi Dench e a un irresistibile Steve Coogan. Oltre all'attrice, vorremmo che l'Academy riconoscesse il valore della sceneggiatura.
The Wolf Of Wall Street 10: Storia del Cinema. Martin Scorsese intuisce le potenzialità finora inespresse del genere demenziale e le sfrutta per raccontare la vittoria definitiva di chi, mentre sorride, sta serenamente fottendo il mondo intero. Un'opera epocale, irresistibile, senza attimi di tregua. Travolgente e nichilista. In fondo, disillusa e rassegnata. Leo DiCaprio monumentale, Jonah Hill Santo Subito. Eppure, potrebbe rimanere a bocca asciutta perchè il bersaglio non è il capitalismo ma gli Stati Uniti D'America.