lunedì 17 febbraio 2014

Pagellino Candidati Oscar 2014

12 Anni Schiavo 4: una noia mortale. Uno schematismo da prima elementare, da una parte i neri buoni e dall'altra i bianchi cattivoni. Sembra la risposta seriosa e priva di ironia di chi si è offeso dinanzi al divertimento ludico e citazionista di 'Django Unchained'. Lo stile di Steve McQueen si fa pedante, invasivo e gratuito, molto meglio la retorica spielberghiana di 'Amistad' o quella disneyana di 'The Help', lavori onesti che almeno sanno emozionare.

American Hustle 5: tutto molto carino e superficiale. Sceneggiatura perfettina, attorini perfettini, regia perfettina. Peccato che dietro ai bigodini di Bradley Cooper, alla calvizie di Christian Bale e agli abitini scollacciati di Amy Adams, non ci sia pressochè niente. Può anche divertire, a tratti, ma l'impressione è che ci si trovi di fronte a chi vorrebbe chiamarsi Martin Scorsese ma non ne ha il talento narrativo nè la travolgente profondità umana.

Captain Phillips 7: solido. Paul Greengrass questo cinema lo sa fare e lo aveva già dimostrato nei precedenti 'Bloody Sunday' e 'United 93'. Bello teso per più di due ore, merito soprattutto dell'inquietante pirata somalo Barkhad Abdi, che potrebbe portare a casa la statuetta di attore non protagonista. Il limite principale, però, è la mancanza di sottotesti, la sensazione che, oltre a quello che si vede sullo schermo, non ci sia nient'altro.

Dallas Buyers Club 6: un'occasione mancata. Per più di un'ora è un bel film, che si concentra sulle reazioni e sulle inquietudini di un cowboy di rodeo razzista e omofobo che scopre di essere sieropositivo. Poi, diventa il classico film americano pseudo-indipendente che si scaglia contro le multinazionali e fa dell'abilità imprenditoriale sempre e comunque un vanto, anche di fianco alla morte. Eccezionale Matthew McConaughey, stereotipato Jared Leto, imbarazzante Jennifer Garner.

Gravity 6: sotto ogni punto di vista tecnico, impeccabile. La regia perfetta di Cuaron riesce a mantenere una tensione pazzesca per la prima mezz'ora, dopo si concentra in modo particolare sul fondoschiena della Bullock, anch'esso impeccabile ma forse non in grado di reggere più di metà film. Vertiginose e impressionanti le riprese spaziali, ma sinceramente non credo si possa andare oltre il riconoscimento di un robusto prodotto commerciale.

Her - Lei 5: melensa apologia dell'universo hipster intimista e depresso. Joaquin Phoenix, uno degli attori della Nostra Vita, a un certo punto lo vorremmo strozzare. Spike Jonze perde definitivamente il confronto con il "cuginetto" Michel Gondry perchè, sebbene sia in grado di trattenere i propri bassi istinti creativi, risulta essere sempre troppo autoreferenziale, troppo intellettualistico, mai davvero emozionante. Finale completamente inspiegabile.

Nebraska 8: grandioso elogio di uomini perdenti, indimenticabile e commovente. Senz'altro, il miglior film di Payne. Una descrizione della provincia americana impietosa e disperata, accompagnata da un'analisi dei rapporti familiari amara e sarcastica. Eppure, non mancano sfumature leggere, romantiche, nelle quali il mezzo bicchiere pieno prevale su quello vuoto. Come ad esempio nel finale, poetica rivincita di chi non può far altro che aggrapparsi alle piccolezze per sopravvivere.

Philomena 8: film classico, di un'eleganza superiore a tutti gli altri. Non c'è bisogno di ghirigori o di gratuite trovate stilistiche per raccontare la toccante storia di un'anziana signora irlandese che decide di fare i conti con il proprio passato. Magnifico equilibrio tra dramma e ironia meravigliosamente british, grazie a un'immensa Judi Dench e a un irresistibile Steve Coogan. Oltre all'attrice, vorremmo che l'Academy riconoscesse il valore della sceneggiatura.

The Wolf Of Wall Street 10: Storia del Cinema. Martin Scorsese intuisce le potenzialità finora inespresse del genere demenziale e le sfrutta per raccontare la vittoria definitiva di chi, mentre sorride, sta serenamente fottendo il mondo intero. Un'opera epocale, irresistibile, senza attimi di tregua. Travolgente e nichilista. In fondo, disillusa e rassegnata. Leo DiCaprio monumentale, Jonah Hill Santo Subito. Eppure, potrebbe rimanere a bocca asciutta perchè il bersaglio non è il capitalismo ma gli Stati Uniti D'America.









giovedì 6 febbraio 2014

Phil

Si versano più lacrime per le preghiere esaudite che per quelle non accolte.

Nella primavera del 2003, a poche settimane di distanza l'uno dall'altro, vidi al cinema 'La Venticinquesima Ora' di Spike Lee e 'Ubriaco D'Amore' di Paul Thomas Anderson, due film meravigliosi che, col tempo, sarebbero diventati tra i miei preferiti in assoluto. All'epoca, dopo averli visti, notai in entrambi la presenza di Philip Seymour Hoffman. Ero un quindicenne sbarbato e non ero al corrente di cosa fosse 'Boogie Nights', di cosa fosse 'Happiness', di cosa fosse 'Magnolia'. Mi ero accorto, però, che l'arrogante titolare di un'agenzia di sesso telefonico del film di Anderson era lo stesso che nel film di Spike interpretava l'amico professore di Edward Norton, quello timido e intellettuale. Da quindicenne sbarbato, ricordo che mi sorprese il fatto che lo stesso attore avesse interpretato due ruoli talmente differenti: da una parte un cattivo, dall'altra un impacciato insicuro. Nel corso degli anni, ho avuto modo di recuperare i film sopra citati e di vederne altri nei quali era presente Philip Seymour Hoffman. Sarebbe facile rimarcare, ora, che tutti i suoi personaggi, in fondo, avessero un malessere, una sofferenza interiore, ma sarebbe poco corretto. Philip Seymour Hoffman era un attore in grado di interpretare qualunque ruolo. Poteva essere tormentato, autodistruttivo, sicuro di sè, gigione, sopra le righe. Poteva recitare per chiunque e fare qualsiasi cosa volesse. La sua scomparsa è una perdita enorme per chiunque abbia amato, o almeno apprezzato, il cinema americano degli ultimi quindici anni. Philip bucava lo schermo. Anche chi non è un grandissimo appassionato di cinema ma ha visto almeno un suo film ha bene in mente chi fosse. Perchè in qualsiasi film, in qualsiasi interpretazione, Philip non passava inosservato. Sapeva, sempre, farsi voler bene. In questi giorni dopo la sua scomparsa, ho rivisto 'Il Dubbio', 'Truman Capote' e 'The Master'. Ho visto, per la prima volta, l'inosservato 'Una Fragile Armonia'. Non sono riuscito a trovare un vero filo conduttore, al di fuori del suo eccezionale, formidabile talento. Nonostante i soli 46 anni, quella di Phil è stata una carriera sufficiente per poter essere considerata tra le più ammirevoli. Avremmo ovviamente voluto continuare a emozionarci, divertirci, commuoverci grazie a lui, grazie alla sua naturale gentilezza ed eleganza, che riusciva a trasmettere anche ai personaggi più sgradevoli. Purtroppo è finita qui, ma potremo comunque abusare quando vorremo della filmografia di quello che è stato un attore semplicemente immenso.

Emiliano Dal Toso