lunedì 5 giugno 2017

Teatro: Buon anno, ragazzi.

Non mi capita spesso di rimanere favorevolmente impressionato da uno spettacolo teatrale, tanto che sulle pagine di questo blog finora non me n'ero occupato. Ma per Buon anno, ragazzi. farò un'eccezione, e magari inaugurerò un nuovo corso che mi porterà a includere anche il teatro tra gli argomenti trattati. Non sono riuscito a rimanere indifferente di fronte al talento di Francesco Brandi, attore e drammaturgo trentacinquenne, che avevo visto al cinema in pellicole come Dieci inverni e Habemus Papam, seppur in ruoli secondari. Ma la faccia, un po' buffa e stralunata, mi era rimasta impressa. Ed è stata una splendida sorpresa scoprire che dietro a questa faccia si nasconde un autore di teatro in grado di radiografare l'umore e la disillusione di una generazione di trentenni con una penna deliziosa, amara e pungente. Brandi interpreta Giacomo, uno scrittore destinato a non affermarsi e già consapevole della sua sconfitta. Tutto attorno a lui è precario e trasmette un senso di instabilità: dal rapporto controverso con il suo migliore amico (Sebastiano Bottari), mai uscito dai "fumi" dell'adolescenza, a quello ancor più complicato con i genitori (Daniela Piperno e Miro Landoni), probabilmente più interessati a loro stessi e più legati all'idea di un figlio ideale piuttosto che attenti alle sue reali necessità e alle sue vere attitudini. Ma ovviamente la relazione più difficile e dolorosa per Giacomo è quella con la ex compagna attrice (la bravissima Camilla Semino Favro, che proprio in queste settimane stiamo ammirando nella serie 1993), nonché madre di una bimba che i due hanno avuto insieme ma che è stata cresciuta senza il supporto materno. Eppure l'amore di Giacomo per la ragazza non si è mai davvero affievolito, nonostante si sia inevitabilmente confuso con l'amarezza dovuta all'abbandono e il risentimento. Sullo sfondo, la notte di un Capodanno sarà il pretesto per far ritrovare tutti i personaggi e costringerli a mostrare i conti con loro stessi, sfidandosi con affetto represso e senza protezioni sul ring della vita e delle emozioni. Non siamo di fronte a un semplice ritratto generazionale, ma a un'opera teatrale rara, capace di incasellare il mood pessimista e non privo di autoironia che appartiene a tutti coloro a cui questo mondo non permette di realizzare in pieno sogni e talenti, e che costringe a non potersi concedere garanzie e certezze. Ed è così che lo spettro della normalità e della mediocrità ingabbia chi insegue il romantico miraggio di una vita artistica e intellettuale. Brandi non si piange addosso, e non oltrepassa mai il limite per cui il proprio personaggio rischi di diventare troppo autoriferito. Il suo è un elogio e, nello stesso tempo, una condanna, quella di un loser che non si compiace e a cui è impossibile non volere bene: si ride tanto, ma senza mai cadere nell'eccesso farsesco.

Emiliano Dal Toso




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