Parlare dei Pearl Jam per il sottoscritto è parlare di uno dei grandi amori della propria vita. La mia passione per il rock è nata ascoltando per la prima volta quel famoso capolavoro grunge che porta il nome di 'Nevermind' all'età di quattordici anni, comprato in un negozietto milanese che ora non esiste più. L'ascolto dell'album più entusiasmante dei Nirvana è stato un evento fondamentale che mi ha portato conseguentemente a conoscere i cuginetti di Seattle, ai quali il biondino suicida non ha mai riservato troppa simpatia se non nelle ultime fasi della sua vita. Alcune sue dichiarazioni e molto altro vengono riportate nel bellissimo documentario di Cameron Crowe 'Pearl Jam Twenty', il quale ripercorre dalla fine degli anni 80 a oggi le vicissitudini della più grande rock-band degli ultimi vent'anni, appunto. Crowe è un cineasta che ama raccontare la provincia americana e i suoi sogni come pochi altri, riuscendo nei suoi film sempre a cogliere quello spicchio springsteeniano di realtà ma anche di ottimismo. Ha regalato a Tom Cruise forse le più belle interpretazioni della sua carriera ('Jerry Maguire', 'Vanilla Sky'), si è messo a nudo in quel delizioso spaccato seventies che è 'Quasi famosi', ha dato a Orlando Bloom un motivo per continuare a recitare dopo i vari signori degli anelli (l'altrettanto delizioso 'Elizabethtown'). Un documentario sui Pearl Jam è, dunque, grasso che cola per uno come lui. E il risultato è meravigliosamente coinvolgente. Viene utilizzato diverso materiale storico di repertorio dei primi anni 90 che rende onore a quello che è stato il grunge, uno status esistenziale, una concezione di vita più che un genere musicale. Si parte dai Mother Love Bone e dalla morte del cantante Andy Wood, dal loro scioglimento e dalla costituzione dei Pearl Jam con il giovane Eddie Vedder, passando per la magica collaborazione con Chris Cornell nei Temple Of The Dog, per la causa contro Ticketmaster per l'eccessivo prezzo dei biglietti dei concerti, per la drammatica morte di nove fan durante il concerto di Roskilde nel 2000, e si arriva all'ultima tournèe di 'Backspacer'. La grandissima forza di questa operazione è quella di raccontare la nascita, l'affermazione e la sopravvivenza di un gruppo completamente autentico nonchè forse l'unico che sia stato in grado a durare nel tempo dopo la morte di Cobain. Il senso di fratellanza, di amicizia e di unione che ha portato a creare il debutto di 'Ten' dopo la morte di Wood viene grandiosamente reso con testimonianze emozionanti ed emozionate e con immagini di grandissima potenza. E poi, ovviamente, ci sono le canzoni e le esibizioni. 'Pearl Jam Twenty' ha tutto questo, un documento storico per nulla agiografico, anzi, è un inno alla realizzazione di un sogno che mostra entrambi i lati della medaglia, con rispetto ma, in particolar modo, con passione. Quella passione che porta ad innamorarsi dei Pearl Jam e ai Pearl Jam di continuare a esserci negli anni.
Emiliano Dal Toso
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