mercoledì 10 ottobre 2012

Un Sapore Di Ruggine E Ossa (voto 10) IL FILM DEL MESE

- Baby you're a firework, come on, show'em what you're worth - Katy Perry

- Siamo carne e fiato - Gianna Nannini

 

E' così che vanno fatti i film. Jacques Audiard è un regista che parla della vita per quella che è, senza intellettualismi, senza fronzoli. Racconta di uomini e di donne sempre al limite, ai margini, che si affannano e che sono disperatamente alla ricerca di un appoggio per poter stare nel mondo, a loro modo. Questo accadeva nei strepitosi lavori precedenti ('Sulle mie labbra', 'Tutti i battiti del mio cuore', 'Il profeta'), questo accade nel nuovo 'Un sapore di ruggine e ossa'. Sa parlare di persone, sa raccontare la sconfitta e il riscatto, la sensualità e il dolore. Senti i sospiri, le lacrime, la rabbia dei suoi protagonisti. Glieli senti addosso. Senti i magoni, i batticuori. I graffi, sulla pelle, nell'anima. Stringere i denti, e poi ripartire. 'Un sapore di ruggine e ossa' parla di corpi, come unica risora quando tutto sembra perduto. Per Ali, l'utilizzo del corpo è l'unico modo per sopravvivere, sfruttandolo nei più disparati lavori, da quello di buttafuori a quello di vigilante, fino a quello di pugile di strada. Se non fosse per i suoi muscoli, per la sua prestanza fisica, non sarebbe nessuno. Non avrebbe niente. Per Stephanie, invece, recuperare il proprio corpo, riappropiarsene, restituirne una dignità significa tornare a vivere, tornare a sentire. Entrambi sono due solitudini, che per necessità, per solidarietà, si trovano indissolubilmente legate, strette per la vita, per i fianchi, per i sessi. Entrambi sono spigolosi, irrequieti, non riconciliati. Lui è tanto brutale e inadeguato (nel ruolo di padre, di amante, di fratello), quanto inconsapevolmente capace di attenzione. Lei ha pochissimi affetti personali, una volta era la femmina che amava essere inseguita e guardata, che amava sedurre e abbandonare. E' bellissima e, fino ad ora, è sempre stata consapevole di esserlo. Lei è Marion Cotillard, che offre l'interpretazione della sua carriera, che allunga gli arti verso il cielo, verso l'alto, quando riscopre il piacere che può offrire un'esistenza, seppur dimezzata. Lui, invece, è Matthias Schoenaerts, che respinge la possibilità di provare sentimenti ed emozioni, fino a quando non porta all'estremo la propria forza, le proprie ossa, per salvare tutto quel poco di buono che è presente nella sua vita. Jacques Audiard è un cineasta che ti stringe per il collo e ti molla solo quando hai raggiunto il limite. E' un regista pieno, che non dimentica che il cinema è anche genere, azione, intreccio narrativo, tensione. Ma è, soprattutto, un tripudio di esperienza vissuta. All'ultimo Festival di Cannes, la giuria fighetta di Nanni Moretti ha preferito il pietismo senile di Haneke. Eppure, il regista francese è uno dei pochi autori che hanno dimostrato nel nuovo millennio di saper coniugare l'espediente della finzione, dell'intrattenimento, con quello della rappresentazione della realtà (gli altri sono Paul Thomas Anderson, Darren Aronofsky, Park Chan-Wook, altri straordinari "controversi"). La "sua" macchina da presa è una donna che hai sempre amato ma che sai di non poter avere. A sbattere la fronte contro il muro, gli altri riprenderebbero il sangue sulla fronte, lui riprende quello sul muro. Bello e impossibile.

Emiliano Dal Toso




Nessun commento:

Posta un commento