C'è chi dice che questo sia il miglior film di Billy Wilder. Detto in tutta onestà, io non so se sarei capace di indicare un singolo titolo su tutti del regista austro-ungarico (anche se la città in cui è nato, oggi, è in Polonia), ma sicuramente Testimone d'accusa è uno dei cinque tra i quali dovrei scegliere se avessi la famosa “pistola puntata alla testa”. Per chi non lo sapesse, la pellicola è l'adattamento per il cinema di un testo di Agatha Christie, la cui opinione è che questo sia il miglior film tratto da qualcosa di suo. Siamo nel 1957 e Testimone d'accusa è il film che apre il triennio mirabilis di Billy Wilder (nel '59 e '60 usciranno A qualcuno piace caldo e L'appartamento), si tratta di un film molto singolare, in cui si alternano e si confondono la commedia e il giallo giudiziario; i punti di forza su cui è costruita questa duplicità di genere sono sostanzialmente due: una perfetta sceneggiatura (firmata dal nostro Billy) e, nella messa in scena, un'attenzione particolare agli (e degli) attori. La sceneggiatura, il testo in particolare, è lo strumento -preciso ed efficace- con cui si costruisce il tema del giallo: sin dalle prime scene siamo nel vivo della questione, senza fastidiose sotto-trame fuorvianti o introduttive, il film inizia e finisce con la storia di cui ci vuole parlare; non ci sono punti morti, perché l'intrigo del tema portante è talmente completo ed esaustivo che basta a se stesso. Le uniche concessioni che Wilder si permette fuori dell'intreccio principale sono, come dicevamo, le sfumature della commedia che si sovrappongono al rigoroso linguaggio del giallo giuridico. Questo elemento si gioca però nel modo, non nel contenuto: sono la fisicità degli attori e i loro atteggiamenti spesso (apparentemente) assurdi a condurre il gioco in questo senso: strepitoso, quanto a fisicità e adeguatezza nel ruolo, è per esempio Charles Laughton (nella versione italiana aiutato da un meraviglioso Giorgio Capecchi -quello del padre di Caio ne La spada nella roccia-) nei panni dell'avvocato vizioso, ma anche il buon Tyrone Power, teatrale nel dramma forzato dell'interrogatorio e totalmente sopra le righe durante le prime fasi del film. Oltre, ovviamente, a Merlene Dietrich, da sottolineare anche la badante dell'avvocato (Elsa Lanchester), che i più attenti avranno sicuramente visto anche in 'Mary Poppins' in una parte simile (è la governante che si licenzia all'inizio). Insomma, uno dei capolavori di un maestro assoluto. Film da non perdere e, secondo me, da rivedere (è uno di quelli che alla seconda visione sono più belli).
Giancarlo Mazzetti
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