venerdì 15 settembre 2017

Il Pagellino: Venezia 2017 - Seconda Parte

Madre! - Darren Aronofsky 8: nessuno costringe ad avere una reazione come Aronofsky. Un altro film imperfetto ed eccessivo, un'altra dichiarazione di fiducia per le potenzialità sconfinate del cinema di molestare e sporcare gli occhi. Un delirio visivo biblico e perverso, ma vivissimo ed estremo, sonoro e fisico, che s'interroga sul rapporto tra interno, sentimentale e artistico, ed esterno.

The Third Murder - Hirokazu Koreeda 5: forse il lavoro più debole di tutta la filmografia dell'autore giapponese, che cerca di svoltare verso il processuale, ma con un'impostazione troppo compassata e un ritmo soporifero. Eccessivamente verboso e senza alcun guizzo registico e narrativo, nonostante la solita attenzione alle innumerevoli sfumature dell'animo umano.

Sweet Country - Warwick Thornton 7: western aborigeno di gran classe, dove uno schiavo uccide il suo padrone razzista e stupratore e fugge con la moglie incinta verso il suo destino, mentre sullo sfondo stanno emergendo la rivoluzione sociale e il conflitto culturale dell'Australia degli anni Venti. Grande regia e grande fotografia: polveroso, ipnotico e solido.

Angels Wear White - Vivian Qu 4: dopo il bellissimo Trap Street (quattro anni fa alla Settimana della Critica), la regista cinese delude alla seconda prova con un banale e prevedibile giallo su due ragazzine vittime di abusi, adagiandosi su ovvie denunce nei confronti della corruzione e del malfunzionamento delle istituzioni. Nobile ma cinematograficamente scadente.

Mektoub, My Love - Abdellatif Kechiche 10: meraviglioso romanzo di educazione estiva ed erotica, inno definitivo alla giovinezza e alla sensualità del corpo femminile, complessa e problematica riflessione sulla contemplazione (e la frustrazione) di chi guarda. Un Kechiche mai così radicale e audace, in miracoloso equilibrio tra sublime e superficiale, tra poesia, sacralità e dance anni Novanta. Puro cinema inteso come sguardo sovversivo e liberatorio, come testimonianza di vita.

Hannah - Andrea Pallaoro 8: costruita quasi interamente sulla straordinaria forza attoriale di Charlotte Rampling, un'opera rigorosa e sensibile, che descrive con minuzia di particolari il dolore quotidiano di una donna rimasta sola, senza scene madri e isteria. Un'idea di cinema precisa, chiara e adulta, all'altezza del confronto con autori come Michael Haneke o Tsai Ming Liang.

Jusqu'à la garde - Xavier Legrand 4: il più sopravvalutato dalla giuria di Annette Bening, inspiegabile vincitore del premio per la miglior regia. Un film di denuncia basilare e didascalico, quasi uno spot di un'ora e mezza per la campagna contro lo stalking e la violenza domestica. Senza interrogativi e chiaroscuri, passando in maniera elementare dal dramma famigliare all'incubo thriller.



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