lunedì 16 marzo 2015

Blackhat

Che cosa lega tutte le opere di Michael Mann? Perché i suoi film d'azione non sono mai veramente solo dei film d'azione? Per il semplice fatto che la macchina da presa del regista di Collateral si sofferma sempre un po' di più di quel che dovrebbe sulle facce e sugli sguardi dei protagonisti, proprio in quei momenti in cui l'azione non c'è, si attende. Tra un inseguimento e una sparatoria, Michael Mann s'interroga sull'Uomo, osserva la sua solitudine, le sue angosce, i suoi addii. Un normale regista di action movie non sospenderebbe mai il climax narrativo per osservare. Lui, invece, si prende il rischio di piazzare la macchina da presa sul momento morto e di costellarlo di romanticismo spinto. Da Heat all'ultimo Blackhat, il suo cinema non fa altro che parlare di uomini soli, che respirano, che attendono, che abbandonano, che amano. Che amano. Che cosa d'altro può essere l'amore nel cinema se non quello di un regista che ama quello che fa, quello che lo circonda, molto prima di quello che racconta? Michael Mann, lo ribadiamo, non pretende di raccontare storie, ma di osservarle. E di osservare i loro ambienti, i loro luoghi, i loro spazi, i loro grattacieli, i loro uomini. In Blackhat va avanti per la sua strada, in direzione ostinata e contraria, parlando di terrorismo informatico con una serietà e una precisione di termini gergali e di tecnicismi impressionante: l'azione si sposta definitivamente sul piano virtuale e digitale, su un mondo che non fa altro che riprodursi e copiarsi a propria immagine e somiglianza. Un mondo perfettibile, mai originale. Un mondo nel quale, però, la Rete non potrà mai sostituire del tutto gli scontri a fuoco, il sangue, la violenza ma nemmeno l'indissolubilità dei sentimenti tra le persone, le alchimie emotive che non potranno mai essere contenute in piccoli e invisibili bit 1 e 0. Michael Mann lo sa che ciò che rimane non sono le concatenazioni, che quello che resta non sarà mai la logicità della vicenda. Quello che non si dimentica saranno sempre gli attimi di sospensione, lo sguardo che volteggia nell'aria e che registra l'emozione. Quello che non si dimentica sono le fughe e gli addii. Riprendere una scena d'azione come se fosse una scena d'amore, e una scena d'amore come se fosse una scena d'azione. Pochi lo fanno, soltanto i più grandi, soltanto chi non conosce la differenza tra la passione per una donna e quella per un eroe.

Emiliano Dal Toso


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