lunedì 4 settembre 2017

Il Pagellino: Venezia 2017 - Prima Parte

Downsizing - Alexander Payne 5: il regista di Sideways e Nebraska non trova l'equilibrio tra farsa e riflessione ambientalista, e dopo un inizio promettente percorre la strada ecumenica del politicamente corretto. Non morde, si rifugia in scelte convenzionali, ma nello stesso tempo è troppo ambizioso per un semplice e divertente intrattenimento.

First Reformed - Paul Schrader 4: telecamera fissa e fiumi di parole per una riflessione banale sulla spiritualità. Schrader vive di rendita, ma i suoi ultimi film (The Canyons, Cane mangia cane) rivelano un evidente spaesamento sulla direzione autoriale da prendere. Stilisticamente tanto rigoroso quanto pretenzioso, con un paio di momenti che sfiorano il ridicolo involontario.

The Shape of Water - Guillermo Del Toro 6: una storia d'amore tenerissima dai toni favolistici in un film esteticamente straordinario ma dove non convince appieno l'elogio poetico della diversità. Probabilmente il Tim Burton di un tempo lo avrebbe reso un capolavoro, nelle mani di Del Toro è soltanto un ottimo prodotto ben confezionato.

The Insult - Ziad Doueiri 8: scontro dettato da futili motivi tra un cattolico libanese e un palestinese che si combatterà nell'aula di un tribunale. Una delle sceneggiature più potenti degli ultimi anni sulla necessità e la complessità della convivenza. Ritmo hollywoodiano, attori eccezionali, senza vincitori né vinti: nessuno ha l'esclusiva della sofferenza.

Lean On Pete - Andrew Haigh 4: enorme delusione dal regista inglese di 45 anni. Haigh sbarca in America e cerca di riadattare un immaginario che non gli appartiene. Senza sporcizia e ruvidezza, il suo romanzo di formazione irrita per perbenismo e lentezza, forzando in sensibilità e autorialismi una storia che avrebbe meritato tutt'altro furore e coinvolgimento.

Human Flow - Ai Weiwei 6: artisticamente indiscutibile e dalle nobilissimi intenzioni, ma la presenza dell'attivista e dissidente cinese è eccessivamente ingombrante. Da Weiwei era lecito aspettarsi qualche sforzo cinematografico più elaborato, al di là di immagini provenienti da tutto il mondo di indubbia bellezza volte a ribadire l'unicità dell'essere umano.

Foxtrot - Samuel Maoz 9: il dramma della perdita e l'orrore della guerra raccontati attraverso la disperazione di un padre e la vita in un checkpoint in mezzo al deserto. Il sangue si tramanda di generazione in generazione in un loop dove si torna sempre al punto di partenza. Ma l'assurdità della violenza e l'ineluttabilità del fato si possono esorcizzare con la danza e i racconti di gioventù.

Suburbicon - George Clooney 5: ormai le sceneggiature dei Coen cominciano ad assomigliarsi sempre più e a sorprendere sempre meno. George Clooney muore dalla voglia di essere il terzo fratello acquisito, desiderando a tutti i costi lo stesso sarcasmo e lo stesso cinismo di Fargo. Ma a parte qualche risata, il risultato è buffonesco e stilizzato.

La villa - Robert Guédiguian 8: forse il manifesto del cinema di Guédiguian: amore e amicizia, impegno politico, malinconia, solidarietà umana in un mondo cattivo e ingiusto dove è sempre più difficile essere buoni e giusti. Un cinema limpido e coerente, sincero: due ore in cui si assaporano vite molto simili alle nostre, tra affetti speciali e ideali perduti.

Una famiglia - Sebastiano Riso 3: una volenterosa e appassionata Micaela Ramazzotti non basta a salvare il naufragio di un film isterico e sopra le righe, con dialoghi spesso patetici su femminismo e filiazione, diritti civili ed egemonia del maschio. Stereotipato e frammentario, ottiene il risultato contrario a quello che si pone.

Tre manifesti a Ebbing, Missouri - Martin McDonagh 8: terzo lavoro del regista irlandese, più coeniano dello stesso Clooney. In un paesino del Missouri razzista e indifferente, la tragedia si stempera improvvisamente con la risata, così come la commozione si nasconde anche dietro personaggi grezzi e senzadio, forse soltanto alla ricerca di speranza. Terzetto d'attori inarrivabile: Woody Harrelson, Frances McDormand, Sam Rockwell.




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