Anche quest'anno 'Cannes e dintorni' si è confermata essere l'occasione migliore per il pubblico milanese di godere di un cinema di livello alto, seppur la concomitanza con i Mondiali di calcio abbia costretto noi appassionati di pallone e di Settima Arte a fare, letteralmente, le acrobazie per perdere il meno possibile di questi eventi così spasmodicamente attesi. E le attese sono state ben ripagate, a cominciare dal meraviglioso 'Clouds Of Sils Maria' di Olivier Assayas (voto 10), scandalosamente dimenticato dalla giuria presieduta da Jane Campion. Si sfiorano tanti temi: la distanza tra generazioni, il rapporto tra finzione e realtà. Si pongono molte domande ma non si danno risposte nette: può darsi che il Teatro sia autentica rappresentazione della Vita, può darsi che l'immedesimazione in un ruolo rispecchi l'essenza dell'interprete. E la forza del regista francese è proprio quella di non forzare spiegazioni, ma di lasciare sospesa e nebulosa ogni chiave di lettura. Quello di cui si può essere certi è esclusivamente l'inevitabilità del punto di vista, l'irrinunciabilità alla prospettiva. E, soltanto in questo modo, non solo il Teatro, non solo il Cinema, ma ogni situazione dell'esistenza può essere elaborata: rinunciando al dovere dell'interpretazione e della giustificazione, ma accettando la propria condizione che è sempre e comunque momentanea e mutevole, inafferrabile e immateriale. Non si tratterebbe, però, di un capolavoro se non ci fosse una costruzione narrativa raffinatissima, "a orologeria". E, soprattutto, se non ci fosse una Juliette Binoche suprema, alla quale non sfigura accanto una (finalmente) bravissima, incantevole Kristen Stewart in un ruolo di un'intelligenza sottile ma incisiva. 'Clouds Of Sils Maria' è, fino ad ora, uno dei migliori film dell'anno, e condivide con 'Nymphomaniac' di Von Trier il desiderio di mettere in discussione l'importanza e il significato della "pura narrazione" al giorno d'oggi, e di indagare il suo rapporto con la contemporaneità. Di tutt'altra natura, ma di altrettanta qualità cinematografica, 'Deux Jours, Une Nuit' dei Dardenne (voto 9) concepisce il Cinema come rappresentazione materiale e consistente della Vita. Impressionante la scelta di evitare ogni orpello narrativo collaterale per concentrarsi esclusivamente sulle lotte e sulle sofferenze della protagonista Sandra, costretta a cercare di convincere i suoi colleghi a rinunciare ad un bonus di produzione di 1000 euro per fare in modo che non venga licenziata. Come spesso è già accaduto (a partire da 'Rosetta', Palma D'Oro 1999), i Dardenne parlano di lavoro come unica possibile affermazione dell'individuo. Mai, però, in maniera così scarna ed essenziale, accessibile e popolare. In questo caso, la narrazione è strettamente funzionale al contenuto ed è fondamentale per attuare il coinvolgimento emotivo più totale da parte dello spettatore, che respira, ansima, piange insieme ad una Marion Cotillard semplicemente immensa. Pare quasi che i Dardenne si pongano in una posizione antistante da quella di Assayas sul tema del racconto. Non sappiamo chi abbia ragione, quello che importa è che in entrambi i casi si tratti di un cinema eccezionale, che vola altissimo.
Nessun commento:
Posta un commento