lunedì 6 febbraio 2017

Il Pagellino: Candidati Oscar 2017

Manchester by the Sea 9: la forza insopprimibile del dramma famigliare. Amore, morte, lutto, crollo, rinascita e romanzo di formazione: un'idea di cinema classica ed eterna, che si regge sull'intensità degli attori (Casey Affleck magnetico e dolente, Michelle Williams luminosa e struggente), sulla potenza della narrazione e sullo sguardo di una regia delicata, impeccabile e funzionale al fattore umano. Ed è anche la fotografia privata di un pezzo d'America che combatte quotidianamente con solitudine e senso di colpa. Il terzo film di Kenneth Lonergan in diciassette anni, dopo Conta su di me e Margaret: a different class.

Arrival 8: la fantascienza più colta, raffinata e profonda del nuovo millennio. Ogni opera di Denis Villeneuve (PrisonersEnemySicario) si rivela diversa da quella precedente, capace di apportare stimolanti interrogativi intellettuali agli archetipi dei generi. E quelli che arrivano nel cuore sono gli stessi che riportano a La donna che canta: l'importanza della comunicazione tra specie diverse, e l'amore di una madre che si manifesta attraverso la scelta di vivere. Utilizzando, nello stesso tempo, la forza di un cinema interessato prima di tutto a nutrire gli occhi.

Barriere 8: Denzel Washington porta sul grande schermo la magnifica opera teatrale di August Wilson del 1987. E il risultato è sorprendente: attori enormi (Viola Davis merita l'Oscar per attrice non protagonista), dialoghi potenti e una regia attenta e rigorosa sempre al servizio del testo. Senza retorica e piagnistei, parla di discriminazione e frustrazione sociale, ma anche di responsabilità famigliare, con la giusta dose di rabbia, passione e sentimento. E sullo sfondo l'amore per il baseball è un sogno di riscatto e nello stesso tempo un motivo di rancore.

La battaglia di Hacksaw Ridge 8: fervente cattolico e pacifista, l'obiettore di coscienza Desmond Doss si arruola nell'esercito senza prendere mai in mano il fucile e a Okinawa salva la vita di 75 soldati americani. Puro Gibson: prendere o lasciare. Il protagonista è un altro Gesù Cristo dal cuore impavido, un fondamentalista della pace e della Bibbia. Nelle mani di qualunque altro cineasta sarebbe una delirante agiografia, ma in quelle di Mel è un epico e poderoso elogio della coerenza, del sacrificio e della fede - intesa non soltanto in termini religiosi. Le scene di guerra sono crude ma straordinarie.

Hell or High Water 7: lo spaccato della provincia texana non è nuovo, e la sceneggiatura è fin troppo debitrice della letteratura di Cormac McCarthy ed Elmore Leonard. Ma è una gustosa cavalcata on the road: rangers contro outlaws, senza nessuna distinzione tra buoni e cattivi. Il grande nemico del popolo americano che cambia tutto per non cambiare mai sono le banche, sempre più assetate di denaro, sempre più distanti dalle vite delle persone. Bravi Ben Foster e Chris Pine, commovente Jeff Bridges in odor di statuetta e in versione Texas Ranger a fine corsa, disilluso, intuitivo e ironico.

Moonlight 7: Girato benissimo, il vincitore dell'Oscar per miglior film cresce alla distanza. Il ritmo lento esprime senz'altro il desiderio di una dimostrazione di autorialità, ma in compenso evita ogni pericolo di enfasi e retorica di materie ad alto rischio di ovvietà: bullismo, solitudine ed emarginazione. La vita suddivisa in tre capitoli di Chiron potrebbe essere quella di molti afroamericani: un realismo che ha convinto i giurati dell'Academy a farne il simbolo di una cerimonia dichiaratamente anti-Trump. Bravi Mahershala Ali e Naomie Harris, ottima colonna sonora.

La La Land 5: il film dell'anno da spingere e supportare per l'industria tutta, da parte di chi il cinema lo fa e da parte di chi di cinema ci scrive. Chi lo critica è un eretico, un ignorante o vuole mettersi in mostra. Eppure, si può provare a mettere in dubbio più di una certezza: programmatico e studiato a tavolino, il risultato non sembra tanto "senza tempo", ma fasullo e inattuale; il jazz non viene mai davvero omaggiato ma utilizzato soltanto come pretesto per le coreografie di uno spettacolo di varietà; le voci di Gosling e Stone sono indifferenti, anonime e piatte; la colonna sonora è un bigino di un universo musicale ben più complesso e stratificato. Tutto è molto sfarzoso, scintillante: si può dire che La La Land stia al jazz come Il Volo alla lirica, come Spizzico alla pizza, come il giorno di San Valentino a tutti gli altri giorni d'amore.

Lion - La strada verso casa 5: forse il vero intruso tra i candidati per miglior film di quest'anno. Nulla di così terribile, a dire il vero: il classico trionfo dei buoni sentimenti, dove un ragazzotto indiano si serve di Google Earth per ritrovare il suo villaggio natio e la famiglia d'origine. La prima parte ricorda molto l'India di The Millionaire, la seconda è un crescendo inarrestabile di retorica già apparecchiata per il prime time di Canale 5. Talmente onesto e trasparente nelle sue intenzioni da suscitare simpatia.

Il diritto di contare 4: una nauseante e colesterolica sagra del politicamente corretto. Femminismo, parità razziale e perbenismo: l'effetto inevitabile degli #OscarsSoWhite dell'anno scorso. Didascalico e illustrativo, ed è un peccato perché la storia è sconosciuta e le interpreti sono brave (Kevin Costner invece è sempre più imbolsito). La prova che gli Oscar devono rappresentare qualcosa che non ha sempre a che fare con il puro valore cinematografico - e questo però è anche il principale motivo di interesse. A costo di esclusioni eccellenti, come Animali notturni.




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