giovedì 1 novembre 2012

The Irish Side: Hunger

Questo mese parleremo di cosa significhi essere irlandesi e cattolici.

Steve McQueen è un regista di corpi, oltre che di film. Poche volte al Cinema, prima di lui, si era vista una tale capacità nel riuscire a far comunicare il fisico umano, sia esso deperito o dirompente, più delle parole. Lo ha potuto fare grazie a un attore come Michael Fassbender, straordinario nel regalare emozioni senza mai finire nell'eccesso o nel grottesco. La sua opera prima, "Hunger" è un esordio folgorante, su un tema spinoso che ancora oggi troppa gente conosce a malapena: la lotta per l'indipendenza dell'Irlanda del Nord. Il regista di "Shame" ci mostra la sua visione su quello spaccato di Storia.
Le proteste nelle strade o le lotte davanti ai palazzi del potere non gli interessano. Decide quindi di raccontare la sua storia in un luogo dove uomini-zombie camminano emaciati in strade senza nome. E' la prigione di Maze, durante i giorni dello "sciopero della coperta" e di quello dell'igiene. Tra i detenuti ce n'è uno in particolare, Bobby Sands, leader del movimento dell'IRA. Uomo affamato di giustizia, disposto a tutto pur di difendere i suoi ideali. Il regista struttura la narrazione creando due piccoli film semi-muti, intervallati da un piano sequenza centrale di chiara matrice teatrale. Il silenzio dei corpi viene rotto dalla parola che però anticipa, a sua volta, un successivo silenzio. Quello della Morte. Non ci sono mezze misure, l'orrore è sbattuto dritto negli occhi di chi guarda. Nessuna mediazione, nessuna volontà di nascondere un crimine così grande, rimasto sconosciuto già per troppo tempo. Lady Thatcher è solo una voce metallica che pronuncia fredde parole senza speranza. C'è solo un modo per contrastarla: iniziare uno sciopero della fame. E poco importa se ciò significherà morire, almeno lo si sarà fatto senza mai tradire se stessi. Questa è Storia, niente è costruito. Tortutre e sevizie, che avremmo immaginato in tempi da medioevo, sono successe a uomini come noi, trent'anni fa, in quel freddo dicembre del 1981. La storia di Bobby, che a 27 anni muore diventando lo scheletro di se stesso, per vedere libero il suo Paese, ci diche che la coerenza è il valore più grande su cui costruire le nostre vite. Penso che ogni nazione dovrebbe avere il suo Bobby Sands, ma mi guardo intorno e vedo solo il nulla del menefreghismo.

Alvise Wollner


 





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