Ivan Brentari, ventotto anni, ha appena pubblicato 'L'insolita morte di Erio Codecà' (Sperling & Kupfer) insieme ad Aldo Giannuli, un giallo storico basato su fonti d'archivio originali. I temi? Segreti industriali, grandi aziende e spie, contrabbando e principi che volano da finestre di alberghi romani. La scrittura di Ivan è colta e avvincente, precisa e sfaccettata. Questo libro accompagna il lettore all'interno di uno dei misteri più oscuri del nostro Paese. E con una struttura narrativa che si avvicina molto a quella cinematografica.
Partiamo da L'insolita morte di Erio Codecà. Come ti sei avvicinato a questa vicenda e perché hai deciso di raccontarla?
Aldo Giannuli, esperto di storie segrete d'Italia, mi ha proposto di collaborare a questo progetto. Abbiamo cercato insieme di ricostruire attraverso l'assassinio di Erio Codecà, un alto dirigente della Fiat, avvenuto nel 1952, il clima della Guerra Fredda in Italia: abbiamo utilizzato documenti autentici per riportare i fatti avvenuti, ma ci siamo divertiti a raccontare questo "cold case" con le indagini di un bizzarro cenacolo di investigatori dilettanti. La loro vicenda si svolge nel 1999 ma, con una narrazione volutamente cinematografica, si aprono diversi flashback su episodi che spaziano dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, dalla Romania alla Costa Azzurra.
Proprio questo sguardo cinematografico è uno dei punti di forza del libro. Credi che sia importante avere un approccio orizzontale tra diverse forme artistiche?
Chiunque abbia scritto dalla seconda metà del Novecento è stato influenzato dal cinema. C'è sempre stata un'osmosi tra queste due maniere di comunicare. Personalmente, ho sempre apprezzato molto i film di Elio Petri, da Todo modo a La classe operaia va in paradiso, anche se il mio preferito in assoluto è l'Antonioni di Blow Up: anche lì c'è un soffio noir e prevale l'idea che la verità per essere trovata debba essere ricercata, malgrado spesso non sia possibile.
Due anni fa hai pubblicato la biografia di Giuseppe Sacchi, segretario della Fiom negli anni Sessanta e deputato comunista. Che cosa ti ha colpito di questo personaggio e che cos'ha rappresentato per te quest'incontro?
Sacchi è nato nel 1917, tra di noi ci sono settant'anni di differenza ma si è trattato dell'incontro politicamente più importante della mia vita, oltre che umanamente. Ha diretto le più rilevanti lotte metalmeccaniche del dopoguerra ed è uno dei padri dello Statuto dei lavoratori. Ci siamo visti proprio recentemente alla festa nazionale della Fiom a Milano dove ho partecipato a un reading insieme a Wu Ming 2.
I Wu Ming sono uno dei casi letterari degli ultimi anni. Che cosa pensi dei loro progetti e che cosa apprezzi del loro lavoro?
I Wu Ming lavorano molto sulla Storia e con le storie. Quello che, in piccolo, abbiamo provato a fare io e Giannuli. L'armata dei sonnambuli è uno dei romanzi italiani più riusciti degli ultimi anni. Con Giovanni Cattabriga (Wu Ming 2) e la Fiom di Milano stiamo lavorando a un progetto in comune: qualche anno fa ritrovai in un archivio dei racconti che venivano da un concorso letterario del '63 indetto dalla Fiom di cui proprio Giuseppe Sacchi era all'epoca segretario. Nella giuria c'erano anche Luciano Bianciardi e Umberto Eco. Oggi, a cinquant'anni di distanza, un laboratorio di scrittura collettiva tenuto da Giovanni ha prodotto degli altri racconti. Il nostro obiettivo è portare queste storie di diverse epoche sulla carta.
Hai scritto anche una raccolta di racconti (Quindici brevi, due lunghi, quattro medi e uno brutto), dove spiccano riferimenti musicali e calcistici, da Memphis Slim a Mario Balotelli.
Sì. è vero. Balotelli mi è sempre stato simpatico. Mi piace il fatto che abbia un grande talento ma lo abbia dissipato: è un po' il fascino dell'imperfezione che io spesso e volentieri subisco. Il blues, invece, è una delle mie passioni e mi piace perché è una musica semplice e il ritorno alla semplicità dovrebbe essere una regola valida per tutte le arti. Il problema è che questa regola è molto difficile da rispettare e bisogna essere molto bravi per farlo.
Emiliano Dal Toso
Hai scritto anche una raccolta di racconti (Quindici brevi, due lunghi, quattro medi e uno brutto), dove spiccano riferimenti musicali e calcistici, da Memphis Slim a Mario Balotelli.
Sì. è vero. Balotelli mi è sempre stato simpatico. Mi piace il fatto che abbia un grande talento ma lo abbia dissipato: è un po' il fascino dell'imperfezione che io spesso e volentieri subisco. Il blues, invece, è una delle mie passioni e mi piace perché è una musica semplice e il ritorno alla semplicità dovrebbe essere una regola valida per tutte le arti. Il problema è che questa regola è molto difficile da rispettare e bisogna essere molto bravi per farlo.
Emiliano Dal Toso
Nessun commento:
Posta un commento