martedì 21 giugno 2016

Cannes e Dintorni 2016 - Parte Seconda: The Salesman, Neruda, Juste La Fin Du Monde

Non è stata una delle edizioni più esaltanti di Cannes e Dintorni quella di quest'anno. Troppi i grandi nomi assenti, presenti invece in Concorso: Olivier Assayas, Jim Jarmusch, Park Chan-wook, Jeff Nichols, solo per citare i più amati dal sottoscritto. Difficile, quindi, valutare le scelte della giuria presieduta da George Miller. Non ci hanno convinto certamente quanto la Palma d'oro né il Premio per la miglior sceneggiatura né quello per il miglior attore, assegnati entrambi a 'The Salesman' (voto 5) di Asghar Farhadi. La narrazione del regista iraniano di 'Una separazione' e 'Il passato' si è ormai standardizzata: Emad e Rana, una coppia di intellettuali di Teheran, sono costretti a trasferirsi in un appartamento precedentemente abitato da una prostituta, e un cliente di quest'ultima entra in casa e violenta la donna. Farhadi sottolinea insistentemente la formazione culturale dei due protagonisti: attori in procinto di mettere in scena 'Morte di un commesso viaggiatore', lui in particolare è anche un insegnante amatissimo dai suoi studenti, brillante e autorevole. Dopo il fattaccio, il film diventa un prevedibile viaggio negli inferi di Emad, che rivela un carattere inquisitorio, assalitore, vendicativo. Troppo forzato il parallelismo tra vita e teatro e, soprattutto, troppo ovvia la trasformazione di un personaggio costruito a tavolino, che appare soltanto un pretesto per riflettere su una cultura della violenza insita in ogni dimensione sociale. C'è da chiedersi, invece, come sia possibile che non fosse in Concorso ma "solo" nella Quinzaine des Réalisateurs 'Neruda' (voto 8) di Pablo Larrain. Un biopic anticonvenzionale, non un film su Pablo Neruda ma un'opera nerudiana nello spirito e nella poetica. L'impressione è di una pellicola enormemente ambiziosa, nello stile e nei contenuti: il regista cileno si lascia andare, a tratti, a un eccesso di manierismi e di barocchismi, compensati però da alcuni passaggi di puro cinema, capaci di flirtare con generi come il noir, il thriller politico e il western. Il film racconta di una caccia all'uomo: quella dell'ispettore Oscar Peluchonneau (interpretato da un magnetico Gael Garcia Bernal) nei confronti del poeta e senatore comunista. E la carta vincente risulta essere proprio l'assunzione del punto di vista di un uomo di stato, il suo flusso di coscienza dettato dal suo ruolo e dal desiderio di arrestare Neruda per conoscerlo. Suggestivo, discontinuo, onirico: un'allucinazione, un trip lisergico tra festini erotici e paesaggi metafisici. Delude, purtroppo, enormemente 'Juste La Fin Du Monde' (voto 4) di Xavier Dolan, incomprensibilmente premiato con il Grand Prix. Il ventisettenne regista canadese, dopo tanti bei film e un capolavoro emozionale come 'Mommy', adatta una piéce di Jean-Luc Lagarce e sprofonda clamorosamente in un kitsch fine a se stesso, inanellando una serie di scelte finte e artefatte: dagli asfissianti primi piani sui volti dei personaggi a una scelta musicale totalmente stonata e incongruente, questa volta per nulla funzionale (i Blink 182! Dragostea Din Tei!); dalla quantità fluviale di parole che si vomitano addosso i protagonisti a trovate registiche quasi imbarazzanti (il rossastro delle immagini nel finale per rimarcare la violenza emotiva a cui stiamo assistendo). Incredibilmente sprecato il cast di attori: Léa Seydoux, Marion Cotillard e Vincent Cassel sembrano le guest star di una narcisistica autoaffermazione di autorialità.

Emiliano Dal Toso



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